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Scrivici |La corazzata Roma, il passato torna presente
- Un relitto ritrovato -
La Roma in mare aperto, l'istantanea del colpo fatale del 1943, la Stampa dei giorni nostri.
Trovato il relitto della Roma.
Durante l'estate 2012 è stato trovato il relitto della corazzata Roma, affondata il 9 settembre 1943.
Una notizia di rilievo, trattandosi di uno dei più importanti relitti del Mediterraneo, cercato da tanti anni, testimonianza di uno dei più drammatici momenti nella storia della Marina italiana. All’indomani dell’armistizio, la Flotta si stava muovendo verso i porti degli Alleati, secondo gli accordi, ma venne attaccata da bombardieri tedeschi che riuscirono a colpire e affondare la nave ammiraglia.
Scopritore del relitto è stato l'Ingegnere Guido Gay, che lo cercava da anni. E non era il solo. La zona di ricerca non era infinita ed era stata individuata una rilevazione sonar significativa a più di mille metri di profondità, quota non facile da esplorare. Il relitto è stato raggiunto da un piccolo robot subacqueo, progettato e realizzato dallo stesso Gay, le cui riprese video potevano essere analizzate dagli esperti per una sicura identificazione. Fra i molti particolari di un relitto ben conservato e leggibile, un caratteristico cannone antiaereo da 90 mm non ha lasciato dubbi.
Il relitto con le sue affascinanti immagini è stato segnalato dai principali media, che hanno dovuto accompagnare la notizia con una breve descrizione della vicenda, un richiamo ai fatti di cui fu protagonista e vittima la nave con il suo equipaggio: l'armistizio del 1943.
Ritrovamento e attenzione all'argomento sono fatti positivi, perché viene coinvolto un più vasto pubblico, accendendo qualche curiosità in chi non ne sapeva niente. Ciò conferma quanto siano importanti i relitti, non soltanto per il loro valore storico intrinseco, quello che possono raccontare, ma per il fatto di essere oggetti concreti, capaci di provocare emozioni, suggestionare, stimolare, certo più delle semplici pagine di storia che tutti dovrebbero conoscere.
La dinamica degli avvenimenti e le caratteristiche di queste navi, orgoglio della Marina, sono già state accennate sul sito descrivendo la classe Vittorio Veneto e l'affondamento della Roma. L’affondamento della nave ammiraglia della Flotta fu un caso particolare, una grande nave distrutta da una sola bomba, sia pure tecnologicamente avanzata, sganciata da un bombardiere medio. Possibile che venisse distrutto così tanto con così poco? Rispondendo sì, bisogna domandarsi che senso avesse investire ancora nelle grandi navi da battaglia. Fu dunque un momento di svolta, anche conclusivo del confronto aeronavale in Mediterraneo e della stagione delle grandi navi da battaglia, ormai destinate al declino.
La corazzata Roma nella primavera 1942, prima della consegna alla Regia Marina.
Necessarie e vulnerabili, così tanto con così poco
Alla fine dell'ottocento, con il progresso delle bocche da fuoco, le battaglie navali erano cambiate, non più delle mischie di tutti i tipi di navi ma duelli di artiglierie a grande distanza, dominati dalle navi maggiori. Fra queste si affermava la corazzata monocalibro, ideazione italiana, con una tale portata di tiro e corazzature così spesse che solo una nave equivalente poteva affrontarla. Ciò decretava valore e comportamento di una intera flotta. Pertanto, nella prima metà del novecento sembrava che una flotta degna di questo nome non potesse fare a meno delle corazzate, soprattutto se gli altri le avevano.
Il costo di queste navi era elevatissimo per ogni nazione (si cercarono accordi internazionali per contenere la corsa al rialzo) e chi non poteva permettersele in numero adeguato doveva escogitare altri mezzi meno costosi per contrastare la minaccia. Mentre le corazzate progredivano, l'invenzione del siluro e il successivo avvento dell'aviazione, offrirono modi fattibili e convenienti per insidiarle, per distruggere così tanto con così poco.
Gli italiani dispiegarono durante il secondo conflitto mondiale 4 corazzate rimodernate (Cavour, Cesare, Andrea Doria, Duilio) e 3 corazzate moderne (Littorio, Vittorio Veneto, Roma) a cui doveva aggiungersi una quarta (Impero) poi rimasta incompiuta. Come era prevedibile, divennero obiettivo del nemico, insidiate da bombe e siluri, sia in mare aperto che in porto. Furono spesso danneggiate, però senza che avvenisse una sola perdita definitiva in tre anni di guerra, fino alla sospensione delle ostilità. Un risultato che poteva essere visto come un merito (accorta gestione e qualità delle navi) oppure come un demerito (insufficiente aggressività, risparmio di quello che doveva essere speso). Ma questa seconda opinione, molto diffusa, dovrebbe essere verificata, come vedremo più avanti.
L'anomalia italiana era arrivare alla fine con una delle Forze Armate, la Marina, ancora consistente ed efficiente: normalmente ci si arriva senza più capacità di difesa (l'annientamento delle forze armate è appunto un mezzo sicuro per costringere alla resa). Se gran parte del naviglio minore e dei sommergibili aveva subito pesanti perdite, altrettanto non avvenne per le corazzate. Era forse la conseguenza di strategie conservative discutibili (uso della Flotta come deterrente) o di un impiego sempre più limitato dalla penuria di carburante o dall'impossibilità di proteggersi dalla supremazia aerea alleata.
A posteriori molti pensarono che le grandi navi fossero state risparmiate negli ultimi mesi di guerra ai fini negoziali, ma si dovrebbe riflettere sul fatto che gli Alleati continuarono a tentare di distruggerle fino all'ultimo. Fatalmente, quanto restava della Flotta si trasformava in oggetto di interesse, sia per non lasciarla ai tedeschi, sia per future necessità belliche e logistiche, sia per il valore intrinseco.
Eleganza e imponenza delle corazzate Classe Littorio in navigazione.
Armistizio e dintorni, il destino della Roma
Nell'estate 1943 la situazione militare dell'Italia era ormai insostenibile: dopo le sconfitte sulla neve in Russia e sul deserto in Africa, dopo aver perduto quasi tutto l'impero coloniale, il territorio nazionale veniva invaso senza possibilità di contrattacco, nemmeno con l'aiuto tedesco. Città, industrie, porti, erano esposti senza difesa ai bombardamenti.
Il contrasto con gli ambiziosi propositi dell'entrata in guerra di tre anni prima, evidenziava un fallimento senza prospettive.
La sconfitta era una realtà e deporre le armi era la scelta più logica per il Re, per evitare le estreme conseguenze di combattere fino all'ultimo: vittime, distruzioni, annientamento della nazione. Ma il Patto d'acciaio e lo stretto rapporto del Duce con il Fuhrer lo impedivano. Destituire Mussolini (25 luglio) fu un passaggio obbligato al fine di avviare segrete trattative di pace, affidate al nuovo governo di Badoglio. Se molti già esultavano pensando che la caduta del Duce significasse la pace, Badoglio disse “la guerra continua” nell'ovvio tentativo di rassicurare i tedeschi, che però intuirono le intenzioni e pianificarono le contromisure.
Mentre Badoglio, con altri generali dell'Esercito, tentava di negoziare accordi con gli angloamericani, complicati da segretezza e malintesi, la Marina veniva tenuta all'oscuro. Anche il Capo di Stato Maggiore, e Ministro della Marina del nuovo governo, l'Ammiraglio De Courten, sarebbe stato informato solo all'ultimo, a decisioni ormai prese, di ciò che riguardava la Marina.
Negli ultimi mesi l'attività navale si svolgeva soprattutto con le unità minori e insidiose, perché incrociatori e corazzate non furono impiegate, quando ancora valeva la pena, per contrastare lo sbarco in Sicilia o sul continente. Se anche vennero iniziate alcune missioni, vennero poi sospese. Certo il carburante scarseggiava, specie per muovere le grandi navi e tutta la Flotta che le circondava, ma vi erano anche altre considerazioni. In effetti, di fronte allo strapotere aeronavale del nemico, con efficacissimi mezzi di scoperta, risultava difficile attaccarlo di sorpresa con le navi maggiori: significava un sacrificio sicuro con scarsi risultati, a parte l'onore. Tuttavia comandanti ed equipaggi si immaginavano che venisse loro chiesto di sacrificarsi per la Patria, in un'ultima battaglia, prima che si parlasse di resa. Ma proprio quando venne ordinato di salpare con l'intera Flotta, ci fu l'armistizio (8 settembre).
L'armistizio oltre che segreto era anche inaspettato: veniva reso pubblico dagli Alleati prima di quando il governo italiano avesse previsto, generando un precipitare degli eventi di cui si perse il controllo. Il Re e parte del governo abbandonarono subito Roma per non cadere nelle mani dei tedeschi e si trasferirono verso il sud dominato dagli Alleati. Mentre i tedeschi prendevano l'iniziativa, gran parte delle Forze Armate italiane,
prive di ordini precisi, erano disorientate e divise, spesso incapaci di contrastarli.
Per la Marina fu abbastanza diverso, perché la Flotta non venne abbandonata a se stessa, grazie alla centralizzazione, che rimase come riferimento di comando, e alla disciplinata organizzazione di ogni nave. Compattezza del sistema, fedeltà monarchica, più stretto rapporto tra militari (a bordo) e ufficiali, furono fattori che favorirono la prevalente obbedienza della Marina agli ordini del Re.
L'armistizio (termine che fa pensare a un negoziato alla pari) era in realtà una resa senza condizioni (equivoco di fondo tra angloamericani e italiani) dove si definivano solo le modalità di sospensione delle ostilità, mentre altre condizioni sarebbero state trasmesse in seguito.
Nell'immediato, per evitare la cattura della flotta ancora temibile e il suo uso da parte tedesca, gli angloamericani imposero che le navi si trasferissero nei loro porti e fossero rese inoffensive. Fu questo il sacrificio che venne richiesto alla Marina, nell'interesse della nazione, secondo gli ordini del Re. Era chiaro che le future condizioni di pace sarebbero state influenzate dal comportamento italiano.
Che cosa avvenne sulla Roma e sulle altre navi al momento dell'armistizio?
In poche ore ufficiali ed equipaggi passarono dalla possibilità di una missione suicida contro gli Alleati alla notizia liberatoria e annientante della fine delle ostilità, poi alla prospettiva infamante di consegnare le navi al nemico, quindi al desiderio rabbioso di autoaffondare le navi, alla più accettabile soluzione di trasferirsi nei porti Alleati mantenendo la bandiera, infine agli interrogativi su cosa avrebbero fatto i tedeschi...
Fu dunque l'Ammiraglio De Courten a convincere l'Ammiraglio Bergamini (poi scomparso con la Roma) a dirigersi verso sud, rispettando gli ordini e gli accordi di armistizio. Prima destinazione era la base militare de La Maddalena in Sardegna, e quando si seppe che era in mano tedesca, si cambiò destinazione per la Tunisia. Ma il destino aspettava la Roma al largo dell'Asinara, con un attacco tedesco che nessuno immaginava.
L’affondamento della corazzata Roma a ostilità sospese fu uno sconvolgente imprevisto, oltre che una novità tecnica, un ennesimo colpo al destino di queste navi. Ora si poteva colpire con sicurezza da alta quota, rimanendo impuniti, senza un grande dispiegamento di mezzi. Oltretutto l’attacco fu portato dai tedeschi che in quel frangente non avevano particolare forza navale o aerea in Mediterraneo: non era necessario nemmeno un temporaneo o locale dominio del mare o dell’aria per affondare una corazzata. Era dunque giunto il momento di una profonda riflessione per tutti sul futuro delle corazzate.
Il prestigio delle navi contese
Se questa amara constatazione (così tanto per averle, così poco per perderle) era ormai presente in tutte le Marine, tuttavia le corazzate, considerate strumento per accedere alla supremazia, mantenevano il loro valore simbolico, di prestigio.
Con l'armistizio l’Italia avrebbe messo le sue navi al servizio degli Alleati, sperando in un benevolo trattamento da definirsi in seguito. Fu una collaborazione vera e sostanziale per milioni di miglia, un sacrificio volenteroso che meritava di essere apprezzato, non solo a parole. Le due superstiti corazzate moderne, Italia (ex Littorio) e Vittorio Veneto, le gemelle della Roma, furono mandate per quasi tre anni nei Laghi Amari di Suez, considerate inutili e quindi rese inoffensive, quasi una punizione. Poi al loro rientro in Italia rimasero comunque inutilizzate.
A guerra finita, con le condizioni imposte dalla resa, l’Italia scoprì che doveva cedere gran parte delle sue navi come risarcimento ai vincitori, dato che si pretendeva una drastica riduzione della flotta, considerata bottino di guerra (nonostante la resa volontaria e pacifica). De Courten si batté per contrastare questo destino, anche per motivi di principio, per rispetto delle promesse e dell’orgoglio della Marina. Ma ormai più che tenere fede agli accordi passati, si guardava agli interessi futuri e alla politica internazionale.
Le due corazzate migliori erano destinate agli angloamericani, che poi vi rinunciarono a condizione che venissero demolite. Le corazzate stavano perdendo interesse e l’inserimento delle italiane nella loro Marina comportava problemi e costi di integrazione. Invece l’Unione sovietica, determinata ad avere la sua parte (un terzo del bottino degli altri, senza aver condiviso il suo), non rinunciò ad avere la corazzata Cesare e fu la nazione che ottenne il maggior tonnellaggio di navi dall’Italia.
Se la Roma non fosse stata affondata sarebbe stata oggetto di queste vicende, essa o un'altra sarebbe forse finita ai sovietici e alla fine sarebbero stati i soli a sfoggiare nella loro Marina quella che una volta era l’orgoglio della Regia Marina. Con questo non vogliamo dire che sia meglio averla perduta in mare, perché pensiamo alle tante vittime che trascinò con sé.
Può sembrare assurdo che le due corazzate più moderne venissero così contese per poi finire demolite, ma questo conferma il valore simbolico e di prestigio che tutti gli attribuivano. Col passare del tempo diveniva chiaro che l'Italia avrebbe fatto blocco con l'Occidente e gli americani divenivano favorevoli ad attenuare le condizioni, mentre i britannici non potevano ignorare la loro opinione pubblica, memore della dura lotta in Mediterraneo, poco incline ad essere lungimirante. Per analoghi motivi i sovietici non volevano fare sconti e pensavano solo all'immediato. La Francia (sempre attenta al confronto con l'Italia) non poteva concederle molto, mentre Iugoslavia e Grecia ottennero anche loro quote del naviglio italiano. Nel frattempo le due migliori corazzate rimasero ad arrugginire a la Spezia.
Infine la Commissione congiunta ordinò di demolirle nel 1948, con precise azioni irreversibili. Fu compiuta la mozzatura dei cannoni, il taglio dei tubi del vapore, lo sfregio dei raffinati ingranaggi, la distruzione delle turbine, e le due grandi navi erano ormai dei relitti, da fare a pezzi per ricostruire l'Italia.
Bombardamenti americani. Ammiragli esaminano i danni superficiali dopo la battaglia di Mezzo Giugno 1942. Bombardamento delle corazzate a Spezia il 5 giugno 1943, tre mesi prima dell'armistizio.
Qualità delle “Littorio”
La fine improvvisa e inattesa della corazzata Roma porta a chiedersi se vi fossero difetti strutturali dietro all’apparenza maestosa delle unità classe “Littorio” (o “Vittorio Veneto”). Un sospetto che può venire seguendo il luogo comune, di sfiducia in un'Italia militare più immagine che sostanza, coltivato nel dopoguerra “per voltare pagina”, per sottolineare l'idea di un'Italia non fatta per la guerra. La verità storica è che la Marina italiana aveva navi di ottima qualità; se anche vi furono alcune unità meno riuscite, certamente le nuove corazzate furono ai massimi vertici internazionali.
Secondo la più approfondita e recente monografia sulle Corazzate “Littorio” per l'affondamento della Roma “la perforazione di tutti i ponti corazzati da parte di entrambi gli ordigni non può essere assunta a particolare prova di debolezza della protezione orizzontale”.
In altre parole, l'affondamento della Roma non sarebbe imputabile alla nave in quanto tale: anche se la corazzatura poteva essere migliore (ne parliamo più avanti) il vero problema era che le corazzate dell'epoca, di ogni nazione, non erano concepite per reggere tali offese.
Confronti con altre corazzate dell'epoca mostrano qualità e competitività delle “Littorio”. Furono anche duramente colpite più volte in guerra ma solo la Roma venne perduta: in effetti l’affondamento dell'ammiraglia è un caso particolare.
Le bombe Fritz X vennero usate in altre occasioni contro le navi alleate, sia prima che dopo la tragedia della Roma, che rappresenta il successo più clamoroso, per l'importanza della nave. Ma i confronti non sono possibili perché ogni colpo fece storia a sé: gli effetti dipendevano dalle condizioni, dal punto di impatto, dal tipo di nave.
La prima occasione in cui vennero usate (Agusta) non vi furono centri.
Nello sbarco di Salerno vennero danneggiati gravemente gli incrociatori Savannah e Uganda (quest'ultimo attraversato interamente con esplosione sotto la chiglia) mentre l'incrociatore Philadelphia fu investito da esplosioni fuori bersaglio: evidentemente le navi meno grandi e mediamente corazzate non erano il bersaglio più adatto per questi ordigni.
Infatti la corazzata Warspite, unica nave di dimensioni paragonabili alla Roma, subì il perforamento di sei ponti con esplosione all'interno, nelle caldaie, e notevole allagamento; quindi, vista la particolare zona dove venne colpita, non saltò in aria e non affondò ma venne comunque danneggiata gravemente, tanto che venne poi rimorchiata per l'impossibilità di muoversi.
In altri casi (mercantili) non è certo che siano state usate le Fritz X, o piuttosto le Hs 293 (del tutto diverse, plananti e non dotate di elevato potere perforante). Anche per lo sbarco in Normandia vennero spesso usati gli altri ordigni. Gli Alleati lavorarono per effettuare contromisure radio per disturbarne il sistema di guida, a testimonianza di quanto prendessero sul serio questo tipo di attacchi, ormai destinati solo a loro.
Riassumendo:
- Il risultato più letale veniva raggiunto con navi abbastanza robuste, quando l'ordigno esplodeva all'interno, senza attraversarle da parte a parte: erano bombe concepite davvero per le corazzate, come la Roma.
- Il sistema di guida ottica da grande altezza consentiva di infliggere un colpo mirato nella zona vitale, e le dimensioni della nave lo facilitavano, come i 33 metri di larghezza della Roma.
- Le bombe Fritz X vennero poi usate soprattutto nel tentativo (vano) di contrastare le forze navali alleate: forse era ben diverso colpire l'ammiraglia della flotta “traditrice”, secondo gli ordini di ritorsione di Hitler, un obiettivo irrinunciabile, di grande significato militare e propagandistico, molto motivante per gli equipaggi dei bombardieri.
- L'attacco alla Roma fu probabilmente l'unico caso in cui i bombardieri tedeschi ebbero la massima tranquillità nell'operare, grazie alla matematica certezza di non incontrare un contrasto della caccia nemica sopra il bersaglio.
- La Roma non fu raggiunta nel deposito munizioni principale ma in un deposito secondario, la cui esplosione interna raggiunse il deposito dei grossi calibri: una dinamica imprevedibile.
- La Roma, dopo una apocalittica deflagrazione (che avrebbe normalmente spezzato in due qualunque nave), rimase comunque a galla per venti minuti. Si spezzò solo per le torsioni dell'affondamento (238 metri di lunghezza).
Effettivamente fu un caso alquanto particolare.
Le offese di guerra
A questo punto bisognerebbe fare un passo indietro e spiegare l'assenza di successi definitivi contro le corazzate italiane fino all'armistizio. Non è affatto vero che le corazzate italiane siano state preservate dalla guerra e nemmeno che si sia fatto affidamento fatalistico sulla fortuna. Al contrario il loro impiego fu costante, spesso colpite ma riparate al più presto, con un costante impegno e attenzione nel mantenerle e migliorarle.
Il comportamento delle corazzate classe Littorio a fronte di colpi nemici era sempre oggetto di accurato esame, riparazioni e contromisure, rinforzi e suddivisioni, perfezionamenti e rimozione di difetti. Dagli impianti elettrici alle pompe, dalle strutture alle protezioni, in mille dettagli, le navi vennero modificate in continuazione per tutto il conflitto. Da ogni attacco si ricavarono insegnamenti e interventi per migliorare l'affidabilità, tanto che in altri fatti di guerra le modifiche risultarono determinanti.
La risposta delle navi era risultata eccellente per siluri a segno in navigazione di guerra, con immediate correzioni di sbandamento, contenimento di allagamento da falle rilevanti, mantenimento di direzione e velocità anche con gravi danni. I famosi “cilindri di assorbimento Pugliese” in diverse occasioni riuscirono a smorzare gli effetti dell'esplosivo e limitare sfondamenti e allagamenti; in altre zone estreme non ebbero effetto e ci si affidò alla compartimentazione, allo svuotamento, a contromisure d'emergenza, ad allagamenti controllati compensativi, riuscendo sempre a rientrare alla base ad andature elevate.
Si pensi che a Matapan la Vittorio Veneto colpita e allagata, con solo metà delle eliche riuscì a raggiungere due terzi della velocità massima (venti nodi), spremendo le macchine di dritta per 21 ore, andando oltre le potenze massime sperimentate in prova, arrivando all'equivalente delle potenze teoriche di progetto (160.000 cavalli). Una dimostrazione eloquente di qualità complessiva della nave.
Bombardamenti “normali” di quadrimotori americani sulle corazzate italiane avevano prodotto danni leggeri, e quando avevano colto in pieno il bersaglio (una torre delle artiglierie), aveva resistito.
Purtroppo gli ultimi bombardamenti da alta quota, in porto, avevano dimostrato un crescente pericolo dalle bombe perforanti più grandi (circa una tonnellata), tanto da perforare la corazzatura orizzontale dei ponti, il cui totale superava i 20 centimetri. Per ovvi motivi di peso, più di tanto non si poteva esagerare nella corazzatura orizzontale, che in fondo era una sola delle componenti da bilanciare in un difficile compromesso. Però la protezione era divisa tra più ponti invece che avere un solo ponte di elevato spessore.
Probabilmente questa ripartizione era stata concepita con altri criteri, tradizionali. Ricordiamo che quando le navi vennero realizzate (prima del 1940) la protezione orizzontale, qui sotto accusa, doveva proteggere sopratutto dai proiettili di grosso calibro che sarebbero arrivati dall'alto (dato che il tiro avveniva oltre i venti chilometri) però con una certa inclinazione, non con impatto perpendicolare. Pertanto la protezione (meno perforabile con impatto inclinato) doveva soprattutto deviare i proiettili dalle zone vitali: questo sarebbe dovuto avvenire con la combinazione di protezioni orizzontali e verticali, ed era quindi normale che vi fossero più ponti corazzati, per avere la combinazione delle due protezioni in punti diversi. Questa è però una nostra ipotesi, che non abbiamo potuto verificare.
Quello che sembrava abbastanza alla fine degli anni trenta, ora non lo era e sarebbe stato meglio avere concentrato lo spessore in una sola corazza, che le prove avevano dimostrato più resistente. Questa debolezza fu riconosciuta in piena guerra, ma che si poteva fare? Si valutò quindi la possibilità di rinforzare (in porto) la protezione con corazze aggiunte: a parte la fattibilità, avrebbero comportato gravi rischi di schegge (non essendo fissate in modo totalmente solidale). Pertanto si rinunciò, a ragion veduta.
Ma allora come si pensava di resistere ai nuovi ordigni sempre più pericolosi?
I danni possibili a una nave venivano sempre valutati in modo probabilistico, ovvero si contava sulle principali contromisure per ostacolare la precisione nemica: ad esempio, massima velocità e manovra in mare aperto, cortine nebbiogene in porto. Poco si poteva sperare dall'Aeronautica e dalla contraerea (fuori portata). Ovviamente le difese presupponevano tempestivo allarme e si basavano su minacce ben conosciute.
Forse se avessero saputo che stava arrivando una bomba pesante perforante, dalla traiettoria guidata e molto precisa, tale da annullare ogni abile manovra della nave, avrebbero deciso in modo diverso. Era comunque una lotta senza prospettive perché le bombe crescevano di tecnologia e peso mentre l’evoluzione delle corazzate già costruite era molto limitata.
A titolo informativo elenchiamo i principali colpi inflitti in guerra alle corazzate della classe Littorio, soprattutto dagli Alleati, nel vano tentativo di eliminarle dalla scena. Ciò dimostra le loro qualità concrete in tante occasioni.
Corazzata Littorio ------------
- Taranto (12/11/40). Colpita in porto da 3 siluri aerei con 32 vittime. Due falle di metri 10x7,5 e 7x1,5 con danni non gravi e ben assorbite dalle protezioni. La terza falla di metri 11x9 produsse gravi danni con difficoltà a contenere l'allagamento: pertanto dopo quattro ore di tentativi si decise di portare la nave a posarsi su basso fondale.
- Mezzo Giugno (15/6/42). Colpita in navigazione sulla prima torre artiglierie da bomba perforante con 1 vittima e 12 feriti, lievi danni.
Colpita la notte in navigazione da siluro aereo nello stesso punto del terzo siluro di Taranto e falla simile, ma con limitato allagamento e senza menomazioni alla nave (grazie alle migliorie introdotte dopo Taranto).
- La Spezia (14/4/43). Colpita in porto sulla seconda torre artiglierie da bomba perforante da 908 kg con 1 vittima: danni alla torre ma senza sfondarla.
- Asinara (9/9/43). Colpita in navigazione (come la Roma) da una bomba perforante teleguidata da 1570 kg che perforò il ponte e uscì sul fianco, esplodendo in mare e creando una falla in carena di metri 7,5x6 oltre a 24 metri di deformazione. Ingresso limitato a mille tonnellate d'acqua grazie alle protezioni, inclinazione della nave subito compensata. Altra bomba teleguidata a breve distanza con danni e perdite a un deposito nafta, oltre a un momentaneo blocco del timone. 1 ferito.
Corazzata Vittorio Veneto ------------
- Gaudo/Matapan (28/3/41). Colpita in navigazione da siluro aereo a poppa con una falla e danni alle eliche di sinistra (perdita dell'elica esterna e blocco di quella centrale), infiltrazioni e allagamento progressivo, per deformazioni dovute all'esplosione. Appoppamento per circa quattromila tonnellate d'acqua, comprese quelle per compensare le inclinazioni. Rientro con le sole eliche di dritta arrivando a quasi venti nodi. 1 vittima (fuochista).
- Capo dell'armi (14/12/41). Colpita in navigazione da siluro del sommergibile Urge presso la torre artiglierie di poppa con 40 vittime (in gran parte annegate nel deposito munizioni della torre) e 17 feriti. Allagamento per tremila tonnellate, vari danni, ma la velocità fu riportata a 23 nodi.
- La Spezia (5/6/43). Colpita in porto da due bombe perforanti da 908 kg. Una perforò lo scafo esplodendo in mare e producendo una falla di metri 2,15x1,5. L'altra perforò lo scafo all'interno del ridotto corazzato, uscendo dal fondo senza esplodere. Allagamento contenuto a 1500 tonnellate con vari danni. Nessuna vittima.
Corazzata Roma ------------
- La Spezia (5/6/43). Colpita dall'effetto di due bombe da 908 kg. Una forò il bordo del ponte a prora ed esplose in mare provocando una falla di metri 6x5 con l'allagamento di numerosi locali. Una esplose vicino, direttamente in mare, provocando una falla di metri 8x5. Allagamento per 2350 tonnellate di acqua con appruamento. Nessuna vittima.
- Asinara (9/9/43). Colpita in navigazione da 2 bombe perforanti teleguidate da 1570 kg.
Una (ore 15.46) perforò il bordo del ponte a dritta al centro nave e forse attraversò interamente lo scafo, esplodendo sotto la nave: la falla produsse avarie alle macchine, un notevole allagamento e una inclinazione, che però venne compensata. Una (ore 15.52) colpì il ponte dietro alla seconda torre artiglierie, esplodendo all'interno della nave e provocando la deflagrazione dei depositi munizioni. Dopo vaste distruzioni nella parte prodiera, la nave si rovesciò e si spezzò in due tronconi che affondarono (ore 16.15). 1253 vittime e 596 feriti e superstiti.
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Questa lista è davvero sorprendente e stimola molte riflessioni.
Le “Littorio” fecero la guerra davvero e non vennero risparmiate, con diversi caduti a bordo. Furono oggetto di un lavoro instancabile di riparazione in tempi molto brevi, molto spesso in bacino per gravi danni all'opera viva, alternandosi senza far mancare la presenza in mare di corazzate competitive. Erano oggetto di attenzione e caccia da parte del nemico, che andò spesso vicino a distruggerle senza riuscirci. Non furono mai raggiunte da un proiettile di grosso calibro.
Comprendiamo la soddisfazione dei britannici quando le accolsero a Malta !
A nostro modesto giudizio erano tra le migliori navi di quel tipo che abbiano mai solcato i mari.
Siamo partiti soltanto da un relitto, che per quanto grande e famoso, sarà mal ridotto e di difficile accesso. Anche se verrà fotografato e studiato, ci sembra più importante la sua esistenza reale come testimonianza. Il relitto è lì a ricordarci un incredibile passato, che risulta più affascinante man mano che si approfondisce.
Da questo punto di vista segnaliamo lo stupendo volume “Le navi da battaglia Classe “Littorio” 1937-1948” di Erminio Bagnasco e Augusto De Toro, Ermanno Albertelli Editore. Aggiornato, accurato e ricco di immagini, permette di conoscere ogni aspetto di queste navi, così rappresentative delle capacità industriali e tecnologiche italiane. Interessante per ogni tipo di lettore, sia per i cultori della materia, sia per chi vuole capire la Regia Marina attraverso un aspetto fondamentale e concreto. Le minuziose descrizioni di tanti dettagli vanno lette fino in fondo perché rivelano una storia di intelligenza e di impegno che non va ignorata.
Immagini da Orizzonte Mare - Corazzate classe Vittorio Veneto - Edizioni Bizzarri Roma (1973).
Fatti e dati sono ripresi dal volume “Le navi da battaglia Classe “Littorio” 1937-1948” Bagnasco-Toro, ed.Albertelli, già descritto nel testo.
"Le memorie dell'Ammiraglio De Courten (1943-1946)" (Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1993) costituiscono un importante punto di vista delle vicende di armistizio, vissute dalla Marina.
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