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Scrivici |Scontro nella notte del 12 ottobre 1940
- Incrociatori contro torpediniere e cacciatorpediniere. -
Incrociatore britannico della classe "Leander", come l'Ajax, presentato su un articolo contemporaneo di Tempo, che descrive lo scontro. Da "Tempo", numero 73 del 17/10/1940.
Rinforzi per la Royal Navy nel 1940. L'incrociatore Ajax.
Nella battaglia di Punta Stilo l’Ammiraglio Cunningham aveva riscontrato alcune lacune della Royal Navy. Rispetto alla sua Warspite, le navi da battaglia più vecchie avevano prestazioni insufficienti, con una velocità in combattimento troppo bassa, che impediva di usarle al meglio perché rimanevano indietro. La prossima volta poteva trovarsi in condizioni più svantaggiose, dato che nel frattempo entravano in azione le nuove corazzate italiane, superiori anche alla Warspite. Inoltre bisognava compensare la superiorità numerica e di calibro degli incrociatori italiani, oltre che difendersi meglio dalla Regia Aeronautica. L’ingresso in Mediterraneo della corazzata Valiant (classe Warspite), degli incrociatori Ajax e York, della portaerei Illustrious e degli incrociatori antiaerei Coventry e Calcutta, erano le risposte dell’Ammiragliato alle richieste. La Valiant e l’Ajax disponevano di radar navale, Coventry e Calcutta aveva un radar contraereo. Ciò permetteva ai britannici di rilevare l’avvicinamento di velivoli nemici a 40-50 miglia di distanza, avendo il tempo di far decollare i caccia dalla portaerei, per contrastare gli attacchi o abbattere la ricognizione. Secondo Cunningham, il radar (insieme alla portaerei e alle altre unità contraeree) consentiva di raggiungere il dominio dell’aria sopra la flotta in navigazione nelle ore diurne, potendo almeno reagire con efficacia. Il radar navale sarebbe risultato utile per l’avvistamento delle navi, oltre che nel tiro in condizioni di scarsa visibilità, in presenza di cortine nebbiogene o nella notte. L’incrociatore Ajax ne avrebbe fatto buon uso ed era già un veterano della guerra sul mare, avendo partecipato alla celebre battaglia del Rio della Plata contro la corazzata tascabile Graf Spee. Pur danneggiate, le unità britanniche avevano comunque colpito l’avversario, costringendolo a riparare a Montevideo e questo aveva portato alla fine dell’unità corsara tedesca. Attaccare, senza preoccuparsi delle condizioni sfavorevoli, era stato premiante. Ora l’Ajax, con tale approccio, l’esperienza di combattimento e il nuovo radar a bordo, andava a operare in Mediterraneo contro gli Italiani. I nuovi rinforzi entrarono nella zona in combinazione con l’operazione “Hats” intorno a Malta, a cavallo tra agosto e settembre 1940.
I Cacciatorpediniere della classe "Soldati" e le Torpediniere della classe "Spica", unità coinvolte nello scontro.
La Regia Marina e la presenza del nemico intorno a Malta.
Nei primi mesi di guerra le speranze dei comandanti italiani di conseguire risultati vincenti con i britannici erano state deluse e si desideravano nuove occasioni. Ma il timore di perdere preziose corazzate e la sfiducia nella cooperazione aerea (ricognizione e presenza tempestiva di caccia e bombardieri) portarono gli alti comandi a emanare direttive prudenziali per la Squadra, tra cui i vincoli di non impegnarsi contro forze superiori (come se fosse facile valutarlo al momento) e di non spingersi troppo lontano dalle basi aeree nazionali, senza oltrepassare un certo limite a sud (ostacolando di fatto la possibilità di insistere e cercare il contatto). Ciò produsse malcontento e obiezioni a cui il comando supremo (Badoglio, Capo di S.M.Generale) rispose con la conferma di “seguire la via finora percorsa”. Si insisteva cioè con la strategia della “flotta in potenza”, che avrebbe dovuto limitare l’avversario con la sua sola presenza, invece di avere un approccio più aggressivo, di esercizio del dominio sul mare, come era nella mentalità veramente marinara, nello spirito dei comandanti delle unità e nella scuola di riferimento, della Marina britannica. Avvenne così che più volte i britannici, a inizio e fine settembre, attraversarono in forze il Mediterraneo scortando convogli, con la Flotta italiana che usciva inutilmente, in ritardo o senza potersi spingere fino in fondo. Si persero occasioni favorevoli con frustrazione dei comandanti e degli equipaggi. L’Ammiraglio Cavagnari, Capo di S.M. della Marina, si recò a Taranto il 9 ottobre a sostenere la cauta direttiva del Comando Supremo e l’Ammiraglio Iachino gli consegnò al termine un suo promemoria di critica, in cui sosteneva tra l’altro la necessità di “ricercare il combattimento”. In generale, da parte dei comandanti in mare vi era il desiderio di battersi, come erano preparati a fare. Era necessario intercettare il nemico, anche di notte se necessario, con il naviglio insidioso: sommergibili, motosiluranti, e anche torpediniere e caccia. Da parte britannica, ignorando queste tensioni interne, si prendeva atto della limitata aggressività della Regia Marina sfruttando la situazione per rafforzare Malta e muoversi in tutto il Mediterraneo.
Mappa semplificata dello scontro notturno a sud est di Malta. Basata sul grafico n.2, pag 206, del volume "Le azioni navali in mediterraneo - Dal 10/6/1940 al 31/3/1941" dell'Ufficio Storico M.M..
Lo scontro del 12 ottobre 1940.
Genesi dello scontro:
Trasportati duemila soldati a Malta, bisognava rifornire di materiali l’isola e venne quindi decisa un’altra uscita da Alessandria della Mediterranean Fleet, al completo per tutelarsi da possibili incontri con la flotta italiana. 4 piroscafi per Malta erano scortati direttamente da 2 incrociatori e 4 caccia, che poi avrebbero accompagnato al ritorno 3 piroscafi da Malta. La scorta indiretta comprendeva ben 4 navi da battaglia, 2 portaerei, la 3° divisione incrociatori (York, Gloucester, Liverpool) e la 7° divisione incrociatori (Ajax, Orion, Sidney).
Il giorno 11 ottobre alle 8.45 un aereo civile della linea Italia-Libia avvistò una ventina di navi a settanta miglia da Malta, che avvistate modificarono la rotta. Evidentemente partite da Alessandria, non erano state scoperte a causa del maltempo (nubi e temporali). La segnalazione ricevuta da Superaereo venne trasmessa a Supermarina che dette subito disposizioni: ricognizioni aeree, agguati notturni di Mas presso Malta, approntamento degli incrociatori Giussano e Diaz e delle due Squadre, sospensione del traffico mercantile Italia-Africa, ricerca “a rastrello” nella notte presso Capo Bon e a est di Malta con la 11° squadriglia caccia (Artigliere) e 1° squadriglia torpediniere (Airone). E’ di quest’ultima operazione di ricerca che ci occuperemo, perché ne scaturì un violento combattimento notturno.
12 ottobre 1940, ore 00.00
Dopo la mezzanotte i caccia e le torpediniere iniziarono la ricerca a sud del parallelo di Malta, affiancati con rotta 270° in direzione ovest e velocità 12 nodi (tra 35°54’ e 35°25’ dal meridiano 16°40’) con 4 miglia tra le unità e circa 8 miglia tra il gruppo dei caccia e quello delle torpediniere, così disposte da nord a sud: torpediniere Alcione, Airone, Ariel e cacciatorpediniere Geniere, Aviere, Artigliere, Camicia nera. La luce della luna era in posizione favorevole, verso ovest-sudovest, rendendo visibile nel riflesso la sagoma di eventuali navi.
Nello stesso momento la Flotta britannica si trovava 50 miglia a sud est di Malta, con velocità 12 nodi e rotta 90° (esattamente in senso contrario ai caccia e torpediniere italiane). La Settima divisione incrociatori britannici si trovava sul lato nord della formazione, con l’Ajax al suo estremo. I tre piroscafi con la loro scorta diretta si trovavano invece molto più a nord, e non sarebbero stati coinvolti.
Le torpediniere (della classe “Spica”) disponevano ciascuna di 4 cannoni da 100 mm e 4 lanciasiluri, i caccia (della classe “Soldati”) disponevano di 6 cannoni da 120 mm e 6 lanciasiluri. L’incrociatore Ajax disponeva di 16 cannoni (8 da 152 mm e 8 da 100 mm) e di una corazzatura media.
Alle 1.37 la torpediniera Alcione avvistò a sinistra di prua, a circa 18.000 metri, una unità nemica che procedeva in senso contrario (probabilmente era l’Ajax). Aumentò la velocità a 17-18 nodi per portarsi in posizione di lancio, con la distanza che diminuiva rapidamente. Anche l’Airone avvistò il nemico di prora a 14.000 metri alle 1.42 e aumentò la velocità a 14 nodi. L’unità nemica sembrava procedere cambiando spesso rotta a zigzag, con velocità valutate tra i 16 e 19 nodi. Alla 1.57 la distanza era scesa a circa 1.800 metri per l’Alcione senza che l’avversario mostrasse di aver avvistato le torpediniere, per cui venne effettuato un lancio di due siluri sul lato sinistro. Più o meno nello stesso istante l’Airone, giunto a 2.000 metri lanciò 4 siluri. Anche l’Ariel lanciava un siluro. Ma nessuno dei siluri avrebbe avuto successo. Ormai l’attacco era iniziato e quindi l’Airone aprì il fuoco, rompendo l’oscurità e il silenzio. Con le prime salve l’incrociatore Ajax fu colpito in plancia e al centro, con la morte di 2 ufficiali e 10 marinai, un ufficiale e 20 marinai feriti. Pochi secondi dopo l’Airone anche Alcione e Ariel iniziavano il tiro. Ma l’incrociatore aveva comunque avvistato da tempo (probabilmente col radar) le unità italiane e si stava preparando al tiro ravvicinato, anche se aveva aspettato troppo e le torpediniere avevano iniziato per prime mettendo dei colpi a segno. L’Ariel, avvistata a circa 4.000 metri, dopo l’unico siluro lanciato fu subito colpita dal tiro britannico, affondando senza alcun incendio. Mentre l’Airone proseguiva oltre nella sua rotta, l’Ajax accostava verso di lei e scatenava il fuoco alle 2.00 contro la poppa della torpediniera, incendiandola e uccidendo il personale delle artiglierie. Da meno di cento metri la torpediniera veniva investita anche dal fuoco delle mitragliere. Alle 2.15 la nave era condannata e il Comandante Banfi ordinava l’abbandono della nave, che sarebbe affondata alle 3.34. L’Alcione riuscì a sparare 15 salve prima di perdere il contatto alle 3.03. Mentre si scontrava con le torpediniere, l’Ajax aveva avvistato anche il cacciatorpediniere Artigliere a circa 3.000 metri, contro cui aprì il fuoco con i pezzi poppieri. L’Artigliere aveva avvistato l’Ajax alle 2.29 e riuscì a lanciare un solo siluro perché fu subito colpito nel ponte di comando, con l’esplosione della riservetta munizioni e un vasto incendio. Era riuscito a rispondere al fuoco con due salve che sull’Ajax resero inservibili un cannone, il radar e una delle bussole. Alle 2.32, dopo soli tre minuti, l’Artigliere era fuori combattimento, con tutti gli ufficiali morti o feriti e l’equipaggio dimezzato; il Comandante Carlo Margottini morì al suo posto di comando. L’Ajax avvistò anche altri due cacciatorpediniere. I caccia in posizione di luce della luna meno favorevole rispetto alle torpediniere, avevano avvistato il nemico più tardi, e vi era stato anche un malinteso nella direzione trasmessa su cui convergere, che forse ritardò il contatto e portò a perderlo rapidamente. In questo caso fu l’Ajax a iniziare il tiro per primo. Forse avvistò l’Aviere, contro cui sparò, senza accorgersi di averlo danneggiato, intorno alle 2.15, tanto da impedirgli il lancio, e dopo fu perso il contatto. L’Ajax avvistò inoltre il Camicia Nera a circa 5.000 metri verso cui sparò pochi colpi alle 2.48, perdendo subito il contatto. Poco dopo le 3 lo scontro era cessato e l’Ajax informava il comando della Flotta, che decideva di far convergere l’incrociatore con la sua divisione verso la Squadra, mandando incontro l’altra divisione incrociatori per creare una forza sufficiente al sorgere del giorno.
La mezz’ora di fuoco aveva lasciato una situazione drammatica da parte italiana: tre navi perdute o in affondamento e altre danneggiate. L’Alcione dopo il tentativo di riprendere contatto col nemico, tornò preso l’Airone in fiamme per salvare i superstiti e diresse poi per Agusta. L’Aviere danneggiato poteva navigare a non più di 14 nodi e si unì al Geniere, che lo scortò sulla via del ritorno. L’Artigliere riusciva a riattivare le macchine ma alla fine doveva ricorrere al traino dell’Artigliere, verso le 4 del mattino. Le due navi impegnate nel lento rimorchio furono avvistate al sorgere del giorno dalla ricognizione che indirizzò verso di loro le navi britanniche. Al loro sopraggiungere il Camicia Nera fu costretto a mollare il traino e salvarsi con le sue doti di velocità. L’Artigliere alla deriva, raggiunto dall’Incrociatore York, venne affondato alle 9.05 dopo l’abbandono dell’equipaggio. L’Ammiraglio Cunningham, positivamente impressionato dal combattimento degli italiani, autorizzò la segnalazione della posizione dei naufraghi. Supermarina aveva ricevuto alle 1.35 il segnale di scoperta dell’Alcione e alle cinque un messaggio del Camicia nera che chiariva la situazione, con necessità di appoggio. Alle 8 del mattino uscivano da Messina gli incrociatori Trento, Trieste e Bolzano con la scorta dei caccia Vivaldi, Da Noli, Tarigo. Ma nella mattinata si capiva che i caccia superstiti non avevano più bisogno di protezione e si decise il rientro. Nel cielo si vedevano bombardieri scortati dalla caccia che andavano verso le forze britanniche nel tentativo di intercettarle. La Flotta britannica venne poi attaccata con bombe e siluri, senza particolari danni, a parte il Liverpool che fu colpito da un siluro. Le operazioni di salvataggio dei naufraghi proseguirono fino alle 15 del giorno 11 con il supporto della nave ospedale Aquileia. Alcuni vennero recuperati da unità britanniche, che erano di nuovo in zona. Furono salvate in totale 225 persone (100 dell’Artigliere, 84 dell’Airone, 41 dell’Ariel che sofferse le maggiori perdite) su un totale di 550 (fonte USMM).
La ricostruzione sintetizza quanto riportato sui testi dell’Ufficio Storico della Marina, dove si fa presente la difficoltà nell’avere certezze, date le condizioni notturne, la rapidità dell’accaduto e la scomparsa di comandanti ed ufficiali. Il Comandante Banfi dell’Airone, ferito alla spina dorsale, vista l’inclinazione della nave in via d’affondamento e l’incendio indomabile, con l’Alcione vicino decise l’abbandono nave e aiutò i sopravvissuti a buttarsi a mare. Scegliendo di restare sulla nave che sprofondava con i moribondi, non fu però trascinato sotto e riemerse, salvandosi. Sull’Ariel si perse la maggior parte dell’equipaggio e mancano dati esatti sulla dinamica dell’affondamento: il Comandante morì come pure l’Ufficiale in 2° che l’aveva sostituito su sua richiesta. Sull’Artigliere con metà equipaggio, gli illesi riuscirono comunque a riprendere il controllo della nave. Di giorno, rimasti senza traino e raggiunti dallo York, che intimava l’abbandono nave con un colpo davanti alla prora, ammainarono la bandiera sull’attenti e l’inabissarono con sacchetto piombato. Appena gettatisi a mare, il relitto fu affondato con le artiglierie e siluri. Lo York si allontanò senza recuperare i superstiti, data la vicinanza alle basi aeree italiane, ma lanciò una zattera. Venne trasmesso un messaggio in chiaro e in italiano con le coordinate per il salvataggio, come voluto dall’ammiraglio Cunningham.
Già il 17 ottobre usciva sulla rivista Tempo un articolo che descriveva in modo abbastanza veritiero lo scontro notturno. Non si nascondeva la perdita delle navi, ritenendo tuttavia che l’incrociatore nemico colpito fosse anche affondato.
“Più che una battaglia è stato un violentissimo corpo a corpo, a notte alta…La battaglia si è frammentata in episodi, si sa che la torpediniera nostra che ha silurato l’incrociatore, è stata subito inquadrata da una serie di salve, concentrate ed efficaci data la minima distanza, è stata raggiunta nelle macchine, immobilizzata, ha continuato a sparare per difendersi mentre lentamente affondava. Un’altra silurante nostra è stata colpita gravemente, è sparita nel buio della notte…un cacciatorpediniere è stato raggiunto da un proiettile che lo ha paralizzato…a rimorchio…vana l’impresa…”
Dei superstiti di quella notte, l’Alcione sarebbe stata silurata da un sommergibile e perduta a Creta nel 1941, l’Aviere silurato e affondato da un sommergibile a nord di Biserta nel 1942, il Geniere distrutto in bacino da un bombardamento nel marzo 1943. Il Camicia Nera (ribattezzato Artigliere dopo la caduta del Fascismo), sarebbe sopravvissuto alla guerra ma venne ceduto all’URSS come riparazione dei danni di guerra. L’Ajax partecipò anche allo sbarco in Normandia e dopo la guerra fu mandato alla demolizione.
Articolo di "Tempo" con varie immagini delle unità italiane e una descrizione non lontana dalla realtà, ma condizionata dalla speranza di aver affondato il nemico. Numero 73 del 17/10/1940.
Considerazioni
Torpediniere e Cacciatorpediniere sono definiti anche come “naviglio silurante”, ovvero si intende che i siluri dovrebbero essere la loro arma più efficace contro unità superiori, rispetto alle quali sono più piccole (meno visibili nel buio) e manovriere. Così i comandanti italiani si avvicinarono coraggiosamente per lanciare i siluri e lo fecero con accortezza, con un moderato aumento di velocità che non sollevava ancora una visibile schiuma bianca nel buio. Le torpediniere riuscirono ad attaccare quasi simultaneamente. I caccia non poterono farlo perché erano in posizione meno favorevole e quando si avvicinarono il nemico era già in allarme. Il fatto che, nonostante l’avvicinamento, nessuno dei 7 siluri sia servito a qualcosa, lascia stupiti. Forse l’avversario era molto mobile, abile nel cambiare rotta, e già sapeva che l’attacco era imminente. Forse avvicinarsi ancora non era possibile senza che il nemico aprisse il fuoco. D’altra parte avvicinandosi di meno ci sarebbero stati rischi minori, ma il lancio sarebbe stato sicuramente inefficace. La possibilità del lancio, anche con maggiore distanza e velocità, di un maggior numero di siluri, tutti insieme e da parte di tutti, ci sembra più teorica che reale in quelle condizioni incerte: vi potevano essere altre navi nemiche e solo dopo la guerra si seppe che gli avversari erano uno soltanto, almeno secondo la versione britannica. Così tutto venne deciso dalle artiglierie e le unità italiane ebbero la peggio, pur dimostrando combattività e coraggio. A breve distanza le loro armi produssero danni e vittime a bordo di un incrociatore, però senza produrre effetti gravi. Il risultato dello scontro fu disastroso e Supermarina dovette darsi delle spiegazioni. Ritenne che torpediniere e caccia si fossero avvicinati troppo, tanto da essere scoperti: il tiro britannico sarebbe stato ritardato di proposito per avere effetti più letali da vicino e l’esito finale era stato casualmente sfavorevole. La grande rapidità con cui il tiro dell’Ajax fu centrato gli permise di fronteggiare e colpire più attaccanti, perché poté neutralizzarli uno dopo l'altro. Questo fu probabilmente reso possibile dal radar, di cui in quel momento Supermarina non sospettava l’esistenza. Era veramente sorprendente che nel buio fossero bastati pochi minuti per mettere fuori combattimento ognuna delle navi, ma Supermarina non fece altre ipotesi. Peccato perché sarebbe stato necessario attendere la catastrofe di Matapan per avere l’evidenza che i britannici avevano una superiore capacità di vedere e sparare nella notte, ovvero disponevano del radar ed erano addestrati a questo tipo di combattimento. Il possesso unilaterale del radar poteva neutralizzare l’effetto sorpresa degli attacchi insidiosi notturni, il lancio di siluri e il tiro ravvicinato, tipici delle piccole unità. Ovvero una intera classe di navi perdeva valore bellico per una novità tecnologica, che era stata sottovalutata. Alcuni sostengono che all’epoca il radar dell’Ajax non potesse essere usato per il tiro e forse nemmeno per la scoperta navale: se così fosse la performance dell'incrociatore fu eccezionale e conferma che, qualunque fosse il segreto del successo (radar o addestramento) i britannici avevano risposte adatte alle necessità ed è questo che conta. Al di là dell’esito negativo gli italiani “avevano combattuto bene” secondo l’Ammiraglio Cunningham, ovvero avevano dimostrato spirito combattivo e tecnica appropriata, con un avversario superiore. La loro condotta differiva abbastanza dal comportamento manifestato dalla Flotta italiana da battaglia, che pur uscendo in mare appariva poco incisiva o troppo prudente, tale da incoraggiare i britannici a muoversi maggiormente intorno a Malta. La differenza era che Supermarina decideva e poneva vincoli alla tattica delle navi maggiori, mentre torpediniere e caccia avevano deciso in totale autonomia, come solo loro avrebbero potuto fare, trovandosi dentro alla situazione. Purtroppo le condizioni oggettive li avevano penalizzati. L’esito di questo scontro confermava ai comandi italiani che era meglio evitare scontri notturni, mentre i britannici ne uscirono rassicurati nelle loro capacità e avrebbero cercato ancora questo tipo di occasioni.
Su questo episodio non disponiamo di testimonianze dirette ma ci piacerebbe riceverle dai nostri visitatori, vissuti personali o ricordi dei familiari. In tal caso, potete scrivere a info@trentoincina.it
Informazioni provenienti da "Le azioni navali in mediterraneo - Dal 10/6/1940 al 31/3/1941" -Ufficio Storico della Marina Militare - Roma 1993.
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