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Scrivici |Oscuri eroi dei sommergibili
- Racconto degli anni trenta -
Sommergibili in alto Adriatico a Venezia durante la Grande Guerra.
Premessa
E’ un breve racconto inedito, rimasto nel cassetto per più di settant’anni, scritto da un vero sommergibilista e non da uno scrittore di professione. Fu probabilmente un passatempo durante qualche lunga navigazione e forse risale al 1932, in coincidenza con la celebre missione. E’ ambientato nella Prima Guerra Mondiale tra Venezia e Pola austriaca, tra vissuti personali e azione. Tra le sue righe si leggono dettagli interessanti, alcuni poco conosciuti e altri più noti che sarebbero poi divenuti ricorrenti nei film sulla guerra sottomarina, anche sul secondo conflitto. Qui, siamo all’origine, prima dei luoghi comuni. E’ quindi una testimonianza diretta, quasi un documento. Pertanto sono stati lasciati i termini e le frasi originali.
Settant’anni di distanza sono percepibili dal tono talvolta retorico di qualche passaggio, ma anche dalla scelta di parole ormai poco usate. Da un lato si sente l’approccio romantico ed epico dell’epoca ma anche la sottigliezza di sfumature nel modo di raccontare. La forma, sicuramente diversa da quella contemporanea, non deve comunque impedire di cogliere la sostanza. Dettagli importanti sono spegnere le luci di via e aprire il plico sigillato, appena fuori dal porto, come si conviene in tempo di guerra. Il disagio, la sonnolenza instabile, il caldo e l’umidità crescenti, il lavoro dei timoni orizzontali, ci portano nella normalità della dura vita sui sommergibili. L’impossibilità di aprire i portelli di coperta col mare grosso per cambiare l’aria o la sigaretta nascosta sono testimonianze di chi ha vissuto in quel modo. Immersi di giorno ed emersi di notte, pronti all’agguato davanti alle coste nemiche, è una tattica della Grande Guerra in Adriatico. L’alternarsi fra cacciatore e preda non sarebbero cambiati di molto anche nel successivo conflitto: lanciare un siluro che affiora e si scopre, contro un’agile torpediniera, espone di sicuro alla caccia con bombe di profondità. Le mine sono ovviamente ancorate ma per fortuna non sono ancora magnetiche: bisogna spezzarne le sporgenze perché esplodano. Per liberarsi dei cavi impigliati bisogna variare la quota con lo svuotamento dei doppifondi, ma non basta. Per vincere la resistenza si aggiunge anche la spinta dello svuotamento delle casse compenso, normalmente usate per l’assetto. L’esistenza di un cannone a poppa, i cui si impigliano i cavi, è una caratteristica dei sommergibili di tipo F. Nella brevità del racconto si incontrano tutte le principali avversità reali della guerra sottomarina, certo non fantasie. Non si può fare a meno di pensare quante situazioni simili siano state vissute dai sommergibilisti italiani, senza un esito felice e con la perdita senza storia dell’equipaggio, il nulla come conclusione della vita, senza alcuna traccia. Un racconto molto più realistico di quanto sembri a prima vista.
OSCURI EROI DEI SOMMERGIBILI (anni ‘30 circa, A.M.)
-Allora Giorgio, io vado a cambiarmi per andare in città; ci pensi tu ad ultimare i preparativi per la missione che sarà di cinque o sei giorni come al solito.-
-Sì, sì, vai pure a cambiarti, tanto con una scusa o con l’altra mi pianti sempre a mezzo del lavoro; ricordati, almeno quando sei in città, di comperare qualche cosa da mangiare in navigazione, che sai bene i viveri di guerra stufano presto.-
-Sì, sì, ciao, grazie.- gli disse in fretta arrampicandosi per la scaletta del sommergibile, preso dal giocoso pensiero di potersi incontrare un’altra volta con Nora, la nuova conquista, la quale pur confondendosi col numero delle altre donne conosciute in altre città, non gli sembrava possibile confonderla per qualità.
Ella era già lì fuori dalla porta dell’Arsenale che aspettava da un pezzo quella sera, piena di freddo e di paura maturata nel suo cervello in seguito a tanti presentimenti, venuti da chissà quali misteriosi recessi dell’anima femminile, per un insieme di indefinibili sensazioni: sentiva un pericolo tanto vicino al suo Ampelio.
Quella sera non aveva saputo pazientare ed attenderlo in fondo a Riva Schiavoni ai primi gradini del ponte Garibaldi; no, la smania che la sconvolgeva era tanta che il presentimento di un pericolo le aveva fatto anticipare di un’ora l’aspettativa.
Si sentiva tanto sua benché fosse poco tempo che si conoscevano. Il passaggio dall’ammirazione del fascino maschile, emanato da un’indole vivace, allegra, coraggiosa e intelligente, ammirata una sera ad un ricevimento di beneficenza, all’amicizia, subito molto stretta, poi all’affezione e all’amore, fu un passaggio rapidissimo, quanto, tante volte non potrebbe essere compreso dall’indole marinara, abituata a catalogare ben altrimenti certe calorose espansioni.
Nora lo sapeva ed anche sentiva che Ampelio la trattava con un modo che sapeva d’abitudine, ma non si disperava; fidava nel suo sentimento, trovava in esso la forza di sopportare anche qualche sgarbo e offesa, sicura che un giorno sarebbe riuscita a brecciare il suo cuore e dirgli tutto quello che sentiva…allora, se anche lui l’amava, sarebbe stata la felicità piena di gioie e di sorrisi come l’aveva sognata tante volte nella sua solitaria giovinezza.
Mentre annaspava tra le tante visioni e pensieri terrificanti, senza poterne discernere uno, senza poterlo fermare e fissare bene trovando alfine il vero volto della confusa paura, ecco che un alto giovane dal volto fresco, ma con le orbite prematuramente striate verso le tempie, marchio che il mare imprime a tutti coloro che lo fissano tanto intensamente, benedicendole con l’inesausto aspersorio di acqua e di vento, sta passando la porta dell’Arsenale facendo un distratto saluto, mentre ancora pensa a rassestarsi la bella uniforme, e già s’incammina per il piccolo ponte senza scorgere la trepidante Nora, se questa non lo chiama mentre gli corre incontro.
-Ciao, Nora. Come mai ti trovi qui stasera ?- domanda lui molto sorpreso dalla inaspettata apparizione.
-Perdonami Ampelio, pur sapendo che non vuoi che venga qui, questa sera non ho saputo resistere; ogni minuto d’attesa mi era eterno. Ho voluto anticipare in tutti i modi il nostro incontro: avevo paura di restare sola…no, ho paura per te,…chiamami sciocca, ma…non so…dimmi, ti è successo niente ? Ho un presentimento tanto inquietante che mi sembra debba succedere qualcosa di brutto…, ma no, ora sei con me e sono felice.-
pronunciò queste parole con flussi precipitosi, sincopati da respiri affannosi, stringendogli forte il braccio mentre gli occhi spauriti si fissavano incerti sul volto di lui, fisso in una mista espressione: con la bocca socchiusa ad un sorriso e gli occhi spalancati per la sorpresa.
-Ma via, sciocca, davvero che ti salta per la testa.- rispose lui stemperando il volto in un largo sorriso che irresistibilmente si comunica e converte il più mesto degli spiriti, aggiungendo: - sono venuto a trovarti per stare allegro come sempre, sentirti parlare con la solita vivacità e passare una serata più bella di tutte le altre. Lascia andare le malinconie, c’è sempre tempo a pensarci, ma poi quali presentimenti devi avere se sono qui con te, se sto bene, quando non mi è mai accaduto nulla; ho la pelle dura sai, il Dio di sventura ci pensa a cimentarsi con me perché teme di compromettere il suo prestigio. Via, via Nora, sorridi, stai allegra e fida nel buon Dio.-
Parlò con voce ferma e sicura come se il destino lo sentisse in suo potere con la forza di domarlo e piegarlo al suo volere, rasserenando così l’animo in tumulto della piccola Nora.
Ma al termine della serata, trascorsa in apparente calma e spensieratezza, dovette dirle di non attenderlo le sere seguenti perché partiva per una di quelle solite misteriose missioni, inconcepibili per la mente femminile, solo piena di una tetra paura per tutti gli ordigni della guerra dai nomi complicati.
Copiose lacrime bagnarono ingenue parole scongiuranti la partenza, sentendo sopravvenire più grande del solito la paura che ad ogni partenza si rinnovava nel suo animo. Lo scongiurò tanto, tanto, e quando sentì vano ogni tentativo lo pregò di recitare con lei almeno una preghiera dinanzi alla piccola Madonna costantemente lampeggiata da una tremolante fiammella.
Ampelio ripeté le parole ad una ad una come quando era bambino, alla sera, inginocchiato vicino al letto e la mamma gliele insegnava con dolce cadenza, tanto cara, e mai più risentita da quand’era partito giovane giovane, per prendere il crisma del mare.
Questo gesto fu il solo che intenerendolo un po’ fece breccia nel suo pensiero per considerare la trepidazione e il dolore della sua amata, il solo che per la prima volta e per un solo attimo, trattenne il suo pensiero sulla eventualità di un pericolo.
Tre lumi di piccola intensità, che per uno strano caso una convenzione internazionale scelse proprio i colori della nostra bandiera come segnale notturno per le navi, accompagnano il cammino del mostro che scivola appiattito sull’acqua tranquilla della Laguna deserta, mentre percorre la via segnata dalle “bricole” sporgenti dall’acqua come corpi tronchi che fanno pensare alle anime di mille scomparsi, venute a confabulare nella buia notte di guerra e di terrore.
Solo pochissime luci, in punti convenzionali per potersi orientare, sono sparse per la Laguna: Venezia, la fulgida gemma dell’Adriatico, dorme sonni agitati sotto il nero manto insidioso della notte, senza una luce né un brillio che scherzi con le ombre di un arco o che guizzi nell’acqua al passaggio di una gondola solitaria.
Fuori Malamocco il mare non è più tranquillo.
Ampelio sembra fuso con il ferro della torretta tant’è statuaria la sua immobilità. Guarda fisso verso la prora del sommergibile che appare e scompare sotto le onde; forse pensa di essere sopra il fulcro di un grande coltello che vibra metodici colpi nel gran mare d’inchiostro, sprofondandosi per giungere alle viscere del gigantesco polipo dai mille tentacoli e dalle mille bocche, sempre ingordamente pronte a ghermire e inghiottire.
Aperto, fuori dal porto, il plico segreto, com’è d’uso in tempo di guerra, e saputo della difficile missione, che mai aveva considerato tale rispetto a tante altre, quella notte ci pensò un po’, forse oppresso dalla desolante solitudine del mare aperto, tetro e ringhioso come un’immensa tomba liquida e nera, convulsamente agitata.
-Che fai, Ampelio ? Ti sei forse addormentato che non hai ancora spento i fanali di navigazione? – gli sussurrò Giorgio per non farsi udire dal Comandante.
-Già, già.- rispose come trasognato.- Vado subito.-
-L’ho già fatto io.- aggiunse Giorgio. – Però non fare più simili dimenticanze altrimenti, se nella nostra rotta si trova una nave nemica, ci saluta con un buon siluro; e poi, se se ne accorgeva il Comandante, ti dava una “girata” di quelle con la coda, e, in parte, per qualche giorno non avresti potuto vedere la tua bella. Che soffrire allora! Caro mio, mi sembri innamorato sul serio, tu che hai sempre fatto all’amore per scherzo, stavolta, proprio tu, sei cascato in trappola.-
-Fammi il piacere, - interruppe Ampelio – non scherzare su quest’argomento. – e con queste parole confermò l’ipotesi dell’amico.
Prima ancora che l’alba si annunciasse diluendo le tenebre, il sommergibile condannato dalla guerra all’oscurità, mette fuori i timoni orizzontali come fossero le sue pinne e s’immerge, continuando a navigare sott’acqua, mettendo lo scompiglio tra la fauna marina con la sua mostruosa forma e gigantesca mole.
Ora la “camera manovra” fa da cuore e cervello per il grande cetaceo. Le motrici elettriche, che hanno sostituito i motori a combustione interna nel compito della propulsione, ronzano incominciando la noiosa nenia della navigazione subacquea.
Il torpore si impadronisce di tutti quelli che non hanno compiti da impiegare attivamente il cervello, gli sguardi si smarriscono sonnolenti tra le selve di fili, tubi, volantini lucenti; chi tenta di leggere, subito si stanca ed è costretto a desistere perché le palpebre cadono pesantemente sugli occhi come fossero di piombo.
Dopo qualche ora, quando i fiammiferi stentano a trattenere la fiammella perché l’ossigeno incomincia a mancare, la sonnolenza si fa più pesante e, che strano, non si può dormire che pochi minuti che sembrano ore: sonni agitati come oppressi da un pauroso sogno.
Il caldo va man mano aumentando e i vapori si posano sulle paratie condensandosi, appannando tutto per ricadere in grosse gocce con l’acqua trasudata.
Anche il Comandante tutto scamiciato, ogni tanto sbuffa dopo aver tolto l’occhio dal periscopio, stanco nell’osservare sempre lo stesso desolato mare come se la guerra, montata su un apocalittico ronzino, con la sua falce di morte avesse spazzato via tutto.
Il mare non è che un deserto d’onde dove si s’annidano mostruosi cetacei.
E tutto il giorno scorre monotono e sempre più sonnolento, variato solo dai pasti, perché anche sott’acqua, pur appartenendo ad un’altra vita, è necessario nutrirsi…
I timoni orizzontali devono moltiplicare il lavoro per tenere il sommergibile in quota, altrimenti le grosse ondate giungono a scoprire troppo i periscopi e qualche volta anche la torretta, cosa pericolosa per essere avvistati dal nemico.
Finalmente, quando le tenebre con millenario rito stendono il loro manto e tutte le ombre si confondono, vuotano i “doppi fondi” e risalgono alla superficie; protetti dalle tenebre potranno rinnovare l’aria viziata dei locali, mettere in funzione i motori a combustione per ricaricare di elettricità le batterie di accumulatori, salire in coperta per respirare un po’ d’aria fresca e pura, fumando una sigaretta scrupolosamente nascosta in un imbuto di carta, perché il luccicichio non possa tradire la loro presenza in quel mare, battuto anche dal nemico, e poi, a turno, dormire un po’.
Ma il mare non vuole concedere loro queste piccole gioie; fattosi più grosso flagella la coperta scuotendo continuamente il piccolo scafo, non permettendo l’apertura dei bassi portelli di poppa e di prora.
Solo il Comandante e altri tre uomini stanno sulla torretta scrutando ansiosamente le tenebre con i binocoli, scattando se un’onda s’innalza un po’ più delle altre e scroscia più forte, giungendo a scorgere la prora di una nave nemica e dare il segnale d’allarme, risvegliando bruscamente i dormenti per rituffarsi nuovamente sott’acqua.
Continua...
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