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Scrivici |Oscuri eroi dei sommergibili
- (continuazione) -
Il Canale di Fasana tra le Isole Brioni e il porto di Pola, luoghi dell'Istria dove si svolge la vicenda. Probabilmente fu in questi luoghi che l'autore del racconto effettuò l'addestramento da sommergibilista.
Dura vita, in un continuo grande olocausto, serenamente vissuta nell’ombra e nel silenzio da tanti uomini sia in tempo di pace che di guerra, sostenuti da un’unica sola grande fede e da un grande amore: la grandezza della Patria.
Tre giorni e tre notti lunghissime durarono nello stesso modo senza che il mare gli concedesse una tregua, senza che fosse possibile scorgere una stella per controllare con un rilevamento se la loro posizione era quella prescritta e non correre il rischio di trovarsi su un altro quadrato, indicato sulla carta, assegnato ad un altro sommergibile e con questo combattersi, perché l’oscura lotta nell’insidia della guerra non permette di riconoscersi.
Il quarto giorno, conosciuto solo per il calcolo aritmetico sul doppio giro delle lancette sul quadrante dell’orologio, mentre stava per finire nell’estenuante sonnolenza, stanchi dell’affannoso respiro alla ricerca di un po’ di ossigeno nella poltiglia velenosa di anidride carbonica, gamma olfattiva di mille odori, da quello predominante della nafta, all’agra esalazione degli accumulatori, dalle traspirazioni dei corpi a quelli della cucina elettrica a tanti altri indefinibili, ossessionati dal ripetersi all’infinito degli stessi rumori e delle stesse cose, il Comandante ruppe la monotonia staccandosi bruscamente dal periscopio per strofinarsi gli occhi e riprendere con maggiore attenzione l’osservazione dell’orizzonte.
Tutti intuirono che qualche cosa di nuovo ci doveva essere e si scossero dal torpore spalancando gli occhi in un’espressione di concentrata attenzione.
-Finalmente.- disse il Comandante quasi ruggendo e subito lanciò un poderoso: - Attenzione ! – che giunse a poppa e a prua senza bisogno di servirsi del portavoce e senza distogliere l’occhio dal periscopio.
Questa parola risuonò in tutti gli scomparti e scosse tutti come se portasse un magico potere nei centri nervosi rilassati e intorpiditi.
-Capo Silurista, allagare i tubi e tenersi pronti per il lancio.-
-Macchine a tutta forza.-
-Timoni venti gradi a dritta.-
-Quota sette metri, e fai attenzione, timoniere orizzontale, di non farmi scoprire troppo i periscopi.-
Mentre il Comandante dà questi ordini, senza distogliersi dall’osservazione, che vengono trasmessi dal portavoce nei rispettivi scompartimenti, tutto si risveglia e si muove: aste metalliche, ingranaggi che stridono, valvole, sbuffi d’aria, lancette che saettano nei quadranti, tutto per entrare nella funzione principale per lo scopo culminante.
Gli uomini sono macchine di carne con altre macchine e congegni che, silenziosamente, tutti concentrati, si muovono toccando tasti, volantini, ruote, leve, scrutando indici e lancette.
Sì, è una nave nemica quella avvistata, non c’è dubbio: è uscita dal canale di Fasana, formato dall’isola di Brioni con la costa , proprio dinanzi all’imboccatura del porto di Pola. La foschia non permette di vederla bene e poi il mare infuriato copre continuamente l’estremità del periscopio, perciò bisogna lasciarla avvicinare molto prima di poter classificare la sua mole.
L’attesa si fa nervosa mentre le macchine a tutta forza fanno vibrare lo scafo portando la belva, insidiosamente nascosta nella selva di onde, verso l’ignara preda.
Ma…ma…disdetta!
-E’ una piccola torpediniera alla quale lanciare un siluro è cosa difficilissima, perché la sua carena pesca solo poco più di un metro e ha una elevata velocità. Pur tuttavia essendoci una piccola probabilità, questa forma al Comandante un dovere di tentare ?
-E tenta !-
-A prora, pronti per il lancio ?-
-Pronti !-
-Timone a sinistra.-
-Attenti…- seguono attimi di profondo silenzio.
-Fuori !-
Un gigantesco sbuffo fa sussultare tutto il corpo del mostro che lancia la morte.
Secondi di spasmodica attesa lo accompagnano, tutti fermi cn il respiro trattenuto guardando verso il centro: il Comandante stringe nervosamente il manubrio del periscopio, pestando con rabbia… e finisce per distogliersi dall’oculare con una mossa disperata.
-Fallito !-
-Timone in basso, fermati a venti metri. –
-Maledizione ! – rugge stringendo i pugni – Ora tocca a noi.-
Bisogna fuggire; il siluro è affiorato sui grandi avvallamenti delle onde ed è stato visto in tempo perché la torpediniera virasse scansandolo.
-Tutto il timone a dritta. – soggiunge.
Pensa di cambiare direzione dirigendosi verso la costa nella speranza di sfuggire più facilmente dagli attacchi con bombe subacquee.
Grann…n…n….n…..n…..
E con uno schianto raccapricciante sentono scoppiare la prima bomba a poche centinaia di metri, che fa paurosamente scricchiolare l'’ossatura del grande cetaceo, ripetendo sinistramente nel suo ventre, per la perfetta conducibilità acustica dell’acqua, il tremendo scoppio.
La torpediniera li cerca affannosamente seminando la morte con intervalli di qualche minuto.
Altre torpediniere accorrono sul luogo e tutte freneticamente guizzanti, scrutano il mare per scorgervi se la semina dava fruttuosa messe…qualche straccio, qualche legno, iridescenze di nafta o qualche cosa che fosse poco prima appartenuta ad una macchina vivente…
Presto s’acquietarono concentrandosi nell’osservare tracce di nafta, pensando, forse soddisfatti, d’aver sventrato l’insidioso e temerario mostro che azzardò spingersi nelle “loro” acque e silurare una nave.
Col ticchettio sincopato della radio mandarono affrettatamente avviso al Comando in Capo dell’Imperiale Marina Austriaca di Pola, forse questa stessa cinica espressione: “Affondato sommergibile nemico Nord-Ovest isole Brioni.”
Ma non hanno affondato nulla !
-Sono stati tratti in inganno dalla nafta scaricata appositamente dal sommergibile prima di fuggire dalla zona martellata dalle bombe.
Gli oscuri eroi degli abissi, navigando alla cieca per qualche ora, rasentando la costa, s’apprestavano ad un’altra insidia più terribile della prima.
Mentre correvano con i cuori palpitanti, allontanandosi dalle paurose concussioni, ritmati dagli affrettati giri delle eliche, sentirono dei colpi secchi sulla coperta e degli strusciamenti metallici che diedero la netta sensazione di un ostacolo che li arrestasse perché i corpi si sentirono spinti in avanti dall’inerzia.
-Macchine adagio. – ordina il Comandante concentrandosi in ascolto mentre gli astanti fissano in silenzio i loro sguardi su lui, mente e cuore del complicato ordigno.
Il quasi religioso raccoglimento viene rotto dal marinaio che sta di guardia nella torretta per dire: - Comandante, dai cristalli si vedono a dritta e a sinistra due masse oscure dondolanti che non so definire. -
Mine !
-Ferma le macchine. Pronti per l’emersione.- e con un balzo si arrampica su per la scaletta della torretta per assicurarsi di quanto gli veniva riferito. Bastò uno sguardo per comprendere che il sommergibile era andato contro uno sbarramento di mine: tremende insidie formate da gigantesche reti composte tra i cavi d’acciaio di ancoraggio delle mine, che galleggiano a varie altezze, e da altri che le collegano.
-Aria a tutti i doppi fondi.-
Un grosso sbuffo d’aria entrò nelle casse d’acqua scacciandola…ma non realizzò la legge idrostatica dei corpi leggeri.
La lancetta del manometro di profondità si mosse verso lo zero ma con troppa lentezza nei confronti dell'ordinario.
-Chiudi aria !-
-Maledizione, - aggiunse il Comandante, stringendo i denti – siamo in trappola. –
E la morte, intanto, racchiusa nelle grosse sfere beffardamente danza al loro fianco pronta a tradurla in macabra se il cetaceo si scuoterà con più violenza.
Il Comandante pur mantenendo un contegno esemplarmente calmo, era pallido. Pensava, forse, che la vita e la morte di tutti dipendeva dalla secrezione che poteva dare il suo cervello.
Tutti pallidi in un religioso silenzio per supremo rispetto al lavorio della sua mente, lo guardavano con lo spasmo dei nervi, pronti a saettare come molle ai suoi comandi.
-Apri sfoghi d’aria. 300 nelle casse compenso pesi.- così facendo si appesantirono, rimettendo l’acqua nelle casse e in più 300 litri per poter calare più in basso, tentando di togliersi i cavi d’acciaio dalla coperta e sfuggire dalla terribile trappola.
Ma nemmeno scendere poterono: il manometro segnò solo pochi metri in più… e ai loro fianchi la morte riprendeva la beffarda danza.
Il nero manto della notte stava calando per il tripudio di mille fantasmi e per dare agli uomini il segno della tregua e del riposo.
Anche da sotto l’immensa distesa azzurra, agitata convulsamente da mille altri fantasmi sitibondi, uomini viscere nelle viscere di un grande mostro, attendere che l’indice di un bianco quadrante macchiato da dodici segni confermasse il regnare lassù delle tenebre, per tentare con supremo sforzo e ardire di togliersi la pesantissima coltre liquida e disciolti nell’ombra tripudiare con i fantasmi per la vinta lotta contro la morte.
Mentre dura l’attesa trepidante e spasmodica, chiusa dal tetro mutismo degli uomini e delle macchine, nella mente del Capo Silurista B…a Ampelio, una visione di fanciulla prese vita, con mani riunite, inginocchiata davanti a una piccola Madonna, costantemente lampeggiata da una tremolante fiammella, con il volto solcato da perle sfuggenti al basso, che cadenzava parole di una dolce preghiera perché fossero da lui ripetute…e lui muoveva le labbra, soffermandosi ad ognuna un po’ per attendere l’altra parola, poi l’altra, l’altra ancora…e…così sia !
-Beh, Ampelio, che fai così assorto ? – gli disse Giorgio ammiccando il tetro silenzio dei marinai.
-Ah,ah. – rispose questi, scuotendosi, comprendendo la cattiva influenza del suo contegno sul morale dei subordinati, e passandosi una mano sulla fronte, come avesse voluto togliersi un cattivo pensiero, aggiunse: - Pensavo come dovrò scrivere sull’inventario quando saremo in porto per quel siluro che abbiamo in meno. E ci farò anche una brutta figura con i miei colleghi, perché avevo scommesso che il primo siluro lanciato sarebbe andato a colpo sicuro; invece…scalogna. Bah ! Pazienza. Invece di pranzare a “gratis” all’hotel Danieli, pagherò io per tutti loro.
-Giacché ti trovi a pagare potresti invitare anche me, il tuo amico Giorgio, e poi…-
-E poi, e poi, tutta la Squadriglia sommergibili. – interruppe Ampelio.
-Ma no, caro, volevo dire una buona bottiglia ai tuoi marinai.-
Così chiaccherando con agro umor scherzoso, trascorsero del tempo sinistramente scandito dal tic tac dell’orologio ripercuotentisi nel loro vero animo, cupamente oppresso per l’incerta riuscita dell’ultimo tentativo.
Anche il Comandante, in “camera manovra”, obbedendo ad una cinica e forsennata logica, trattenne in una discussione , ben futile nei confronti con la situazione, un’altra parte di equipaggio, con nell’animo la pesantissima pietra della responsabilità per la triste sorte, calata dall’avaro destino.
Giunta l’ora giudicata propizia, interruppe la farsa per dare l’ordine di “posto per l’emersione”.
Era l’ultimo tentativo coraggioso e temerario che rimaneva loro: togliersi da quella sospensione a mezz’acqua, tentando di venire alla superficie per togliere i grossi cavi nei quali si erano impigliati.
-Aria a tutti i doppi fondi.-
Un poderoso soffio d’aria entra nelle casse e scaccia lentamente tutta l’acqua.
-Vuotare tutte le casse compenso pesi. –
A quest’altro comando i meccanici, dopo una manovra di valvole, mettono in funzione una turbina elettrica riempiendo di un’assordante ruggito tutto il sommergibile.
Il manometro si muove verso i numeri decrescenti, fermandosi a 1.
Dalla superficie dell’acqua tormentata apparvero prima due tubi sporgenti da una specie di cassa arrotondata e più in là un gigantesco cuneo: la prora. Tutto il resto rimase immerso.
Dalla specie di cassa si sollevò un pesante portello dal quale uscirono cinque uomini, due dei quali quasi nudi, armati di un grosso martello e di uno scalpello congegnatamente allungato. Questi ultimi subito si calarono nell’acqua soprastante la coperta, legati alla cintola da una grossa fune tenuta da quelli rimasti sulla torretta.
Quello che si calò nell’acqua verso poppa trovò subito il grosso cavo che teneva immerso lo scafo del sommergibile, andato a frammettersi, per chissà quale combinazione inimitabile, tra la torretta e la volata del cannone, rimanendo sotto alla canna di quest’ultimo, spiegando così la ragione perché non potevano nemmeno immergersi.
Mentre l’energumeno immerso fino alla cintola, flagellato dalle onde infrante dal freddo vento, rimanendo dei momenti completamente sommerso dai cavalloni, vibrava poderosi colpi col martello, ai fianchi del sommergibile apparivano e scomparivano, scrutate da occhi attentissimi, abituati a a discernere le ombre dalle ombre, due grosse sfere con fragilissimi pungiglioni a raggiera, occhieggianti sinistramente fra le onde.
Ad ogni movenza più brusca corrispondeva un sussulto ed una sospensione del respiro degli uomini sulla torretta, finché un’altra onda non le allontanava sommergendole nuovamente.
Eternità di minuti con lo specchio della morte: dilaniati da una furibonda esplosione; vissuti , sia pure trepidando per una ingloriosa fine, ma con la ferma volontà di salvare tutto e tutti e perire piuttosto di cadere vivi nelle mani del nemico.
I colpi si susseguivano ai colpi benché contrastati dalle onde, interrotti solo da brevi soste per ritrovare l’equilibrio, finché il cavo rotto in due guizzò fuori dall’acqua come un serpente e si ritrasse, mentre il sommergibile con un gigantesco sussulto come di un grosso mostro svegliato di soprassalto, sporse la sua groppa dall’acqua abbandonandosi al trastullo delle onde.
Fuori della porta dell’Arsenale di Venezia, una bruna fanciulla, anch’essa oscura eroina, come altre donne, in disputa continua col mare per il loro amore, dagli occhi neri ancora orlati di rosso, aspettava con trepidante gioia mordicchiando un fazzolettino bianco, che un alto giovane dal volto fresco ma con le orbite prematuramente striate verso le tempie, crisma che dà il mare ai suoi figli, apparisse con il suo volto sempre sorridente e fiducioso nel destino.
A.M.
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