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Scrivici |I marinai del Trento - Giuseppe Sambo e il Capitano Cech
- Il racconto dell'affondamento dell'Incrociatore Trento -
Una bellissima immagine dell'Incrociatore Trento a Taranto.
Ringraziamo i Signori Giuseppe Sambo e Bruno Savin per averci consentito la pubblicazione del racconto e il Signor Simone Norbiato per averci fornito il materiale. Un sincero grazie anche al Signor Marco Cech che ci ha gentilmente fornito la fotografia dell'Incrociatore.
Due marinai, una fotografia e un racconto.
In questa pagina presentiamo un altro frammento della storia dell'affondamento dell'Incrociatore.
Lo facciamo attraverso una bella fotografia della nave che ci è stata inviata dal Signor Marco Cech, il nipote di un superstite dell'affondamento. Suo nonno, capitano di sala macchine, accusò varie ferite ad una gamba e rimase disperso in mare per tre giorni. Accompagnamo questi ricordi con il racconto di Giuseppe Sambo:
…”Ricordo come si svolsero i fatti; purtroppo non ricordo i pensieri che mi passarono per la mente in quei momenti. L’unica cosa a cui pensi è di salvare la vita tua e, se possibile, anche quella di qualche tuo amico che ti trovi vicino. Purtroppo si avvicinava anche per noi il giorno della paura e della tragedia.
Ancora una volta ci trovavamo nel Mediterraneo, fra la Sicilia e l’Isola di Creta. Era il 15 giugno 1942 ed erano passati esattamente tre anni da quando mi ero presentato al deposito della Marina di Venezia. Eravamo partiti da Taranto la mattina del 14 giugno per intercettare un convoglio inglese proveniente da Alessandra d’Egitto.
Con noi del Trento c’erano le Corazzate Vittorio Veneto e Littorio e gli Incrociatori Garibaldi, Duca d’Aosta e Gorizia, oltre a 12 cacciatorpediniere. Nelle stesse ore proveniva da Gibilterra un altro convoglio inglese.
Alle 05.00 del mattino cominciò la battaglia navale. Purtroppo alle prime luci dell’alba fummo attaccati di sorpresa da un gruppo di aerosiluranti. Un siluro, lanciato da soli 200 metri circa ci colpì immobilizzandoci. I caccia che ci accompagnavano, il Saetta ed il Pigafetta, ci nascosero con i nebbiogeni dandoci il tempo per riparare il danno.
Ci mettemmo a lavorare come infuriati e alle 10.00 eravamo quasi pronti per essere rimorchiati, ma proprio in quei minuti un sommergibile ci lanciò contro due siluri che esplosero sotto le torrette numero 1 e 2 che erano depositi di munizioni.
Era la fine.
Non ci fu nemmeno il tempo per predisporre i mezzi di salvataggio.Ognuno aveva il suo salvagente di sughero. A stento mi alzai dalla paratia contro la quale ero stato scagliato. Mi rimisi in piedi e con orrore constatai che già la nave stava affondando di prua. Morti ce n’erano dappertutto !
Urla , grida e pianti, richiami: un inferno! cosa fare ? Gettarsi in acqua prima di essere risucchiati in fondo al mare con la nave. Mi tolsi le scarpe e mi lanciai. Mi ritrovai in mezzo a mille detriti, fra corpi mutilati che galleggiavano in acqua; mi tolsi subito i pantaloni e mi misi a nuotare. Ma in quale direzione? I nebbiogeni impedivano la vista. Visti i cacciatorpediniere mi diressi verso di loro. Incontrati un mio amico che galleggiava ma era morto. Ripresi a nuotare. Ogni tanto mi giravo verso la mia nave. L’elica apparve fra sbuffi d’acqua e sibili d’aria che uscivano dai boccaporti e dagli oblò, poi scomparve con tutti i nostri ricordi di tanti giorni passati nelle sue cabine, nella buona e nella cattiva sorte portandosi dietro nelle profondità del mare 650 ragazzi come me. Era la fine di un pezzo delle nostre giovani vite !
Come potrei dimenticare la mia nave? Finalmente dopo una nuotata di circa 400 metri, dal Pigafetta mi fu lanciata una corda; mi aggrappai con la forza della disperazione e fui tirato a bordo. Ero nudo, sporco di nafta, dolorante, infreddolito e disperato per la perdita di così tanti amici. Mi gettarono una coperta sulle spalle e mi fecero bere qualcosa di caldo.
Facemmo rotta verso Messina; poco prima dell’arrivo in porto riuscimmo a sfuggire al lancio di due siluri. Si fece sera e mi addormentai.
Continuai a fare servizio, ma non più bordo. Dicono gli psicologi che uno che si salva da un naufragio non è più in grado di salire su un’altra nave. Ricordo che al deposito di Messina mi consegnarono lire 151 quale indennità per la perdita del vestiario. Devo ringraziare qualche Santo: anche quella volta ebbi salva la vita."
L’intervista è tratta dall’opera di BRUNO SAVIN, edita nel 2006, “ E noi…chi siamo!?” 1939-1946 Battaglia Terme nella 2° Guerra Mondiale, Battaglia Terme (PD), Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia / Parrocchia di Battaglia Terme.
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