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Scrivici |Navi perdute fuori dal Mediterraneo
- Francesco Palmieri e la motonave Fella. -
La motonave Fella, probabilmente al momento del sabotaggio. Collezione Palmieri.Ringraziamo Nicola Palmieri per le immagini del padre e della motonave Fella, che ci ha gentilmente fornito.
Sabotaggio e incendio del Fella - 30/3/1941
Alcune immagini che abbiamo ricevuto mostrano la motonave Fella, di nazionalità italiana, in fiamme, abbandonata dall’equipaggio. Si vede l’incendio che prosegue e divora la nave. Altre navi in fiamme, riprese da un aereo.
Secondo i testi ufficiali (USMM) il Fella fu sabotato e incendiato, per evitare la cattura, il 30 marzo 1941 a Puntarenas, insenatura sulla costa del Pacifico, nel Costarica, dove la nave si era rifugiata l’anno prima, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia. Per evitare la cattura in acque internazionali da parte del nemico, la nave fu portata in acque allora neutrali e lì era rimasta bloccata. Ma la situazione sarebbe cambiata.
Sorgono spontanee due domande:
- In quei giorni del 1941 una ventina di navi, tra Usa e centro America, vennero catturate, o sabotate. Cosa era accaduto di nuovo?
- Nelle foto si vede un’altra nave sabotata e in fiamme, ma non ci risultano altre navi italiane perdute a Puntarenas. Quale può essere l’altra nave sconosciuta?
Foto aeree di due navi in fiamme a Puntarenas. Una è il Fella e l'altra sarebbe una nave tedesca (di cui parliamo a fondo pagina). Collezione Palmieri.
Effetti della guerra sulla flotta mercantile.
Per una nazione mediterranea come l’Italia, entrare in guerra con la Gran Bretagna era una azione gravida di conseguenze. L’avversario possedeva Gibilterra e Suez, passaggi obbligati che consentivano di bloccare ogni movimento di ingresso e di uscita delle navi dal Mediterraneo. La Gran Bretagna era infatti una grande potenza che aveva costruito un impero coloniale tramite il dominio del mare, assicurandosi sempre delle basi in punti strategici, per sostenere il suo traffico e interdire quello dei nemici. Poiché l’Italia aveva in condizioni normali un notevole traffico di merci e passeggeri attraverso gli oceani, si sarebbe trovata di colpo isolata, senza la possibilità di ricevere rifornimenti per la madre patria o mandarne alla sua colonia dell’Africa Orientale Italiana. Una interruzione la cui gravità dipendeva da quanto sarebbe durata: poco, se la guerra fosse stata breve, come si sperava. Ma il blocco del traffico sugli oceani avrebbe avuto anche una conseguenza immediata per le navi italiane che si fossero trovate al di fuori del Mediterraneo: non avrebbero potuto rientrare e si sarebbero trovate in acque nemiche o neutrali, e in quest’ultimo caso sarebbero state presto internate (dato che la sosta in un porto neutrale era permessa per un tempo limitato alle navi di nazioni in guerra), risultando praticamente perdute ai fini dello sforzo bellico. Pertanto sarebbero dovute rientrare in Mediterraneo prima della dichiarazione di guerra, e dato che la navigazione richiedeva molti giorni avrebbero dovuto muoversi per tempo, cioè conoscere con sufficiente anticipo la data fatidica. Ma nessuno sapeva se e quando l’Italia sarebbe entrata in guerra: Mussolini lo avrebbe deciso secondo le opportunità del momento. La guerra in Europa era iniziata nel 1939 e l’Italia era rimasta non belligerante, continuando il traffico mercantile e passeggeri. Ma il cedimento del fronte franco-inglese a fronte dell’attacco tedesco rendeva prossimo un armistizio con la Francia, precludendo all’Italia la possibilità di intervenire militarmente e poi avere pretese territoriali in un negoziato di pace. Mussolini decise quindi di affrettare i tempi e dichiarare guerra alla Francia, entrando di conseguenza anche in guerra con la Gran Bretagna. Venne subito segnalato al Duce che questo avrebbe significato la perdita di centinaia di navi, chiedendo almeno il tempo per farle rientrare in Mediterraneo. Si voleva evitare quanto era già accaduto alla Germania, che aveva perduto nel 1939 oltre metà delle sue navi per analogo motivo. Ma Mussolini non concesse dilazioni, perché lo riteneva meno importante del trattare la pace, questione di giorni. Pensava che tanto la guerra si sarebbe conclusa presto e in modo vittorioso, grazie ai tedeschi, e questo avrebbe permesso di rientrare in possesso di quelle navi, "con gli interessi", ovvero con navi francesi e inglesi frutto della vittoria. La decisione di entrare in guerra, in un modo che avrebbe causato la perdita immediata di un terzo delle navi mercantili, fu dunque dovuta ad una scelta precisa per un obiettivo strategico, anche se poi si sarebbe rivelato irraggiungibile. In Mussolini ogni considerazione militare era infatti subordinata a una visione politica, attraverso la quale decisioni tempestive e rapporti internazionali fruttavano di più rispetto ad azioni militari e logistiche impegnative. D’altra parte, anche la preparazione militare dell’Italia, che veniva portata in guerra qualche anno prima del previsto, fu ritenuta da Mussolini meno importante delle opportunità politiche contingenti. La posizione del dittatore può essere riassunta in questa frase, citata dallo storico De Felice: “Le guerre non si fanno quando si è pronti: si fanno quando si devono fare. Dando retta a voi altri, non si sarebbe mai pronti… La guerra a ottobre è finita.” (Mussolini a Soddu, maggio 1940). La seconda guerra mondiale durò invece degli anni, durante i quali vi fu l'ulteriore entrata in guerra di altre nazioni (come gli Usa e stati del Centro America), con conseguenze sulle navi italiane che si trovavano nei porti di quelle nazioni.
Il fumo degli incendi nella baia di Puntarenas. Relitti delle navi, una rovesciata sul fianco (forse il Fella) e una a pelo d'acqua. Collezione Palmieri.
Le navi rimaste fuori dal Mediterraneo.
Nell'estate 1940 l’entrata in guerra dell’Italia era attesa da tempo, e come con ogni evento sempre rinviato, forse si era imparato a coesistere con una situazione precaria. Così le navi italiane solcavano gli oceani in condizioni favorevoli, senza la concorrenza di altre nazioni già in guerra. Forse si immaginava di saperlo poco prima, ricevendo istruzioni e potendo sfuggire alla cattura. Fatto sta che la notizia giunse improvvisa, con tutte le sue conseguenze. Laddove era possibile, molte navi tentarono di raggiungere porti amici, sfuggendo alla sorveglianza del nemico: alcune di esse ci riuscirono, mentre altre vennero catturate o affondate. 212 navi si trovarono fuori dal Mediterraneo, per un totale di 1.216.637 tonnellate, costituite soprattutto da navi oceaniche di notevole valore e dimensioni, che in gran parte sarebbero state perdute. 37 navi si trovavano addirittura in porti britannici e francesi, immediatamente soggette alla cattura. 33 navi si trovavano in porti nazionali dell’Africa Orientale Italiana, ma con la prospettiva di seguirne la sorte. Il resto si trovava sparpagliato e immobilizzato in altre nazioni; l’eventuale successiva entrata in guerra contro l’Italia, avrebbe avuto immediate conseguenze sulle navi bloccate e sui loro equipaggi. 26 navi erano in porti USA (non ancora in guerra), dove però vennero bloccate in custodia, e sarebbero state requisite nel 1941 con apposita legge.
Intorno alla fine di marzo 1941, createsi le condizioni per impadronirsene, almeno 19 navi italiane in USA o Centro America furono catturate dal nemico, talvolta sabotate, incendiate, autoaffondate, dall’equipaggio italiano per evitarlo, ma molte vennero comunque recuperate e impiegate con altro nome, spesso affondate nel proseguimento del conflitto e solo in pochi casi restituite all’Italia a fine guerra, in quali condizioni è facile immaginare. Ecco queste navi:
28/3/1941:
- Belvedere, 6889 t., (a Filadelfia, Usa), impiegato dagli Usa in guerra e perduto in Normandia.
- Clara, 6131 t., (a Savannah, Usa), sabotato e poi ribattezzato Stone Street e infine affondato da sm tedesco nel 1942.
- Confidenza, 6458 t., (a Jacksonville, Usa), impiegato dagli Usa in guerra e infine restituito nel dopoguerra.
30/3/1941:
- Ada O., 5234 t., (a New Orleans), sabotato e poi impiegato dalla Norvegia col nome Songa, affondato da sm tedesco nel 1941.
- Alberta, 6131 t., (a New York), poi impiegato dagli Usa e infine affondato.
- Brennero, cisterna, 4946 t., (a New York), sabotato e poi ripristinato dagli Usa.
- Colorado, cisterna, 5039 t., (a San Juan, Portorico), poi ribattezzato Typhoon (Panama) e Villalobos (Usa).
- Conte Biancamano, passeggeri, 23255 t., (a Cristobal, Panama), sabotato e poi impiegato dagli Usa, ribattezzato Hermitage e infine restituito nel 1948.
- Dino, 5592 t., (a Boston), poi ribattezzato Meridian dagli Usa tramite Panama, affondato da sm tedesco nel 1941.
- Fella, motonave, 6072 t., (a Puntarenas di Costarica), sabotato e incendiato.
- Guidonia, 5060 t., (a Newport - Hems, Virginia, Usa), sabotato e ribattezzato Plaudit (Panama), affondato da sm tedesco nel 1942.
- Ircania, 4818 t., (a Jacksonville, Usa), poi ribattezzato Raceland e impiegato da Panama, infine affondato da bombardieri tedeschi nel 1942.
- Leme, 8059 t., (bloccato ad Astoria nel Columbia e catturato a Portland nell’Oregon), impiegato dagli Usa in guerra.
31/3/1941:
- Baciccin Padre, cisterna, 5591 t., (a Puerto Cabello, Venezuela), forse venduto dal Venezuela agli Usa.
- Dentice, cisterna, 5281 t., (a Puerto Cabello, Venezuela), forse sabotato e poi passato dal Venezuela agli Usa.
- Jole Fassio, cisterna, 5169 t., (a Puerto Cabello, Venezuela), incendiato e autoaffondato, poi recuperato e venduto agli Usa, ribattezzato Alcibiades, infine restituito.
- Teresa Odero, cisterna, 8196 t.,(a Puerto Cabello, Venezuela), incendiato e autoaffondato, poi recuperato dal Venezuela e venduto all’Argentina.
- Trottiera, cisterna, 6205 t., (a Puerto Cabello, Venezuela), autoaffondato e recuperato, venduto dal Venezuela agli Usa, infine restituito.
1/4/1941:
- Americano, cisterna, 7008 t., (a Tampico, Messico), poi ribattezzato Tuypan, affondato da sm tedesco nel 1942.
In totale, circa 131.000 tonnellate di naviglio perdute in meno di una settimana, anche se oltre 75.000 furono rese inutilizzabili, almeno temporaneamente. Il fatto che comunque venissero recuperate rapidamente con lavori impegnativi, fornisce la misura di quanto fossero utili. Anche il fatto che molte, con la nuova bandiera, venissero affondate in breve tempo ci fa capire la lotta in corso, dove ogni nave era importante.
Le navi sono beni di notevole valore e utilità, che se possibile vanno tolte al nemico e magari usate a fini bellici. Vengono quindi tenute d’occhio ed eventuali cambiamenti nelle tutele e diritti vanno subito sfruttati per impadronirsene, prima che vengano sabotate. Dall’altra parte, l’equipaggio di una nave ha il dovere di impedire con ogni mezzo la perdita della nave a vantaggio del nemico: è preferibile distruggerla o renderla inutilizzabile. Vince chi è più tempestivo e preparato, senza incertezze. Per arrivare alla cattura, non si esita a minacciare di ritorsioni o condanne i membri dell’equipaggio, come se fare il proprio dovere fosse un crimine. I marittimi italiani delle numerose navi italiane sparse nel mondo si sarebbero trovati in più occasioni in questa difficile situazione, tra britannici, americani, tedeschi, giapponesi, ecc.. In particolare, negli Usa circa 300 italiani furono processati per i sabotaggi, condannati (da uno e tre anni) e destinati al carcere invece che al trattamento da prigionieri di guerra (anche se poi sarebbero stati aggregati negli stessi campi).
Immagini di Francesco Palmieri in prigionia negli Stati Uniti. Collezione Palmieri.
La motonave Fella - Francesco Palmieri.
Il 30 marzo 1941 l’equipaggio della motonave Fella sabotò e incendiò la nave, per evitarne la cattura: l’immagine di apertura è stata probabilmente scattata da una lancia al momento dell’abbandono. Francesco Palmieri era uno dei membri dell’equipaggio del Fella, destinato alla prigionia.
Palmeri con altri internati fu trasportato a Colon (Panama), da cui sarebbe stato trasferito a New York con la nave appoggio Chateau Thierry. Poi fu mandato a Fort Missoula (Montana), località dove venne concentrata gran parte dei marittimi italiani.
Nelle immagini della prigionia di Francesco Palmeri, vediamo il timbro di ispezione della censura: “ Detained alien enemy mail – Examined”. Palmieri e un altro prigioniero fra le baracche del campo si trovano accanto a una scultura che riproduce la Lanterna di Genova, simbolo del loro arrivo nel campo. Una immagine di gruppo mostra i marittimi italiani, sotto alla bandiera. Una foto ritrae la nave americana Chateau Thierry che li portò a New York.
La nave sconosciuta
L’altra nave in fiamme che si vede nelle immagini aeree sarebbe (come annotato sul retro della foto) la tedesca S/F Eisenach. Fu consegnata nel 1921 e rimase bloccata a Puntarenas nel settembre 1939. Incendiata nel marzo 1941 insieme al Fella, era forse più recuperabile, non essendo rovesciata ed emergendo dal fondo della baia. La nave sarebbe stata ripristinata nel novembre 1941 e impiegata con il nome Oceania per la Cia. Oceanica Ltda. Nel 1943 avrebbe assunto il nome di Ultramarino. Nel 1951 sarebbe tornata tedesca per il Norddeutscher Lloyd (primo possessore della nave) con il nome Traunstein e infine venne demolita nel 1960.
I dati delle navi sono stati ricavati da "Navi mercantili perdute" - Ufficio Storico della Marina Militare - Roma 1997.
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