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Scrivici |La Battaglia di Punta Stilo.
- 8-9 luglio 1940. Primo scontro tra le due flotte. -
Salva britannica, con annotazione sul retro riferita a Punta Stilo. Salva certamente vicina e anche raggruppata. (Stampa originale, proprietà V.Dini).
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Ringraziamo Vittorio Dini per le immagini, il parente di De Cian Romano per la segnalazione sui caduti della Cesare, il Mar.Cappelluti per la foto della lapide.
Fu una battaglia aeronavale che è stata molto studiata e di cui tutti hanno parlato. Si possono consultare i tanti testi sull’argomento, ma per cogliere l’essenza dei fatti può essere utile anche il contributo di un visitatore del nostro sito, con alcune foto e la sua testimonianza: navi e aerei italiani non comunicavano fra loro. Lo sa come radiotelegrafista a bordo. Nella foto di apertura che ci ha fornito, si vede una salva britannica molto vicina, ma anche pericolosamente raggruppata e non sparpagliata, come le salve italiane. Evidenze che corrispondono ad alcuni problemi manifestati quel giorno. Si può pensare che la Cesare abbia avuto una sola vittima, e invece furono ben 21, come ci ha segnalato un visitatore, parente di un caduto.
Antefatto: l’inizio della guerra in Mediterraneo.
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrava in guerra. Tutti si attendevano azioni decisive, preparate da tempo. I Britannici temevano la cattura di Malta e non fecero molto per difenderla, anzi evitarono di spendervi forze che pensavano di perdere. Nelle decisioni Mussolini si era basato su considerazioni più politiche che militari: riteneva che il conflitto fosse breve e che i fatti militari servissero soprattutto a guadagnare diritti nelle trattative conclusive. Così vi furono operazioni contro la vicina Francia quasi sconfitta dai Tedeschi, in modo da partecipare alla pace ottenendo guadagni territoriali. A parte questo vi fu ben poco sul mare, taglio di cavi sottomarini, posa di mine, dispiegamenti con l’obiettivo di interdire al nemico il Canale di Sicilia, tra l’Italia e la sua colonia africana. La Flotta francese comunque mostrò iniziativa con un attacco dimostrativo a Genova il 13 giugno. L’entrata in guerra con la Gran Bretagna aveva innescato altre conseguenze: la perdita di centinaia di navi mercantili rimaste fuori dal Mediterraneo, l’impossibilità di rifornire l’Africa Orientale (con una sopravvivenza limitata nel tempo), l’improvvisa criticità del confine fra Libia ed Egitto dove Italiani e Inglesi erano a contatto. Era lì che si voleva avanzare a danno della Gran Bretagna, disponendo di forze terrestri superiori, ma si scopriva che mancava il necessario per progetti offensivi. Era urgente portare via mare in Nord Africa veicoli, munizioni, rifornimenti, solo che ora esistevano dei rischi: il 28 giugno un piccolo convoglio di cacciatorpediniere con truppe e materiali fu sorpreso dal nemico e l’Espero venne affondato. Inoltre i caccia venivano affondati anche da attacchi aerei nei porti africani. La Regia Marina era costretta ad esporsi per le esigenze di rifornimento, altrimenti si basava su una strategia prudente, attendendo le sue nuove corazzate per far sentire la “flotta in potenza” , la cui sola presenza avrebbe dovuto limitare la Marina avversaria. La Royal Navy sapeva che la scomparsa della Flotta francese la metteva in difficoltà, ma secondo la sua tradizione di iniziativa premiante, preferiva esercitare il potere marittimo fin dove il nemico lo permetteva, saggiandone le capacità: temeva soprattutto la numerosa flotta sottomarina italiana e la Regia Aeronautica. Spingendosi verso occidente aveva perso subito l’incrociatore Calypso, silurato dal sommergibile Bagnolini, ma questo non frenò l’approccio britannico. Nelle prime settimane di guerra vi furono successi occasionali da entrambe le parti e sembrava prevalere la cautela esplorativa. Mentre la Regia Marina scortava i primi convogli per la Libia, nella stessa zona la Royal Navy doveva spingersi fino a Malta nella scorta di convogli per evacuarne persone e materiali. Le due Marine avevano iniziato i loro movimenti nord-sud ed est-ovest, sapendo che potevano incontrarsi. Pertanto erano obbligate a dispiegare nelle operazioni anche navi maggiori e usarle se c’erano le condizioni. Era però la Royal Navy a portarsi in una zona dove prevalevano forze nemiche e questo le imponeva azioni diversive, per nascondere intenzioni e rotta.
Schema molto semplificato per cogliere l'essenza dei movimenti. Carta Vallardi del primo novecento.
La Battaglia.
La Battaglia di Punta Stilo (o Battaglia della Calabria) fu il primo contatto a fuoco fra le navi da battaglia italiane e britanniche in Mediterraneo, uno scontro aeronavale dove non vennero conseguiti risultati sostanziali da nessuno degli avversari e tuttavia viene ritenuto importante per il confronto, per i problemi riscontrati, per le conseguenze. Molto conosciuto e studiato nella sua complessità dobbiamo semplificarlo, con imprecisioni di cui ci scusiamo.
Avvenne per la contemporanea presenza in mare delle due flotte, uscite entrambe per scortare dei convogli e non per cercare lo scontro. La flotta britannica doveva scortare due convogli di evacuazione da Malta verso Alessandria: assieme alla forza principale salpata da Alessandria per andare ad accompagnare i convogli, venne fatta muovere anche la forza di Gibilterra verso levante, in modo da nascondere il vero obiettivo. La flotta italiana, con unità provenienti da varie basi, scortava invece un convoglio da Napoli per Bengasi con un ampio dispiegamento di forze per poi rientrare in Italia.
Durante il primo giorno la ricognizione aerea e altre fonti di informazioni permisero a entrambe le flotte di conoscere la presenza del nemico, prevedendo la possibilità di incontro. Alle due corazzate rimodernate Cesare e Cavour, con artiglierie da 320 mm e velocità di 28 nodi, si contrapponevano tre corazzate britanniche con 381 mm, Warspite, Malaya e Royal Sovereign, delle quali soprattutto la Warspite era valida e competitiva (arrivava a 24 nodi). Numerosi gli incrociatori leggeri e pesanti italiani , rispetto ai britannici, che però disponevano di una portaerei (Eagle) con aerosiluranti.
Mentre all’Ammiraglio Campioni sulla Cesare vennero dati ordini prudenziali da Supermarina, l’Ammiraglio Cunningham sulla Warspite decise di sospendere i convogli, di far rientrare la forza di Gibilterra, e di tentare di sbarrare la strada di rientro a Taranto della flotta italiana. Nell’avvicinamento la flotta britannica sostenne molti attacchi di bombardieri italiani, con scarsi effetti .
All’indomani lo scontro navale era certo, con le flotte che correvano con andatura sostenuta e rotte variabili, sempre convergenti verso il Golfo di Taranto. A Campioni era stato indicato da Supermarina anche il punto esatto dove ricongiungere le sue forze, poco sotto Punta Stilo. Però il secondo giorno mancarono alla flotta italiana informazioni della ricognizione su rotta e distanza del nemico, in modo da assumere la corretta posizione della formazione. Al contrario la ricognizione avversaria aveva ripreso il contatto e avvennero attacchi di aerosiluranti, mai contrastati da velivoli italiani. Gli attacchi (senza successo per le pronte manovre delle navi) facevano intuire la vicinanza di una portaerei e quindi delle navi da battaglia.
Dopo il reciproco avvistamento, e le difficoltà per adeguare la formazione italiana, venne aperto il fuoco alle massime distanze, prima tra incrociatori più vicini (20 km), poi dalle corazzate, con gli incrociatori costretti ad accostare, e infine le grandi navi rimasero a duellare tra loro, con le distanze che diminuivano ancora (da 30 a 20 km). La corsa attraverso il Mar Ionio fu interrotta da un colpo da 381 della Warspite che raggiunse la Cesare, con modesti danni ma effetti sulle caldaie, facendo scendere la velocità a 18 nodi. Velocità troppo bassa per mantenere la coesione da battaglia. Con una corazzata menomata e l’altra che sarebbe rimasta sola contro tre, l’Ammiraglio Campioni decise di rompere il contatto e stendere cortine nebbiogene. Tale barriera impediva il tiro britannico e sconsigliava di attraversarla per i rischi. I cacciatorpediniere italiani venivano mandati ad attaccare con i siluri, lanciati però a grande distanza perché contrastati dalle artiglierie di navi di ogni dimensione.
Cunningham decideva di proseguire verso nord, per cercare orizzonte sgombro, immaginando la persistenza italiana nella rotta verso Taranto. Poi rientrò. Nel frattempo la Cesare aveva riacquistato velocità sufficiente per proseguire con la squadra il disimpegno verso la Sicilia. I bombardieri italiani, più volte richiesti, attaccarono in ritardo sia le navi britanniche che quelle italiane per errore.
Particolare dei danni sullla Cesare, causati dal colpo da 381 mm della Warspite. (Stampa originale, proprietà V.Dini).
Considerazioni
La direttiva strategica italiana prudenziale nell’uso delle grandi navi (non facilmente rimpiazzabili una volta perdute) risultò subito evidente negli ordini dati da Supermarina all’Ammiraglio Campioni (“Non impegnatevi”), che arrivavano fino a condizionarne le scelte tattiche. Dall’altra parte è evidente l’autonomia dell’Ammiraglio Cunningham, che decise di cercare lo scontro con spirito aggressivo fin davanti a Taranto. Pur essendo insoddisfatto del risultato, nei fatti aveva costretto la flotta italiana a ritirarsi e a rinunciare di rientrare nella base prevista, saggiandone lo spirito.
L'Ammiraglio britannico aveva fatto anche importanti verifiche. Il colpo sulla Cesare era dovuto al fatto che Cunningham aveva voluto ridurre le distanze per raggiungere risultati decisivi, mentre Campioni sperava nel colpo fortunato tenendosi alle massime distanze. Sia Cunningham che Campioni mantennero le loro diverse convinzioni dopo lo scontro, ma i fatti davano più ragione all’Ammiraglio britannico. Aveva visto che il tiro italiano era ben centrato, però le salve erano molto disperse (ovvero c’era eccessiva distanza tra i proiettili di una stessa salva) con scarsa probabilità di colpire il bersaglio. Si era avvicinato molto alla costa nemica senza conseguenze, ridimensionando il suo timore dei sommergibili e della Regia Aeronautica. Nonostante il gran numero di attacchi e di bombe degli italiani, poche erano arrivate a segno e pochi erano stati i danni. Il bombardamento d’alta quota confermava quindi la sua insufficiente precisione. Inoltre le bombe degli aerei italiani non erano risultate abbastanza potenti per penetrare le corazzature orizzontali delle navi. Anche gli aerosiluranti britannici non avevano avuto successo, ma erano pochi rispetto ai tanti bombardieri impiegati dagli italiani. Il fatto più importante per Cunningham era constatare che Regia Marina e Regia Aeronautica non potevano impedirgli l’accesso al Mediterraneo Centrale. D’altra parte era anche intuibile che sarebbe stato difficile interdire il traffico dei convogli italiani partendo da Alessandria.
Anche gli Italiani avevano fatto delle verifiche, scoprendo alcuni problemi. Mentre il primo giorno la Regia Aeronautica aveva assolto i compiti pianificati di ricognizione e di attacco in modo eccellente, il giorno dopo la sua attività fu insoddisfacente nel coordinamento con la Regia Marina. La ricognizione non ritrovò la flotta britannica, non vi furono aerei da caccia che contrastassero ricognitori e aerosiluranti nemici, i bombardieri furono assenti nel momento cruciale, e per giunta bombardarono le navi italiane, che risposero al fuoco, abbattendo anche un aereo. Su 126 velivoli almeno 35 o 50 avevano attaccato le navi italiane, e anche il giorno prima c’era stato un bombardamento errato. A parte le facili accuse reciproche, era evidente che c’erano troppi passaggi per i messaggi tra i comandi di Marina e Aeronautica e ci volevano ore per avere in cielo quanto richiesto, che non fosse stato pianificato prima. Inoltre col rapido mutare di rotte e situazioni, come avvenne il secondo giorno, si aggiungeva la mancanza di informazioni precise che guidassero gli aerei nel posto giusto a fare quanto dovuto. L’Aeronautica non sapeva più che rotta facessero le navi italiane e dove cercare quelle nemiche, magari quelle si trovavano al posto delle altre. Istruzioni in ritardo cambiavano di significato e inducevano azioni sbagliate. Si scopriva il fallimento della separazione totale tra le due Forze Armate, inconciliabile nelle azioni aeronavali. Tale separazione aveva impedito per lungo tempo di parlarsi, conoscersi, trovare soluzioni, allenarsi. C’era la reciproca volontà di collaborare ma sarebbe stato difficile (e lento) farlo con singoli rimedi, mantenendo strutture organizzative e di comunicazioni inadatte. Questo imbarazzante problema, che creava sfiducia reciproca, monopolizzava l’attenzione sminuendo altri problemi non trascurabili nelle strategie, tattiche e tecniche della nuova guerra aeronavale. Si sarebbe rimediato con strisce bianche e rosse sulla prora delle navi, per riconoscerle, ma ci volevano modifiche più profonde per ottenere sincronizzazione. Al contrario i pochi velivoli britannici erano stati usati esattamente quando servivano.
L'esaltazione pubblica della battaglia e l'asserzione che ci fossero stati gravi danni alle forze nemiche (poi risultati inesistenti o limitati) mettevano in secondo piano altri problemi rilevanti come la dispersione del tiro navale e la scarsa efficacia del bombardamento in quota, che si sarebbero ripresentati in altri scontri aeronavali. Per il resto la battaglia sembrava aver confermato la volontà combattiva e la possibilità di far meglio alla prossima occasione. Ma pareva anche che fosse mancato qualcosa e si fosse persa qualche opportunità.
A Taranto si trovavano due corazzate nuove e potenti, Littorio e Vittorio Veneto, e si era pensato di mandarle in azione quando ormai si sapeva del prossimo scontro nel Golfo. Ma non avevano ancora completato messa a punto e addestramento. Sistemi complessi come quelli di una corazzata non permettevano approssimazione e non era il caso di arrischiare le preziose unità in condizioni di inferiorità contro forze aeree e navali nemiche affidabili e determinate. Secondo alcuni bisognava approfittare meglio della superiorità italiana di incrociatori, invece di concentrare le forze. Altri ritengono che l’impatto del colpo sulla Cesare abbia avuto un effetto più psicologico che reale e che si dovesse insistere. Altri ancora pensano che si sia persa l’occasione storica per farsi valere. Si può anche discutere molto sulla comparazione fra le forze navali, che in quel momento non era facile da valutare come a posteriori. Inevitabili osservazioni a fronte delle quali il protagonista doveva invece scegliere e portare la responsabilità complessiva delle sue decisioni.
L’Ammiraglio Campioni riuscì comunque ad operare all’interno di direttive e ordini di Supermarina, nella prima vera battaglia con la Royal Navy, senza subire perdite.
Lapide nel Sacrario del Cristo Re a Messina (immagine fornita dal Mar.Cappelluti). Sullo sfondo quadro a olio raffigurante la battaglia di Punta Stilo.
Aspetti meno conosciuti.
21 morti della Cesare.
Il colpo del massimo calibro raggiunse la nave al centro, penetrò dal fumaiolo ed esplose nei locali sottostanti, provocando un incendio e fumo tossico, che aspirato dai ventilatori invase i reparti caldaie obbligando a spegnerne metà. Le squadre intervennero e tutte le fonti parlano di un solo morto per asfissia, quasi per sottolineare i danni trascurabili . Ma un visitatore, parente di un caduto (De Cian Romano di origini venete, trasferitosi presso Follonica nel 1925), ci ha spiegato che vi furono molti feriti gravi per ustioni. Sbarcati la sera stessa a Messina, in gran parte morirono. Sono sepolti al Sacrario Militare del Cristo Re, una bellissima cupola ben visibile all'entrata del Porto di Messina. All'interno, esiste ancora oggi la lapide, ben curata, con il nome dei 21 caduti della battaglia. Nel sacrario riposano i resti di caduti della prima e seconda guerra mondiale. Il 29 marzo 2010 nel sacrario si è svolta una Santa Messa di suffragio per i caduti di Capo Matapan.
Altri effetti dello scontro
L’incrociatore Bolzano fu colpito da tre colpi dell’Incrociatore Neptune, riportando alcuni danni, anche al timone. Prima di riparare il danno effettuò un giro completo, pur continuando il fuoco.
L’incrociatore Gloucester fu colpito dal bombardamento aereo nel ponte di comando con varie vittime, tra cui il Comandante. Anche la Portaerei Eagle fu colpita, richiedendo successivi lavori.
Per quanto riguarda la forza uscita da Gibilterra, sottoposta ad attacchi aerei, il cacciatorpediniere Escort (danneggiato dai bombardieri italiani) venne silurato e affondato dal sommergibile Marconi.
Rischio di siluramento fra navi italiane.
Nella notte, alle 4.30 in presenza di navi non riconosciute a levante del gruppo corazzate, furono mandate in attacco due squadriglie caccia, con la prima che effettuò lancio di due siluri, per fortuna senza conseguenze, contro navi poi riconosciute dall’altra squadriglia come incrociatori tipo Trento (erano passati sulla dritta, senza segnalazione).
Uso inconsueto delle artiglierie
Durante lo scontro gli incrociatori pesanti italiani aprirono il fuoco contro le corazzate britanniche, nell’intento di sostenere il tiro delle proprie corazzate (di calibro inferiore a quelle nemiche) ma poi lo sospesero perché attaccati dagli incrociatori britannici.
La corazzata Warspite aprì il fuoco con le sue artiglierie minori antisiluranti contro i caccia italiani, nell’intento di sostenere i propri caccia.
Entrambe le anomalie avvennero perché si scese a distanze ridotte per tali artiglierie, ma furono episodi temporanei.
Forze della Regia Marina impiegate nell’operazione
Elenchiamo alcuni dati sulle unità presenti, per dare una sensazione del dispiegamento (accettiamo volentieri eventuali precisazioni dai nostri visitatori).
All’azione navale presero parte 2 corazzate, 16 incrociatori (6 pesanti con 203 mm e 10 leggeri con 152 mm) e circa 24 cacciatorpediniere, così organizzati:
I Squadra, con V Div. navi da battaglia Cesare, Cavour, Ammiraglio Campioni (comando V, IV, VIII Div.)
II Squadra con I.pesante Pola, Ammiraglio Paladini (comando I, II, III, VII Div.)
I Div. I.pesanti Zara, Gorizia, Fiume;
III Div. I.pesanti Trento, Bolzano;
II Div. I.leggeri Bande Nere, Colleoni;
IV Div I.leggeri Da Barbiano, Di Giussano, con Cadorna e Diaz (poi rientrati per avarie);
VIII Div. I.leggeri Abruzzi, Garibaldi;
VII Div. I.leggeri Eugenio di Savoia, Duca d'Aosta, Attendolo, Montecuccoli;
Per i cacciatorpediniere:
VII Squadriglia Freccia, Saetta, con Dardo e Strale (poi rientrati per avarie)
VIII Squadriglia Folgore, Fulmine, Baleno, Lampo
XV Squadriglia Pigafetta, Zeno
XVI Squadriglia Da Recco, Usodimare, Pessagno
XII Squadriglia Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari
IX Squadriglia Alfieri, Gioberti, Oriani, Carducci
XI Squadriglia Artigliere, Camicia Nera, Aviere, Geniere
XIII Sq.Granatiere (4 unità)
Il giorno 9 per sostituzioni XIV Sq. Vivaldi, Pancaldo, con Da Noli (poi rientrato per avarie).
Forze Britanniche Mediterranean Fleet
3 corazzate, 5 incrociatori leggeri, 1 portaerei, 1 conduttore di flottiglia, 15 cacciatorpediniere, così disposti:
7° Div.I.leggeri Orion, Neptune, Sidney, Liverpool, Gloucester e Caccia Stuart;
Forza B Corazzata Warspite, 14° flottiglia caccia Nubian, Mohawk, Hero, Hereward, Decoy;
1 Div. Royal Sovereign, Malaya, Portaerei Eagle, 2° flottiglia caccia Hyperion, Hostile, Hasty, Ilex, Dainty, Defender, Juno, Janus, Vampire, Voyager, con Imperial (ritirato per avarie);
Da Malta caccia Jervis, Diamond.
La Forza H di Gibilterra comprendeva 3 navi da battaglia, Hood, Revenge, Valiant, la portaerei Ark Royal, 3 incrociatori e 13 cacciatorpediniere.
In totale si mossero quasi cento unità da guerra.
La ricostruzione dettagliata della Battaglia si può trovare nel Volume "Le azioni navali in Mediterraneo. Dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941" dell'Ufficio Storico della Marina Militare.
Una descrizione più scorrevole si può trovare anche in "La guerra italiana sul mare" di G. Giorgerini edito da Mondadori.
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