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Scrivici |Capo Matapan
- Il disastro di Capo Matapan (28/3/41 - ore 22.30) -
Immagini dell'Incrociatore Pola, l'unità immobilizzata e poi perduta assieme alle altre a Matapan, con il dettaglio ingrandito del motto (da "Ai marinai d'Italia" - 1938)
Sintesi dei fatti
I risultati conseguiti in mare dalla flotta italiana erano inferiori alle aspettative e gli alti comandi avrebbero desiderato qualche impresa vittoriosa che risollevasse il morale delle forze combattenti e dell’opinione pubblica. Inoltre l’alleato tedesco sollecitava un impiego più aggressivo delle nostre unità da battaglia. Fu quindi decisa una uscita in forze della flotta nell’Egeo con l’obiettivo di attaccare a sorpresa il traffico mercantile britannico. Assieme alla corazzata Vittorio Veneto vi erano gli incrociatori pesanti. Ma la Royal Navy era a conoscenza degli obiettivi dell’operazione. I movimenti dei convogli furono sospesi e da Alessandria uscirono corazzate e una portaerei nella notte per tendere un agguato. Il giorno successivo una parte della squadra italiana fu avvistata e vi fu un breve contatto a fuoco con incrociatori britannici nei pressi dell’isolotto di Gaudo nel Peloponneso. Quando fu ormai evidente che il fattore sorpresa era perduto, la flotta riprese la via del ritorno ma fu attaccata dagli aerosiluranti. La Vittorio Veneto fu colpita, imbarcando 4000 tonnellate d’acqua e riducendo la velocità a venti nodi. L’incrociatore Pola fu invece immobilizzato completamente. L’Ammiraglio Jachino non sapeva dalla ricognizione l’entità delle forze nemiche e quanto fossero vicine. Per rimorchiare il Pola inviò la Prima Divisione, con gli Incrociatori Fiume e Zara, e i cacciatorpediniere. Alle 22.30 furono colti di sorpresa nel buio e distrutti a distanza ravvicinata dalle corazzate britanniche o silurati. In totale furono affondati 3 incrociatori e 2 cacciatorpediniere e 2303 uomini persero la vita. Non ci fu alcuna perdita da parte britannica. La Vittorio Veneto riuscì a tornare alla base.
Guerra sui Mari - Storia di Ieri e di Oggi - 30 Luglio 1940: l'incrociatore pesante Zara affondato a Matapan
Considerazioni
Le conseguenze del disastro di capo Matapan furono notevoli dal punto di vista materiale (la perdita di 5 navi e migliaia di morti, senza alcun danno per il nemico), strategico (il grave vuoto di tre incrociatori nella composizione della flotta, la rinnovata riluttanza a muoversi nel Mediterraneo Orientale), psicologico (avvenuto proprio quando si voleva un successo che riscattasse l’immagine di una Marina poco efficace). Si trattò quindi di un episodio che influenzò moltissimo la Regia Marina nel proseguimento del conflitto e che merita qualche riflessione. Vi fu il concorso di diverse cause tra cui la decifrazione dei messaggi e i condizionamenti politici dell’operazione.
Nel 1996 Sir Harris, che lavorava nel centro di decrittazione di Betchley Park, confermò in una conferenza che Matapan fu reso possibile da pochi ma significativi messaggi trasmessi dai Tedeschi, con Enigma, e dagli Italiani. A quanto afferma, i comunicati italiani erano facili (“baby”) da decifrare, per la semplicità della codifica. Nella stessa sede affermò che la predisposizione di cause apparenti di avvistamento era una procedura sistematica, per distogliere dalla causa vera. Apparve infatti un ricognitore britannico con disappunto di Supermarina e dell’Ammiraglio Jachino, perché non era presente la caccia che avrebbe dovuto abbatterlo, ma si ritenne che l’avvistamento fosse parziale, ovvero si pensò di poter comunque sorprendere l’avversario, mentre avvenne il contrario. Il radar fu usato dai britannici, per individuare il relitto del Pola, luogo dell'appuntamento, mentre le navi italiane inviate a soccorrerlo furono scoperte visivamente. Però il possesso del radar da parte italiana avrebbe potuto evitare la sorpresa, perché anche una rozza apparecchiatura avrebbe rilevato il nemico a pochi chilometri di distanza.
Forse il fattore politico fu il principale artefice del disastro. Infatti l’intera operazione fu condizionata dalle pressioni tedesche e dai vertici italiani per un approccio più aggressivo della flotta italiana. Questa fu una grave anomalia perché le operazioni militari devono rispondere sempre a criteri di convenienza strategica e tattica, non politica. Oltretutto è già discutibile affrontare il traffico mercantile con navi da battaglia, esponendole inutilmente. La ricerca politica di risultati a tutti i costi spinse a proseguire nonostante fosse caduto l’elemento sorpresa. Furono commessi vari errori di valutazione, come ad esempio il trascurare segnalazioni aeree delle navi avversarie che sembravano inattendibili, oltre all’invio di tutta la divisione incrociatori a soccorrere il Pola immobilizzato, quando ormai si aveva la sensazione che ci fossero unità nemiche nelle vicinanze. Sono scelte spiegabili con la necessità nel primo caso di non fermarsi di fronte a vaghe indicazioni (non sarebbero mancate critiche, visto che sempre per stime incerte la flotta aveva rinunciato, in casi precedenti, a combattimenti che potevano essere vantaggiosi). Ci voleva l’evidenza per tornare indietro. Ma anche nel secondo caso, non si scelse di arrischiare solo dei cacciatorpediniere per il Pola, perché questi si sarebbero limitati a salvare l’equipaggio, e la perdita di un incrociatore appariva inaccettabile. Così si intervenne in forze, perdendone tre! Jachino non fu rimosso dal comando nonostante un disastro che certo comportava delle responsabilità e degli errori. Probabilmente, se colpe vi erano, coinvolgevano sia il comando in mare che il comando di Supermarina e anche le forze aeree italiane e tedesche, per la loro inefficacia pratica. In realtà vi erano diverse componenti che non funzionavano correttamente. Un cambiamento del comandante della Squadra, il più scontato e appariscente dei provvedimenti, non avrebbe risolto niente delle cause e avrebbe confermato che all'origine della tragedia vi fossero colpe italiane nella condotta delle operazioni. La mancata rimozione di Jachino sembrava quindi dovuta alla superiore necessità politica di addebitare l'accaduto a inevitabile sfortuna, ma a seguito di Matapan avvennero dei cambiamenti, sia pure tardivi, segno che si iniziava a prendere coscienza di deficenze strutturali. Comunque Iachino era riuscito a portare in salvo la Vittorio Veneto, fatto tanto importante da rendere insoddisfatto l'Ammiraglio Cunningham per non avere conseguito l'obiettivo primario. Per quanto riguarda la malaugurata decisione di proseguire la missione senza fattore sorpresa e di soccorrere il Pola con più forze, si può fare una riflessione generale, sul primo periodo di guerra. Se si vuole essere prudenti e vincere senza rischiare, alla fine si perdono molte occasioni favorevoli e non si accumula mai un “credito” di successi che poi permetta di rinunciare quando il buon senso e la tattica lo consiglierebbero.
7 anni di Guerra - La corazzata Vittorio Veneto, silurata, rientra alla base con la poppa a pelo d'acqua
Matapan visto dai protagonisti
Il caccia Alfieri è la prima unità della formazione che sta cercando il Pola. Viene colpito subito al centro e a poppa. Mentre l’equipaggio tenta di riattivare le macchine e governare la nave dalla stazione di poppa, un caccia inglese colpisce ancora da distanza ravvicinata. Un proiettile che colpisce il fumaiolo e distrugge la motolancia, riempie la coperta di schegge dall’alto facendo strage. Brandelli di corpi e sangue ovunque. Urla e poi silenzio. Il caccia Alfieri aveva comunque risposto al fuoco e lanciato due siluri ma il Comandante ordina l’abbandono della nave. I sottotenenti di vascello Oberto Manfredi e Francesco Mascini prendono le cassette metalliche per l’affondamento dell’archivio segreto nella cabina di poppa del Comandante e le calano in mare. L’equipaggio scende sulle zattere di salvataggio. Il Comandante rimane a bordo, accende una sigaretta, e affonda con la nave all’esplosione delle munizioni. I naufraghi si trovano presto nel buio e nel freddo a 160 miglia dalla costa più vicina. Le instabili zattere si rovesciano continuamente per il numero di quelli che si aggrappano e tentano di salire. Si perdono viveri, acqua e decine di naufraghi scompaiono. Il giorno dopo un caccia inglese si avvicina per salvarli ma si allontana quando sopraggiunge un aereo tedesco. Manfredi, alto, atletico, buon nuotatore, si tiene a distanza per non aggrapparsi. Risale sfinito. Sono rimasti in venti. Un altro giorno alla deriva, divorati dalla sete. Manfredi è immerso nei suoi pensieri, abbraccia un amico, diviene irrequieto. Poi si butta a nuoto verso un’ipotetica lontana zattera per lasciare posto agli altri. Non ce la fa, ha qualche esitazione, scompare per sempre. Dopo un altro giorno arriva il soccorso della nave ospedale Gradisca. Sono rimasti solo 8 sopravvissuti e 27 compagni sono scomparsi. I caduti dell’Alfieri sono 211.
Segnaliamo una nuova e interessante pagina sul soccorso ai naufraghi di Matapan, effettuato dalla Nave Ospedale Gradisca.
Continua...
La storia completa si può leggere in “Ponte di comando” – Flavio Serafini – Ed. Gribaudo pg.283-284, 229-230.
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