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Scrivici |Non avevamo il radar
- Gravi lacune della Marina Italiana -
Principio del radar e formule semplificate. Se ne ricava che l'eco è velocissimo, circa 66 milionesimi di secondo per una nave a 10 km. Gli impulsi devono essere brevi e frequenti. L'eco di ritorno è debolissimo al crescere della distanza e quindi ci vuole una notevole potenza di emissione.
Non avevamo il radar, il sonar, la radio
La Marina italiana nella seconda guerra mondiale non usò il radar, il sonar e anche la radio come avrebbe dovuto e potuto fare. Erano tre strumenti indispensabili in una guerra moderna e non averli o usarli malamente fu veramente imperdonabile. In realtà questi strumenti c'erano ma non vennero usati, oppure un loro uso efficace arrivò troppo in ritardo rispetto alle necessità.
Si potrebbe pensare che queste lacune rientrassero nel più ampio tema della impreparazione italiana alla guerra, ma è lecito dubitarne: anche se si fosse entrati in guerra più tardi poco sarebbe cambiato perché fu solo la guerra a mettere in evidenza deficienze ed errori.
Si potrebbe pensare che si tratti di inadeguatezza tecnologica, mancanza di competenze, insufficienza industriale o di fornitura, ma non fu nemmeno questo. Tali problemi esistevano ma erano superabili, se solo si fosse creduto e investito in quella direzione. Ecco, proprio questo è il punto: fu determinante la responsabilità dei vertici della Marina, ancorati a pregiudizi e diffidenza rispetto al nuovo, convinti delle loro opinioni e poco disposti a verificarle.
Ritenevano che il radar fosse inutile, tanto di giorno ci si vedeva benissimo e di notte nessuno combatteva (almeno così era stato fino ad allora). Ritenevano che il sonar fosse troppo costoso, tanto c'era l'idrofono (che però non era adatto per la caccia antisom). Inoltre i vertici di Aeronautica e Marina non ritenevano prioritario che aerei e navi dovessero parlarsi bene e velocemente: di conseguenza si perdeva il principale vantaggio della radio.
Ovviamente non fu così semplice e ci furono dei motivi per cui si cadde in errore, pertanto non è il caso di parlare di incapacità individuali, accusa frequente ma troppo sbrigativa. Bisogna entrare nel dettaglio per capire tre storie diverse che hanno in comune un discutibile sistema di pensiero, decisione, esecuzione ed è proprio per questo che le mettiamo assieme, perché non si parli nemmeno di fatalità o di sfortuna, giustificazione poco credibile quando si ripetono le stesse situazioni.
L'incrociatore Pola prima della guerra (1935). Venne perduto a Matapan, dove venne individuato con il radar. Da:Incrociatori pesanti italiani (Gay-Andò-Bargoni; Ediz.Dell'Ateneo e Bizzarri - 1975)
Il radar, nella guerra di superficie
L'aria con la sua inconsistenza, quasi simile al vuoto, è l'ambiente ideale per la propagazione a grande distanza della luce e quindi della visione, magari con uno strumento “passivo” di amplificazione come il binocolo. Ma quando c'è qualche ostacolo, come la foschia, o peggio ancora il buio, non si vede più niente. Per fortuna l'aria favorisce anche le onde radio e nacque da qui l'idea di emetterle con uno strumento “attivo”, il radar, rilevando quelle che urtavano contro un ostacolo (una nave) e tornavano indietro fornendo informazioni su distanza e direzione, l'equivalente della visione. Il radar (RAdio Detector And Ranging), chiamato da noi radiotelemetro o radiolocalizzatore, da idea si sarebbe trasformato in realtà, prima come arma di guerra e poi come strumento di sicurezza in tempo di pace.
Al radar e alle vicende relative è stata dedicata molta attenzione a posteriori, tra scritti, discussioni e critiche, per le gravi conseguenze di questa lacuna per la Marina italiana. Lo scandalo non sta tanto nel ritrovarsi senza lo strumento mentre alleati e nemici ne erano dotati. Piuttosto lo scandalo sta nel fatto che un prototipo di radar era disponibile già nel primo anno di guerra, ma era stato giudicato ancora inadeguato e messo da parte, pur essendo non lontano dai primi modelli che i britannici montavano invece sulle navi, per usarli e perfezionarli. E' pure scandaloso che si sia perso quasi un anno negando l'evidenza che il nemico usasse il radar, ignorando ogni indizio fino alla ineludibile tragedia di Matapan. Dall'inattività assoluta si passò a una frenetica emergenza. Eppure anche così il radar venne procurato, introdotto e diffuso sulle navi con criticabile lentezza, tra problemi di componenti, di personale e di installazione. Per attenuare l'imbarazzante vicenda si coltivò anche nel dopoguerra il luogo comune che nessuno potesse immaginare l'uso del radar da parte del nemico, come un'arma segreta, una assoluta novità che per sfortuna non avevamo, come se fossimo ai primordi di questa tecnologia. Invece la storia del radar si svolse diversamente.
Infatti già nel 1922 Guglielmo Marconi aveva spiegato pubblicamente negli USA la possibilità di realizzare il radar, per vedere di notte, e in seguito (1933) lo spiegò anche di persona a Mussolini. Tutte le grandi potenze presero sul serio il suggerimento e iniziarono le ricerche, compresa l'Italia che nel 1936 attivò una sezione del Regio Istituto Elettronico e delle Comunicazioni (RIEC) presso l'Accademia Navale di Livorno, dedicando il valido scienziato Professor Tiberio allo sviluppo del radar, salvo poi lasciarlo a corto di personale e di mezzi. Nonostante le difficoltà il Professor Tiberio (costretto alla ricerca nei ritagli di tempo, dopo gli obblighi d'ufficio e di insegnamento), con la collaborazione di altri (il Professor Carrara e l'Ingegnere Brandimarte) progettò e realizzò varie versioni di radar sempre più efficaci, fino al terzo prototipo E.C-3 del 1940. Ma gli ammiragli pensavano solo alla battaglia navale di giorno a grande distanza, per la quale il radar era di limitata importanza, utile solo come strumento alternativo al telemetro per determinare l'esatta distanza di tiro. Lo chiamavano appunto “radiotelemetro”. Un errore di centinaia di metri a 20 chilometri di distanza era troppo per gli esigenti specialisti del tiro e i prototipi venivano bocciati, lasciando di fatto tutta la Marina senza niente a disposizione. Di combattere di notte non si parlava nemmeno, per motivi di principio, perché vanificava tutti gli enormi investimenti fatti per i grossi calibri su cui si basava il dominio delle corazzate. Secondo gli ammiragli che contavano, la notte serviva per nascondersi e spostarsi (con le artiglierie in posizione di riposo), mentre soltanto le unità siluranti potevano combattere e lo schermo di unità di scorta proteggeva le unità maggiori da brutti incontri. Ma tutto ciò veniva rivoluzionato dal radar, come “radiolocalizzatore”, che permetteva di ingaggiare combattimento al buio a breve distanza, con superiorità assoluta su chi ne era sprovvisto. Anzi bisognava cercare queste situazioni e sfruttarle. La Royal Navy, fondamentale riferimento per tutte le Marine, si esercitava di nascosto mentre la Regia Marina era ancora convinta che i britannici si astenessero dal combattimento notturno. Non si rifletteva sulle nuove possibilità offerte dal radar e per di più ci si basava sull'assurda convinzione che se non avevamo noi il radar non ce lo avessero nemmeno gli altri. Per capire l'opinione degli ammiragli basta dire che il Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio Domenico Cavagnari sosteneva di non volere “trappole tra i piedi”, riferendosi proprio al radar. Anche Jachino, il futuro comandante in capo della Flotta, allora direttore dell'Accademia Navale che ospitava le ricerche e i prototipi del radar, non se ne interessava e non favoriva le richieste del professor Tiberio, ritenendo “avveniristico” lo strumento. L'ultimo accettabile prototipo, il radar E.C-3, fu relegato in cantina perché c'era la guerra, come dire: basta con la teoria, ne riparleremo dopo la guerra.
Schema semplificato della dinamica dello scontro di Matapan, in cui i britannici trovarono il Pola con il radar e poi scoprirono visivamente le navi andate a rimorchiarlo.
Senza il radar in guerra
Prima di scoprire l'uso del radar da parte del nemico la Regia Marina aveva sperimentato alcuni drammatici e inspiegabili insuccessi.
La notte del 12 ottobre 1940 sette navi (tre caccia e quattro torpediniere) mandate alla ricerca di unità britanniche avvistarono un incrociatore nemico che si stagliava contro il riflesso della luna. Protette dal buio le unità italiane dispiegarono un attacco coordinato da manuale portandosi a distanza ravvicinata per usare al meglio le loro armi, siluri e poi artiglierie, mentre l'incrociatore britannico non dava segno di averle avvistate. Appena iniziato l'attacco l'incrociatore rispose prontamente centrando a colpo sicuro una dopo l'altra tutte le 5 navi più vicine, mettendole fuori combattimento. Erano stati lanciati 7 siluri da quattro di tali navi ma nessuno andò a segno, forse per i rapidi movimenti dell'incrociatore, probabilmente già all'erta. Le torpediniere Ariel e Airone furono subito affondate e anche il caccia Artigliere dopo un tentativo di rimorchio fu affondato dal nemico, catturando i superstiti. La torpediniera Alcione e il caccia Aviere, malconci, riuscirono a salvarsi e rientrarono alla base assieme a Geniere e al Camicia Nera (che aveva abbandonato il rimorchio dell'Artigliere per salvarsi dagli inseguitori). L'incrociatore britannico Ajax riportò danni contenuti. Era evidente l'uso del radar senza il quale era inspiegabile la prontezza e precisione del nemico nel colpire i numerosi attaccanti. Tuttavia la commissione d'inchiesta non ci pensò nemmeno, come se ignorasse l'esistenza del radar, fino ad accusare di imprudenza i comandanti di essersi avvicinati troppo (mentre è proprio questo che devono fare le siluranti contro navi maggiori). Però i vertici della Marina, a cui erano destinate le conclusioni dell'inchiesta, sapevano benissimo che poteva esistere il radar e qualche dubbio dovevano manifestarlo.
Per saperne di più si legga la relativa pagina
Un mese e mezzo dopo, il 29 novembre 1940, vennero affondate in porto a Taranto tre corazzate da un attacco aerosilurante, i cui velivoli vennero avvistati visivamente all'ultimo istante. La base era genericamente in allarme ma la disponibilità di un radar terrestre avrebbe permesso di sapere con sufficiente anticipo direzione e momento di arrivo dei velivoli e forse diminuire l'efficacia dell'attacco, ad esempio con delle cortine nebbiogene. Nella stessa notte per distogliere l'attenzione i britannici effettuarono un'azione notturna in Adriatico, nel canale di Otranto, che si svolse anche meglio del previsto: tre mercantili affondati e la torpediniera Fabrizi gravemente danneggiata. Anche qui colpi sicuri e inspiegabili nella notte. In seguito si saprà che almeno un incrociatore britannico era dotato di radar (Orion e/o Ajax). Per saperne di più si legga la relativa pagina
La notte del 23 marzo 1941 presso Capo Matapan vennero affondati tre incrociatori e due cacciatorpediniere con oltre 2300 vittime, senza praticamente alcuna perdita per le corazzate britanniche in agguato, che poterono sparare a distanza ravvicinata con completa sorpresa per gli italiani. Come cause del disastro in sequenza temporale possiamo indicare la decrittazione da parte britannica di informazioni sui piani italiani che cambiò sin dall'inizio la situazione strategica: gli italiani da cacciatori (usciti per distruggere prede mercantili) si trovarono cacciati, a loro insaputa (inseguiti da tre corazzate britanniche contro una). A parte le vicende belliche di quel giorno, fu senz'altro determinante l'errore dell'Ammiraglio Jachino di mandare la Prima Divisione Incrociatori in soccorso dell'Incrociatore Pola immobilizzato, con la flotta nemica ormai vicina. Ma in quel momento Jachino non riteneva l'intervento così pericoloso, ovvero si basava su una sua valutazione errata sulla consistenza e vicinanza delle forze britanniche. Questa a sua volta derivava in buona parte da un sistema informativo di comunicazioni macchinoso e lento per i troppi passaggi, dove arrivavano sul tavolo dubbi più che certezze, con impossibilità di verifiche sull'attendibilità delle informazioni. Comunque sia l'incontro-scontro ci sarebbe stato di certo ma non è detto che sarebbe stato così disastroso. Il radar fu dunque una causa determinante, forse la più importante, perché permise l'avvistamento britannico(da parte dell'Orion e dell'Ajax) del Pola fermo, luogo di appuntamento per le navi italiane di soccorso, che vennero poi avvistate visivamente. Grazie a questo non ci fu ulteriore ricerca ma solo un tiro a segno. La mancanza di un qualsiasi radar da parte italiana aumentò le perdite navali e umane perché nessuno poté rilevare in tempo le imponenti corazzate nel buio, almeno per defilarsi o avere il tempo di nascondersi con nebbiogeni dai riflettori, oppure ancora replicare al fuoco.
Tabella comparativa dei due radar, italiano e tedesco, che vennero installati sulle navi italiane prima dell'armistizio. Dati ricavati da: Le armi delle navi italiane nella seconda guerra mondiale (E.Bagnasco - Edit. Abertelli 1978/2003)
L'emergenza radar
Fu proprio la intercettazione e decrittazione da parte italiana del messaggio di avvistamento britannico del Pola a circa 10 chilometri di distanza (impossibile col buio) a dare la prova dell'esistenza del radar. Nacque così da Matapan il risveglio italiano sul tema. Di lì a poco gli ammiragli erano al RIEC presso l'Accademia Navale dove il Professor Tiberio mostrò il suo ultimo “inadeguato” radar E.C-3, tirato fuori dalla cantina. Le prove dimostrarono che nonostante i difetti (tra cui la potenza modesta), c'era la sensibilità per la rilevazione di velivoli a decine di chilometri e di navi a distanze inferiori, variabili secondo l'altezza sul mare dell'antenna. Buono, o perlomeno incoraggiante, a parte l'imbarazzo di essersi accorti solo allora del radar, ma come tradurlo in efficace dotazione di bordo?
Produrlo all'istante non era facile. Per fortuna i Tedeschi avevano un loro radar (De.Te.), anche se nessuno lo sapeva: evidentemente la tanto propagandata collaborazione italo-tedesca non aveva funzionato. Loro non ce lo avevano detto, ma noi peraltro non glielo avevamo chiesto (ed eravamo i più interessati ad approfondire). Almeno potevano prestarne un numero limitato (5) per cominciare mentre l'industria nazionale si organizzava. Nel frattempo il RIEC proseguì i prototipi fino al E.C-3/ter (inverno 1941-1942) poi chiamato “Gufo”, con potenza sufficiente, valido e paragonabile agli apparati britannici e tedeschi del periodo. Aveva una portata massima per rilevare gli aerei di 80-120 km, per le navi di 15-30 km. Non fu comunque un percorso rapido e senza ostacoli, tra la scarsa disponibilità dell'industria nazionale (limiti produttivi, scarso interesse, competizioni tra aziende, burocrazia) e la difficoltà a reperire personale di livello scolarizzato sufficiente da mandare ai corsi. L'installazione pratica sulle navi incontrò anche problemi tecnici, fra cui l'ingombro delle antenne da collocare nella geometria delle strutture di una nave da guerra (tra la necessità di evitare zone d'ombra e collocare l'antenna in alto per ampliarne la portata). Ad esempio, l'antenna a materasso del De.Te misurava 2 metri per 4. Rispetto alla maggiore funzionalità del radar tedesco, il radar italiano incontrò problemi pratici. Si rilevò l'insufficienza della parte elettromeccanica per la rotazione delle antenne, ostacolata dal vento (con soluzioni non facili da trovare rapidamente). Fu inoltre necessario disporre di un sistema adeguato di visualizzazione degli echi perché discriminarli dal rumore di fondo con il solo ascolto non era facile. Ecco perché era urgente portare a bordo prototipi anche rudimentali e provarli senza aspettare la perfezione assoluta, ottenendo indicazioni per le modifiche più utili.
Il primo utilizzo di un radar in azione fu un modello tedesco De.Te nella battaglia di mezzo giugno 1942, sul caccia Legionario. Gli altri De,Te tedeschi dei 5 promessi arrivarono in ritardo tra '42 e '43. Ne arrivarono altri due prima dell'armistizio ma gli altri radar installati furono tutti Gufo di produzione nazionale, riconosciuti come lo standard da adottare dalla apposita commissione interministeriale (interforze) Ra.Ri.(ovvero RAdiotetector-telemetRI) fondata nel settembre 1942. Pare che comunque i difetti elettromeccanici del Gufo non siano stati risolti prima dell'armistizio, con tutti i problemi relativi.
E' un dato di fatto che fino all'armistizio furono installati solo 20 radar, quasi tutti (17) nel 1943, cioè negli ultimi otto mesi prima della resa. Pertanto anche 1941 e 1942 vennero combattuti senza radar, con disastrosi attacchi notturni, perdite di vite umane e di materiali, con effetti negativi sulla guerra terrestre in Nord Africa. Mentre si attendeva la disponibilità effettiva di efficaci strumenti a bordo bisognava comunque sopportare dolorose sconfitte, coscienti della lacuna tecnica. Vediamo dunque cosa avvenne anche dopo la presa di coscienza sul radar.
Appena dopo Matapan, il 16 aprile 1941, grazie al radar, durante la notte veniva distrutto dai britannici l'intero convoglio Tarigo, composto di 5 navi, cariche di materiali e munizioni, perdendo anche i caccia Lampo, Baleno e Tarigo (almeno quest'ultimo riuscì a eliminare il caccia Mohawk solo perché riuscì a silurarlo da vicino).
Il 9 novembre 1941 venne interamente affondato nella notte il convoglio Duisburg di 7 mercantili carichi di rifornimenti per la guerra africana, senza che la sostanziosa scorta di ben 6 caccia e 2 incrociatori pesanti (Trento e Trieste) riuscisse a impedirlo. Questi ultimi inseguirono e spararono alla cieca nel buio, senza successo. Venne pure affondato il caccia Fulmine e danneggiati Grecale ed Euro. Si saprà dopo la guerra che la forza attaccante aveva aggirato tutto il convoglio per portarsi nella posizione meno difesa: il radar faceva davvero la differenza.
Portiamoci ora alla notte del 2 dicembre 1942, un anno e mezzo dopo l'inizio della mobilitazione sul radar e ormai a nove mesi dalla resa dell'Italia. Ebbene anche quella notte il convoglio H, costituito da 4 mercantili, venne interamente distrutto dai britannici sempre grazie al radar, utilizzato anche per la direzione del tiro. Fu affondato inoltre il caccia Folgore e gravemente danneggiati Da Recco e Procione.
Risulta che fino a quel momento vi fossero solo 3 radar a bordo di tutte le navi della Regia Marina. Si era ancora ciechi di notte a parte qualche eccezione. Dall'industria nazionale arrivavano col contagocce uno o due apparati al mese e vale la pena di segnalare che dopo l'armistizio la dominazione tedesca al nord ottenne una produzione assai superiore (10-15 al mese) dalle stesse aziende, indizio che fino ad allora ci fosse stato uno scarso impegno degli industriali o una scarsa energia della Regia Marina nell'ottenere quanto dovuto.
Tornando alla lenta diffusione di radar sulle navi bisognava anche tenere conto dei tempi di apprendimento e messa a punto. Forse c'era anche da capire se e come modificare strategia e tattica per adeguarsi al radar (i britannici l'avevano fatto), fino a dare nuove regole di comportamento ai comandanti. Si scontava in quel finale il tanto tempo perso in precedenza.
Dal dopoguerra fino ad oggi chi denunciò la scandalosa storia del radar italiano non poteva fare a meno di evidenziare gli errori dei Comandi della Marina, ovvero dei Capi di Stato Maggiore e degli Ammiragli di Supermarina e della Flotta, o almeno di tutti coloro che manifestarono una ostinata volontà di considerare il radar come avveniristico mentre era necessario nel presente. Molti protagonisti, tra cui lo stesso Jachino, forse per minimizzare le responsabilità o per confermare le proprie valutazioni di allora, raccontarono la vicenda come se il radar fosse una novità impensabile, come se la ricerca italiana fosse rimasta indietro e non ci fosse stato niente di utilizzabile, ma chi approfondisce l'argomento scopre che non fu esattamente così.
Conclusioni
Da quanto esposto, si può ben dire che facemmo la guerra praticamente senza radar, perché la tardiva diffusione fu limitata e senza possibilità di grandi effetti: nel 1943, persa l'Africa, ormai non c'erano più tutti quei convogli mercantili da difendere di notte. La flotta non usciva più in forze e tanto meno si portava così lontano da trovarsi in mare di notte. Certamente il radar nel '43 serviva ancora, ma non come nel '40-'41-'42. Con rammarico bisogna ammettere che avremmo potuto disporne quando serviva davvero, se non ci fossero stati gravi errori e mancanze. Per riassumere quali fossero, come nostra personale opinione, cerchiamo di fare un elenco.
Lavoro di ricerca prima della guerra poco sfruttato, dedicandovi pochi mezzi e personale.
Scarsa attenzione e convinzione dei vertici della Marina, a causa di pregiudizi o consuetudini.
Eccessive pretese sulle prestazioni dei prototipi, ritardando la sperimentazione in mare.
Ritardo nel valutare e riconoscere l'importanza dello strumento secondo le vicende belliche.
Difficoltà di comunicazione con l'alleato tedesco, senza sfruttarne le esperienze e i mezzi.
Scarsa rispondenza e capacità dell'industria nazionale con lentezza di fornitura.
Ritardo nel procurare, installare, usare lo strumento, con scarso numero di navi attrezzate.
Penuria di personale scolarizzato adatto all'apprendimento di strumenti complessi.
Regole di comportamento obsolete da adeguare al nuovo strumento.
Tendenza a sottovalutare le responsabilità della Marina e gli errori commessi.
Viene da chiedersi se anche nella storia del sonar si verificassero questi problemi.
Ne parleremo in una prossima pagina.
Informazioni ottenute in parte da:
Le armi delle navi italiane nella seconda guerra mondiale (E.Bagnasco - Edit. Abertelli 1978/2003)
La guerra dei radar (Piero Baroni - Greco e Greco Editori 2007)
L'Operazione Gaudo e lo scontro notturno di Capo Matapan (Francesco Mattesini - U.S.M.M. 1998)
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