Post
  | Home |
Database |
Cerca nel sito |
Novità |
Mappa del sito |
Bibliografia |
Scrivici |Altri ricordi del Corazziere (+ nuove memorie)
- Bombardamento, esplosioni, la morte di un amico. Incursori inglesi. -
Siluristi sul Corazziere (immagine di Bruno Taglieri).
Ringraziamo Bruno Taglieri per gli ulteriori ricordi che ci ha cortesemente trasmesso.
Bombardamento del 15/2/43 a Napoli
Abbiamo già pubblicato una
pagina sul Corazziere. Del bombardamento che danneggiò gravemente la nave e di un altro incidente in porto, abbiamo ricevuto in seguito altri ricordi di Taglieri, che qui aggiungiamo.
"Non appena terminate le operazione di attracco a Napoli , fui chiamato dall'ufficiale mio diretto superiore il quale mi consegno il foglio di licenza. Mi disse: non appena hai sbarcato i siluri puoi partire. Anche per me c'era un meritato riposo. Non cera bisogno di preparare la valigia dato che avevo perso per la seconda volta sia il vestiario che gli effetti personali. Da notare che io ero l'unico silurista rimasto a bordo, quindi mi misi subito all'opera. Mentre ero intento a scaricare l'aria compressa dai siluri, il resto dell'equipaggio, ad eccezione di quelli di servizio, si trasferiva a bordo del piroscafo Lombardia che fungeva da alloggio di emergenza.
I siluri erano quasi pronti quando le sirene suonarono l'allarme aereo; per noi era una cosa a cui eravamo abituati. Il mio ufficiale superiore diretto venne a salutarmi perché anche lui partiva (non l'ho più visto) e oltre ai saluti mi ordinò di indossare l'elmetto.
Mentre attendevo il battello per trasferirvi i siluri, entrò in azione la contraerea. Uno sguardo verso l'alto e vidi i bombardieri che iniziavano a sganciare le bombe. L'esperienza era tale da farmi ritenere che le bombe sarebbero cadute nel punto dove eravamo noi. Un salto giù dal lanciasiluro, di corsa verso terra, ero appena a cinquanta metri dalla nave che sentivo i primi scoppi. Mentre cercavo riparo un oggetto mi colpì la testa, ma senza riportare danni: l'elmetto mi aveva protetto.
Guardai verso la nave, vedendo come oscillava l'albero ebbi la certezza che il Corazziere era stato centrato dalle bombe. Non appena cessato il pericolo, tornai verso la banchina.
La scena era terrificante, il Corazziere era senza prua e pendeva in avanti perché imbarcava acqua. Da un lato c'era un una nave da trasporto già a fondo, dall'altro lato una nave da guerra tedesca colpita a poppa sembrava seduta. Alcuni marinai che erano di servizio sul Corazziere e non avevano avuto il tempo per allontanarsi, cercavano di risistemare la passerella, la mia presenza sul molo facilitò l'operazione. Mi informai se cerano feriti, per fortuna nessun danno alle persone.
Mentre aspettavo l'arrivo del mezzo per trasbordare i siluri, andai a vedere i danni: erano ingenti, la prua era scomparsa. Diedi una mano a sistemare i tubi delle pompe per aspirare l'acqua. Scaricati i siluri, salutato i colleghi, con la licenza in tasca corsi alla stazione per prendere il treno che per un mese mi avrebbe portato lontano dai rumori della guerra, in un paesino dell'Abruzzo sperduto tra i boschi."
Relax dopo la posa di mine, sul Corazziere (immagine di Bruno Taglieri).
Incendio ed esplosioni del 1/4/43 a Napoli
"Al rientro dalla licenza trovai il Corazziere ormeggiato nei pressi della stazione marittima, pronto per essere trasferito nei cantieri navali del porto di Genova, per la ricostruzione della prua e tutti i lavori necessari per poter rientrare nel rango e continuare a svolgere il suo ruolo.
Il mattino del primo di aprile 1943 ci fu comunicato che la partenza era fissata per il tardo pomeriggio. Chi aveva necessita di scendere a terra poteva chiedere il permesso; come al solito fu fissata l'ora in cui tutto l'equipaggio doveva essere a bordo e molti approfittarono di questa possibilità.
Come siluristi a bordo eravamo rimasti in due io e un certo Giovannetti (non riesco a ricordare il nome anche se eravamo amici) il quale era andato in licenza appena dopo la collisione mentre eravamo nel porto di Trapani. Infatti era rientrato dalla licenza circa una settimana prima di me e approfittò per farsi l'ultima passeggiata nelle vie di Napoli, mentre io restai a bordo.
Erano circa le dieci del mattino quando si cominciarono a sentire dei botti di munizioni che esplodevano, una nave carica di esplosivo ormeggiata non molto lontano da noi aveva preso fuoco. I mezzi antincendio non riuscivano a domare le fiamme di conseguenza le munizioni esplodevano. Le schegge arrivavano a centinaia di metri di distanza, tanto che le sirene dettero l'allarme per fare in modo che la popolazione si portasse al riparo nei ricoveri antiaerei. Le esplosioni delle munizioni aprivano continue falle nella nave e questa andò a fondo, con la conseguenza dell'esplosione in contemporanea di tutto l'esplosivo che era a bordo. Un boato enorme, pezzi di nave e materiale vario volarono in aria tanto da raggiungere fino a un chilometro di distanza alcuni fabbricati, che furono sventrati.
Il mio collega Giovannetti forse non ritenne o non fece in tempo a mettersi al riparo, fu colpito da una scheggia alla testa e mori.
Mi fu affidato il compito di restare a Napoli per assistere i genitori del defunto i quali sarebbero giunti il giorno dopo da Milano. Non mi fu difficile all'arrivo del treno individuarli: due persone addolorate e stanche per il viaggio ma con grande dignità e compostezza affrontavano la perdita del proprio figlio.
Li accompagnai all'obitorio dove vi trovai dei marinai e un ufficiale di Marinapoli designati come picchetto d'onore. L'ufficiale si prese cura dei genitori e io dopo avere assistito alla sepoltura del defunto, salutati i genitori, presi il treno per Genova dove giunsi prima del Corazziere.
Visto quello che accadde al mio amico, mi sono domandato più di una volta: se avessi ignorato l'ordine di indossare l'elmetto mentre cadevano le bombe, sarei ancora in vita?"
Racconto dell'allora sottocapo silurista Bruno Taglieri.
Bruno Taglieri.
Ancora nuovi ricordi.
(una incursione subacquea, una notte tormentata, vacanze in montagna)
Lo spazio che abbiamo dato a Bruno Taglieri sul sito, lo ha incoraggiato a narrarci ancora altri fatti di quel periodo. Non possiamo che essere grati di queste testimonianze inedite, molto interessanti.
Nel periodo di permanenza del Corazziere a Palermo, il porto fu oggetto di un attacco di incursori subacquei inglesi.
" Il C.T. Corazziere la mattina del 3 Gennaio 1943 si trovava ormeggiato presso il cantiere navale del porto di Palermo, dove si era proceduto alla riparazione di una caldaia, che era andata in avaria alcuni giorni prima. Eravamo poco lontano dall'incrociatore Ulpio Traiano in allestimento, quasi pronto per prendere il mare.
Quella mattina dovevamo muoverci, quindi tutti erano al posto di manovra. Con grande sorpresa, non appena i primi operai del cantiere salirono a bordo dell'incrociatore, una esplosione danneggiò l'Ulpio tanto da farlo rovesciare. Fummo investiti da schegge che per fortuna non ci provocarono danni.
A distanza di pochi minuti un'altra esposione danneggiò la nave da carico Viminale.
Gli ordigni esplosivi usati dagli Inglesi non erano ad accensione a tempo ma basati sull'urto e sul movimento del natante: l'immediato allarme diede al C.T. Grecale, alla torpediniera Ciclone, a un'altra nave da carico, il tempo di individuare gli ordigni e neutralizzarli limitando i danni."
Nel tentativo di emulare gli eccezionali successi degli assaltatori subacquei italiani a bordo dei “maiali”, anche la Marina britannica si affrettò a sviluppare mezzi simili, gli “chariots”, con relativi operatori addestrati (2 per chariot), per introdursi nei porti e minare le navi all'ancora.
Gli chariots, come i maiali, venivano trasportati da un sommergibile adattato (della classe T) in prossimità dell'obiettivo. In Mediterraneo fu scelto il porto di Palermo per questo tipo di attacco insidioso, a cui vennero destinati 8 chariots.
Durante una ricognizione preliminare a Palermo fu perduto il sommergibile Traveller. Poco prima dell'attacco venne perduto per urto contro mine il sommergibile P311, con 3 chariots a bordo.
Nella notte tra il 2 e 3 gennaio 1943 il Trooper con 3 chariots e il Thunderboldt con 2 chariots sferrarono l'attacco al porto, mentre il sommergibile Unruffled avrebbe tentato il recupero dei soli operatori. Uno chariot del Trooper riuscì a minare e far esplodere un ordigno che danneggiò la nave trasporto Viminale, immobilizzandola. Uno chariot del Thunderbolt riuscì a minare e far saltare l'incrociatore Ulpio Traiano, in allestimento, che si rovesciò. Furono minati anche il cacciatorpediniere Grecale, la torpediniera Ciclone e un altro mercantile, ma non vi fu esplosione. Solo 2 operatori furono recuperati dall'Unruffled, 6 furono catturati e 2 persero la vita (oltre ai 6 caduti nell'affondamento del Traveller).
Bruno Taglieri ricorda anche di una notte tormentata, che qui riportiamo.
"Il C.T. Corazziere il 14 febbraio 1943 era ormeggiato da alcuni giorni a ridosso del cantiere navale nel porto di Palermo, dove gli era stata effettuata una riparazione di emergenza alla falla riportata nello speronamento di una motozattera tedesca mentre tornava da una missione da Tunisi, per poi trasferirsi nei cantieri di Napoli.
Era ufficiale che la mattina dopo alle ore 6,30 si salpasse, ad eccezione del personale comandato; il pomeriggio tutti liberi di scendere a terra, cosa che quasi tutti fecero. Io ricordo molto bene, andai al Teatro Massimo dove davano “I pagliacci”.
Al rientro mi fu comunicato l'ordine di servizio: ero di turno di guardia dalle ore 24 alle 04. Essendo graduato il mio compito era quello di assistere e controllare le due sentinelle, una a poppa e una a prora.
Avevo appena prese le consegne dal collega che sostituivo, che ecco le sirene, allarme aereo, ma come alcune volte succedeva, aerei nemici non se ne videro.
Dopo circa un'ora suonò il cessato allarme. Era buio e c'era un silenzio strano ,una calma che non mi lasciava tranquillo.
Eravamo ancorati isolati, senza reti di protezione, e quel silenzio, quella apparente calma non mi convinceva, mi rese irrequieto, tanto da mettermi a passeggiare da poppa fino a prora, scrutando il mare. Raccomandai alle due sentinelle di essere vigili.
Mentre ero fermo a scrutare nel buio il mare, percepii un rumore non molto lontano, come qualcosa che si muoveva sott'acqua. Avevo in dotazione una normale lampada portatile, l'accesi, con le dovute precauzioni che le circostanze imponevano. Cercai di scrutare il mare fin dove era possibile, nulla di anormale, tutto tranquillo ma per me c'era qualcosa che non quadrava, anche la sentinella di prua mi disse che aveva percepito qualche cosa di strano.
Svegliai l'ufficiale di servizio e gli riferii i miei timori, si alzò e venne in coperta dove ci mettemmo ad ascoltare in silenzio: tutto taceva, ma si decise si di esplorare lo scafo con il faro di immersione in dotazione: niente di anormale. L'operazione ci tenne occupati per diverso tempo tanto che arrivò il cambio. Passai le consegne al collega ma restai con lui finché fece giorno.
Il Corazziere dopo accurati controlli, eseguiti dal nostro palombaro allo scafo, salpò per Napoli.
L'effetto emotivo e il brutto ricordo del precedente attacco erano sicuramente all'origine della notte tormentata che avevamo passato."
Sappiamo che non vi furono altri attacchi subacquei a Palermo, anche perché erano andati perduti tutti gli chariots di cui i britannici disponevano. Ma la tensione in cui mettevano le aeree portuali, la sensazione che ogni rumore o stranezza nascondesse una minaccia, è molto ben descritta da Taglieri. Certamente i britannici, molto più colpiti dagli attacchi italiani, vissero tale angoscia (con il lavoro di prevenzione e sorveglianza) per tutta la guerra. Era un'arma insidiosa molto efficace.
"Il mese di luglio, mentre il Corazziere era fermo in cantiere nel porto di Genova, l'equipaggio in attesa di riprendere il mare venne inviato in due turni a Merano, per un periodo di recupero fisico.
Io fui assegnato al secondo turno, eravamo alloggiati in albergo come turisti, vita comoda e tranquilla, senza la sveglia la mattina e senza l'ora di rientro la sera, il vitto era ottimo ed abbondante, lunghe dormite senza timore di bombardamenti aerei. Ci fecero ricuperare il sonno perso durante le operazioni militari.
Furono organizzate alcune gite in alta montagna fino a 2300 metri di altitudine: si partiva la mattina con la funivia e poi si proseguiva a piedi per sentieri tra i boschi fino in cima, dove c'era una baita nella quale ci fermavamo a consumare il pranzo.
Terminato il periodo di riposo tutti a Genova in attesa di riprendere il mare."
370