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Scrivici |Il Cacciatorpediniere Corazziere
- Ricordi di marinai e vicende di guerra. -
Cacciatorpediniere della classe "Soldati" in navigazione: Camicia nera e Geniere nel 1939, come annotato sul retro (immagine della raccolta di Luigi Meloni, proprietà Lamonato).
Per le testimonianze, ringraziamo Bruno Taglieri e Antonio Angelo Caria (scomparso di recente). Ringraziamo inoltre il sig.Lamonato per le immagini fornite.
Testimonianze
Del cacciatorpediniere Corazziere avevamo già parlato grazie alla testimonianza di Antonio Angelo Caria, quando ci aveva aiutato a ricostruire il siluramento dell'incrociatore Trento, a cui aveva assistito da bordo del Corazziere. Caria in seguito lasciò il Corazziere per salire su altre unità, ma ricorda di aver saputo lo sfortunato destino del caccia e del suo equipaggio al momento dell'armistizio.
Ci ha poi scritto un silurista del Corazziere, Bruno Taglieri, che visse tutte le vicende della nave fino alla fine, aggiungendo altri racconti che qui riportiamo. Grazie a questi ricordi e alle informazioni dell'Ufficio Storico, possiamo rivivere alcuni momenti della storia della nave e del suo personale, immersi nelle difficoltà del tempo di guerra.
Taglieri Bruno fu imbarcato sul cacciatorpediniere Corazziere il 15/06/1941 con la qualifica di silurista fino all'autoaffondamento nel porto di Genova nel 8 settembre 1943.
"Ho avuto la fortuna di leggere quanto scritto dall'amico e compagno di tante avventure e sventure, Caria Antonio. A lui e a tutto l'equipaggio del Corazziere un affettuoso e commosso saluto o ricordo per quelli che non ci sono più. Quanto scritto da Caria mette in evidenza quando è dura e anche avventurosa la vita in mare, specialmente in tempo di guerra. Ho ancora vivo il ricordo dei disagi e del coraggio necessario in quei lunghi anni che non passavano mai; il ricordo di quegli amici persi per strada mi fa ancora male.”
Mine a Malta con il Corazziere: 23/10/41
“Il 23/10/1941 Corazziere, Ascari, Lanciere, Carabiniere, dopo aver imbarcato un carico di mine, salparono in missione segreta per la loro posa. Avemmo ordine di lasciare fiammiferi e sigarette nel dormitorio onde evitare che durante la posa qualcuno potesse rivelare la nostra presenza con una fonte di luce; venne anche ordinato silenzio assoluto. Giunti a destinazione (non sapevamo dove fosse) tutto era calmo e ognuno era al suo posto. Come stabilito io ero addetto alla rimozione dei cappellotti di metallo, che durante il trasporto stavano a protezione delle fiale contenenti acido. Altri toglievano i cavi d'ancoraggio e altri ancora spingevano le mine a poppa. Una dopo l'altra, ad intervalli già stabiliti, si lasciavano cadere in acqua.
Tutto procedeva bene ma all'improvviso si sentirono dei spari. Era la contraerea e ci fu subito chiaro che ci trovavamo vicino alla costa nemica. Come si seppe dopo, eravamo vicino all'isola di Malta. Mentre noi si continuava a posare mine con il fiato sospeso, sulla costa l'antiaerea sparava: i riflettori puntati verso il cielo cercavano di inquadrare gli aerei, che a loro volta sganciavano bombe come piovesse. Certo non era facile essere calmi. Non appena l'ultima mina cadde in mare, il Corazziere partì a tutta forza verso il porto di Palermo, dove giungemmo che era già giorno. L'ordine fu di andare tutti a dormire per due ore, poi si ricominciava.”
La collocazione di mine proprio nelle acque di Malta, vicinissimo all'isola, non deve stupire. La guerra delle mine fu veramente intensa in Mediterraneo e furono molte le perdite britanniche in prossimità di Malta, per campi deposti dagli italiani. La vicinanza alle aree portuali era necessaria per insidiare le rotte obbligate di ingresso o di uscita, proprio quando si poteva pensare di essere arrivati o quando si era appena salpati. La segretezza assoluta dell'operazione era indispensabile perché essere scoperti vanificava tutto il lavoro, che doveva essere rapido e preciso, doppiamente rischioso sia per gli ordigni da maneggiare, sia per la presenza nemica.
Posa di mine dal Corazziere (si vede l'ultima e un'altra più lontana nella scia: poi si immergeranno). Momenti di relax dopo la missione. In primo piano Bruno Taglieri.
Collisione, inattività, intraprendenza.
La collisione tra Corazziere e Granatiere: 18/12/41
“Il mattino del 18/12/1941 mentre si navigava in formazione ad alta velocità, alla ricerca del nemico, il Corazziere entrò in collisione con il caccia Granatiere. Entrambi subirono gravi danni, con la perdita di parte molto vistosa della prora. Il Corazziere fu rimorchiato fino a Orgosoli (Argostoli, forse), un porticciolo nella costa greca dove fu ormeggiato al centro della baia, a circa cento metri dalla banchina, con la sola ancora di poppa. Parte dell'equipaggio fu sbarcato e a quelli come me che, per ragioni logistiche restarono a bordo, fu detto che ci sarebbe stata assistenza entro pochi giorni, il tempo necessario per l'arrivo dei mezzi di soccorso dall'Italia.
Era il mese di dicembre e faceva freddo. Persa la prua non avevamo più il dormitorio e il grave era che avevamo perso tutto il vestiario, compreso coperte, amaca e gli effetti personali, tranne quello che avevamo addosso. Per dormire qualsiasi angolo riparato dalle intemperie era buono. Come già detto, non avevamo niente per coprirci e neppure i materassini, mentre i giorni passavano e il freddo aumentava. Durante il giorno per scaldarci organizzavamo delle corse sul poco spazio che vi era da poppa al dormitorio sottufficiali. Il tempo passava monotono e nessuno si faceva vivo, pertanto cominciò ad affiorare lo scoramento, una certa stanchezza mentale, con la fiducia che cedeva alla sfiducia, tendenza molto pericolosa. All'improvviso arrivò dall'Italia un idrovolante con i viveri e la posta: questo servì a rasserenare l'ambiente.”
Cemento armato per riparare il Corazziere: 24/12/41
“Un giorno con un gruppetto di amici ci godevamo un po' di sole, quando notai sulla spiaggia un deposito di materiale da costruzione. Mi balenò un'idea, ci pensai per un po' di tempo poi la esposi. Non me l'aspettavo ma fu presa in considerazione. Si trattava di fare un muro in cemento armato per chiudere la falla. L'idea prese corpo, le guide in dotazione per la posa mine si potevano utilizzare per l'intelaiatura in metallo, il cemento e la ghiaia si dovevano reperire presso i greci. Dunque tutti al lavoro, io e l'altro silurista rimasto a bordo, uno specialista nella saldatura ad ossigeno. Ci accingemmo a realizzare la struttura metallica mentre altri si preoccuparono di reperire sabbia, cemento e quanto altro serviva. La mattina del 24 dicembre un barcone preso in prestito ai greci, carico di quando serviva per realizzare l'opera, si affiancò al Corazziere. Tutti cercarono di rendersi utili e alla fine di una giornata di fatica, dopo la mezzanotte, mentre in tutto il mondo si festeggiava il Natale, noi stanchi ma fiduciosi festeggiavamo la nascita di una paratia che ci avrebbe permesso il ritorno in Patria.
La fiducia e la speranza allontanavano lo scoramento ma nessuno si nascondeva le difficoltà e i rischi che si correvano. Comunque avevamo recuperato dal resto della prora un locale che ci permetteva di stare insieme e di consumare i pasti un poco più comodi. C'era chi smaniava ma bisognava aspettare che il cemento fosse indurito per evitare brutte sorprese, nel frattempo i giorni passavano monotoni e si avvicinava l'anno nuovo. Si decise di far festa, non mancava il denaro dato che molti di noi avevamo l'abitudine di portarselo in tasca durante le missioni assieme alle sigarette. Ottenuto il consenso del comandante, non fu difficile comprare un maialino da un contadino greco, dato che la moneta italiana faceva gola ai greci, e alcune bottiglie di spumante e di vino, il resto lo fece il nostro cuoco . C'era la prospettiva di attendere l'anno nuovo, che doveva essere per quanto possibile festoso ma una notizia venne a raffreddare l'atmosfera: un sommergibile nemico sostava nelle vicinanze. La sera del 31 dicembre, pronta la cena, eravamo tutti insieme a festeggiare l'arrivo dell'anno nuovo, dimenticando i nostri guai.
Il primo gennaio 1942, finita la festa, si ritornava alla realtà: faceva freddo, non avevamo biancheria di ricambio, non potevamo lavarci,,non era facile vivere in quelle condizioni, con i giorni che passavano. La sola cosa che ci teneva su era la speranza di vedere arrivare i mezzi di soccorso. Finalmente una mattina i soccorsi entrarono nel porticciolo. Ci condussero nel porto di Napoli; il Corazziere entrò in bacino e noi andammo tutti in licenza.”
Il racconto ci riporta gli interessanti particolari che non fanno Storia, i disagi dell'equipaggio in condizioni difficili su una nave sinistrata. Peraltro non manca la volontà di fare qualcosa, che unita alla fantasia, permette una soluzione di emergenza con mezzi di fortuna in attesa dei soccorsi. Natale e anno nuovo rilanciano la speranza.
Nei testi dell'Ufficio Storico si cita la violenta collisione del Corazziere contro l'Artigliere, con tre vittime su quest'ultimo (e con perdite non meglio precisate sull'altro). L'Artigliere fu rimorchiato a Navarino in Grecia e poi a Taranto. Rimasto al sud, danneggiato durante un bombardamento a Palermo, fu colto dall'armistizio a Taranto, separando così le sue sorti dal gemello Corazziere, tanto che l'Artigliere sopravvisse al conflitto e fu anche ristrutturato con attrezzature più moderne.
Una pagina del testo USMM sottoindicato come bibliografia. In sovrapposizione un particolare di una bella immagine di Luigi Meloni (sig. Lamonato).
I ricordi di Caria.
Mezzo Giugno
Il 14-15 giugno 1942 si svolse la grande battaglia aeronavale di “Mezzo Giugno 1942” divisa in due scenari al centro del Mediterraneo. Nella zona est al centro dello Ionio si svolse il siluramento aereo dell'incrociatore Trento, osservato attentamente da Caria, stereotelemetrista a bordo del Corazziere: una testimonianza importante che abbiamo pubblicato e ampiamente commentato per le significative differenze rispetto alla versione ufficiale. Importante anche perché la nave rimasta immobile fu poi facilmente silurata da un sommergibile e affondata rapidamente, con molte vittime.
Angelo Caria ha pubblicato i suoi notevoli ricordi anche su Wikipedia, di cui riportiamo qui alcune sintesi.
Navarino
Il Corazziere, assieme alla VIII divisione navale fu distaccato baia di Navarino (Grecia), presso l'isola Sfacteria. A causa dell'avanzata italo-tedesca verso est fino a El Alamein, e delle diverse rotte di rifornimento più spostate a oriente, era divenuta necessaria la presenza in zona per la scorta dei convogli diretti a Bengasi o Tobruk. Il Corazziere uscì con l'Alpino per scortare la motonave Monviso, che fu purtroppo silurata il 2/8/42 proprio di fronte a Bengasi. Caria ricorda che, avendo l'ecogoniometro installato da poco, riuscirono comunque a individuare il sommergibile e attaccarlo con bombe di profondità. Fu poi ordinato di rientrare a Navarino mentre la torpediniera Pegaso proseguì la caccia, affondando il sommergibile.
Aggiungiamo quanto ricorda Taglieri:
“A proposito del siluramento del piroscafo Monviso, va precisato che l'ecogoniometro di cui il Corazziere era dotato in quella circostanza era inutilizzabile perché in avaria, tanto è vero che l'addetto all'ascolto era vicino a me quando i siluri colpirono il piroscafo.”
Si riteneva che la Pegaso avesse affondato il famoso sommergibile Upholder (perduto invece per attacco aereo tedesco). Il sommergibile che aveva colpito il Monviso era il Thorn, che venne affondato con perdita totale dell'equipaggio. La differenza della data della perdita (pochi giorni) è forse dovuto alla prassi britannica di considerare perduta l'unità alla data del mancato rientro.
Le unità italiane nella base di Navarino vennero infine scoperte dalla ricognizione nemica e sottoposte a bombardamenti da alta quota, fuori dalla portata della contraerea, senza possibilità di difesa. Fu durante uno di questi bombardamenti che Caria rammenta le preoccupanti conseguenze di un errato ordine sul Corazziere: ne scaturì un equivoco che sembrava comportasse la grave accusa di ammutinamento, poi rientrata.
Per il resto la permanenza a Navarino non fu spiacevole, con possibilità di svago a terra nel paese di Pilos. Sulla vicina spiaggia deserta furono compiute alcuni esercitazioni di sbarco con reparti di marinai, finalizzate alla prevista invasione di Malta, poi annullata. Il 30 ottobre 1942 il Corazziere fu il primo a rimpatriare, a Taranto, forse per l'esigenza di missioni di trasporto urgente (munizioni anticarro).
Particolare di una tavola riassuntiva delle navi della Regia Marina. In basso a destra si vede un caccia ("esploratore" per le dimensioni") della classe del Corazziere, mentre subito sopra si vedono i predecessori.
Altre drammatiche vicende.
Trasporto munizioni per Tobruk: 1 e 2/11/42
Con l'avanzata verso ovest della 8° Armata britannica, era necessario un trasporto veloce di munizioni anticarro a Tobruk, con un convoglio di cui facevano parte i caccia Corazziere, Da Recco, Bersagliere.
Mare calmo e luna piena. Appena doppiata Creta si scatenò l'attacco. Dapprima vi fu un lancio di bengala da parte di ricognitori. Dopo circa un'ora avvenne l'attacco aereo, facilitato dalle scie fosforescenti dei caccia in velocità nella notte. I traccianti delle prime mitragliere a sparare indicavano alle altre la direzione di attacco. I caccia italiani stendevano cortine fumogene, con rotte intersecanti e a rientrare, in modo da oscurarsi a vicenda. Gli attacchi si ripeterono più volte.
Sfortunatamente Caria soffriva in quel momento di fortissimi dolori addominali, tanto da non poter stare in piedi, ma la sua esperienza era necessaria nell'orientare il tiro: ricorda che con l'aiuto di un cannoniere (Delio Indeo di San Gavino Monreale) che segnalava l'arrivo degli attaccanti, riusciva di volta in volta ad alzarsi e indirizzare le mitragliere secondo la provenienza degli aerei. Vide anche i proiettili traccianti esplodere nella carlinga di un aereo, poi allontanatosi fiammeggiante oltre l'orizzonte, infine lasciando intravedere una vampata lontana.
Sul Corazziere cadde una bomba obliquamente a mezza altezza nel plateau del complesso di poppa, con sei feriti di cui uno ebbe le cosce tranciate. Vista la situazione sempre più difficile, il Comandante, informato dall'ufficiale in controplancia dei malori di Caria, sempre steso sul pavimento, avrebbe voluto che venisse assistito dall'Ufficiale Medico. Ma questo non si presentò subito, impegnato con i feriti gravi del bombardamento. L'Ufficiale Medico fu duramente ripreso dal Comandante, perché nonostante i feriti era comunque necessario garantire la salvezza di tutto l'equipaggio in combattimento: così il Comandante impose che Caria venisse subito messo in condizioni operative.
Assunti dei farmaci, Caria poté alzarsi a fianco di Indeo, avvistando il lancio di un siluro aereo a brevissima distanza. Comunicandolo direttamente al Comandante, ne sentì la voce calma ordinare al timoniere “Via così”, sicuro che il siluro sarebbe passato sotto la chiglia. Seppe poi che sul Da Recco il siluro era caduto addirittura in coperta, scivolando in mare e lasciando la coda impigliata in una bitta.
Raggiunta Tobruk al mattino, trovarono disponibili bettoline e chiatte per lo scarico. Dal Corazziere furono sbarcati due feriti gravi che furono presi a bordo di un idrovolante Cant Z 506 della Croce Rossa, diretto all'Ospedale di Chirurgia di Guerra di Massa Carrara. Equipaggio e ufficiali aiutarono marinai e soldati per un rapido passamano delle casse di armi e munizioni, poi subito di nuovo in mare aperto.
Ad appena poche miglia furono sorvolati da bombardieri Lancaster e Mosquito che però non li attaccarono perché erano diretti a Tobruk. Videro i “fuochi artificiali” sulle bettoline cariche di munizioni, pensando a cosa sarebbe accaduto se si fossero attardati. Rientrarono a Messina dove erano in attesa le ambulanze per gli altri feriti e un camioncino per i bagagli del Tenente Medico, che era stato sbarcato, forse con qualche provvedimento a suo carico.
Ecco alcuni ricordi di Taglieri di quella missione:
"Col mare calmo, si navigò senza problemi: seguimmo una rotta strana, nel pomeriggio imboccammo il canale di Corinto, quindi davanti ad Atene e poi giù verso l'Africa. Non appena fu notte le cose cambiarono, prima sentimmo il rumore di un ricognitore nemico che ci cercava, e dopo un lungo silenzio il cielo si illuminò della luce dei bengala lanciati dai bombardieri nemici. Le tre navi cercarono di nascondersi sotto la cortina fumogena da esse prodotta, le bombe cadevano sia a destra che a sinistra della nave, impegnata a muoversi a zig zag.
Io ero al mio posto sul tubo di lancio di poppa, quando all'improvviso vidi sbucare da una nuvola di fumo sul lato destro del Corazziere un aereo silurante che non esitò a sganciare il siluro. Udii degli urli di panico ma, dico la verità, non mi scomposi, convinto che il siluro sarebbe passato sotto la nave: infatti mi voltai a guardare sulla sinistra e vidi la scia del siluro che proseguiva la corsa.
Intanto le bombe continuavano a cadere ma per fortuna nessuna raggiungeva il bersaglio, finché non ne giunse una “a grappolo” che esplose a poca distanza dalla nave. Le schegge investirono la torretta del cannone di poppa, molto vicino al mio posto di manovra. Il sibilo delle schegge fu tale da ritenere che avessi corso un bel rischio. Lamenti provenienti dalla torretta mi facevano capire che vi fossero dei feriti. Allertai la plancia. I feriti erano sei, uno dei quali molto grave. Dopo circa due ore di bombardamenti non vi furono altri danni. Era mattina inoltrata quando si giunse a Tobruk... Una gara di velocità a scaricare le munizioni. Mi sorprese molto vedere, mentre ci allontanavamo dalla costa libica, un dromedario solitario incurante dell'inferno che lo circondava.
Nei testi dell'USMM si riporta anche che il 7 novembre 1942, pochi giorni dopo la difficile missione in Nord Africa, il Corazziere era impegnato in una posa di mine nel Canale di Sicilia. In tale occasione dette assistenza all'Incrociatore Attilio Regolo, che era stato colpito da un siluro di un sommergibile, con l'asportazione della prora.
Collisione e pericolo di mine
Il 5 febbraio 1943 al rientro a Trapani da una missione trasporto truppe a Tunisi, il Corazziere, entrato in rotta di sicurezza (tra i campi minati), ebbe una collisione con una motozattera tedesca. Ci fu molto spavento, con il precipitarsi in coperta (per non rimanere imprigionati) e la tentazione di buttarsi a mare. Il Corazziere ebbe una falla di circa 10-12 metri a prora, sulla dritta, con allagamenti.
Macchine ferme, controllo dei danni, ma anche molta preoccupazione per stabilire il punto esatto, dato che la corrente faceva scarrocciare la nave presso i campi minati. Quando finalmente si seppe la posizione precisa, la nave stava per finire sulle mine.
A Trapani furono sbarcate tutte le munizioni, siluri e mine. In febbraio a Palermo il Corazziere fu riparato in modo provvisorio e il lavoro definitivo avrebbe dovuto svolgersi a Napoli, ma...
Chiglia spezzata dalle bombe: 15/2/43
Mezz'ora dopo essere arrivato a Napoli, il Corazziere si trovò sotto un intenso bombardamento del porto e della città da parte di numerosi B 17 americani. Si vedevano crollare gli edifici cittadini. Poco distante un incrociatore ausiliario tedesco che sparava con le armi antiaeree fu colpito in pieno, affondando con la tolda a livello del mare.
Poi fu la volta del Corazziere, con due bombe a prora che perforarono tutti i ponti e scoppiarono in acqua sotto la chiglia, spezzandola. Il Corazziere perse 22 metri di prora, che si inclinò in avanti e si staccò, affondando. Molti marinai che erano in franchigia e stavano facendo la doccia, così com'erano si buttarono nell'acqua del porto, sporca di nafta. Caria, trattenutosi a bordo per scrivere delle lettere a casa, si rifugiò nella torretta telemetrica per ripararsi dalle schegge.
Comunque non vi furono morti e feriti sul Corazziere. La nave stava affondando perché le pompe di esaurimento non bastavano e ne furono mandate alcune da Marina Napoli. L'equipaggio passò la notte a bordo della nave-caserma Lombardia e l'indomani ebbero 30 giorni di licenza (più 2 di viaggio, 4 per chi era nelle isole).
Al rientro dalla licenza, buona parte del personale (circa 150 persone) era stato sbarcato dalla nave. Il 1° aprile il Corazziere, insieme con il Maestrale, che aveva perso la poppa sulle mine, vennero rimorchiati a Genova per i lavori. All'arrivo la popolazione credeva che le due navi così danneggiate fossero reduci da una battaglia navale. Sbarcato altro personale, in attesa o destinato ad altri imbarchi, seguì un periodo abbastanza tranquillo. Infine Caria venne destinato alla Corvetta Sibilla, in preparazione a Trieste e lasciò la nave il 4 giugno 1943. Anche il Comandante venne sbarcato e salutò il suo equipaggio con importanti parole di apprezzamento.
Altri ricordi di Taglieri:
"Il Corazziere assieme ad altri caccia veniva molto spesso adibito a trasporto truppe, prevalentemente tedesche. Credo utile spendere qualche parola per ricordare quei poveri ragazzi, tutti molto giovani e ignari di quello a cui andavano incontro. Generalmente venivano imbarcati nel pomeriggio e ultimata l'operazione si salpava. Capitava che appena preso il largo, il mare diventasse mosso, ed ecco il mal di mare. Quasi tutti lo soffrivano, non erano abituati a navigare e spesso affiorava anche la paura. A volte subivamo un attacco aereo e per loro era una dura prova, correvano avanti e indietro. A volte alcuni li facevo avvicinare e li calmavo.
Ricordo un ragazzo che, preso dal panico, non ebbe pace fin quando non si buttò sotto il tubo di lancio: restò a pancia sotto immobile. Io dal mio posto di manovra non potevo muovermi e quindi dubitavo che fosse ancora vivo. Per fortuna la mattina, appena entrati nel porto di Tunisi, come tutti gli altri era in piedi pronto a sbarcare. Una cosa era certa: osservandoli bene, i giovani baldanzosi della sera precedente non erano più gli stessi."
L'armistizio, l'autoaffondamento del Corazziere, la fuga verso casa.
Dai ricordi di Taglieri:
"Il Corazziere dove ero rimasto imbarcato si trovava nel porto di Genova in cantiere per riparazione ed era quasi pronto per riprendere il mare. Il pomeriggio del 8 settembre, dopo la notizia della resa comunicata dal maresciallo Badoglio, il Comandante riunì l'equipaggio, a cui rivolse poche parole di saluto, poi dopo aver ordinato di affondare la nave, diede il fatidico “si salvi chi può”.
Da premettere che ci trovavamo alloggiati in una casermetta poco lontano da dove era ormeggiato il Corazziere, io ero di comandata e quindi avevo con altri colleghi il doloroso compito di affondare la nave. Non fu difficile eludere l'intervento dei soldati tedeschi che si erano schierati sul molo perché eravamo coperti dal fabbricato dell'officina del cantiere navale. Dunque riuscimmo ad aprire le valvole di affondamento. Una raffica di proiettili investì il nostro alloggio. Non sono mai riuscito a sapere se i miei compagni si erano già allontanati oppure no. Non ricordo bene ma mi sembra che eravamo in sei. Mentre lentamente la nave affondava noi ci rifugiammo dentro l'officina, nascosti dietro le macchine utensili.
Non appena divenne buio ci avviammo rasentando i muri, in ordine sparso, fino a raggiungere il tunnel in costruzione che univa il porto e la stazione ferroviaria di Brignole. Qui rimasi solo, con un po' di fortuna a tentoni nel buio riuscii a raggiungere la stazione, con cautela mi assicurai che tutto fosse tranquillo, mi tolsi il camiciotto, il berretto lo avevo perso nella corsa, così non sembravo un marinaio. Mi mescolai con i viaggiatori che aspettavano il treno, il quale non tardò molto. Dovevo raggiungere Roma per poi proseguire per l'Abruzzo. Il viaggio proseguì normale fino a pochi chilometri da Orbetello, dove era in corso un bombardamento aereo il quale danneggiò la ferrovia. Dopo una lunga attesa il treno tornò indietro e deviò per raggiungere la Firenze-Roma passando per Siena. Era passata ormai la mezzanotte, ero stanco e a digiuno da molte ore: mi addormentai.
Alla stazione di Chiusi fui svegliato da soldati tedeschi armati in assetto di guerra. Fecero scendere tutti gli uomini abili e ci portarono nel piazzale della stazione. Lì fummo circondati da sentinelle armate mentre ufficiali sia tedeschi che italiani discutevano fra di loro. Dopo circa un'ora ci condussero in stazione, ci fecero salire su un treno che partì diretto a Firenze. Giunti alla stazione di Firenze ci fecero scendere e incolonnati con le sentinelle ai lati ci condussero in una caserma poco distante dalla stazione, dove vi erano soldati italiani rimasti fedeli ai tedeschi. Regnava una confusione tale da far paura, nessuno sapeva cosa fare, dove andare.
Faceva buio e approfittai di quella situazione per dare un'occhiata in giro. Notai da un lato un muro di cinta per me facile da scavalcare però c'era un militare italiano di guardia; dopo alcuni tentativi riuscii a convincerlo con un pacchetto di sigarette a far finta di non vedere. Con un salto fui fuori, di nuovo libero. La strada che costeggiava la caserma era quasi deserta, passava qualche ciclista che aveva fretta di tornare a casa. Uno si fermò e gentilmente mi indicò la strada per raggiungere la stazione. In stazione tutto era calmo, un treno era in partenza per Roma, vi salii.
Questa volta raggiunsi Roma, trovai pronto il treno per il mio paese in Abruzzo, dove vi giunsi il pomeriggio del 11 settembre. Dopo aver trascorso tutto il periodo dell'occupazione tedesca nascosto, per sfuggire alle retate, non appena liberata Roma rientrai in servizio. Infine fui congedato per mancata rafferma con il grado di secondo capo.”
Commenti conclusivi
Il racconto di Taglieri contiene molte delle drammatiche situazioni che i militari italiani si trovarono ad affrontare al momento dell'armistizio. Le navi che non erano in condizioni di muoversi dovevano essere autoaffondate per evitare la cattura da parte dei tedeschi, che altrimenti le avrebbero impiegate a loro vantaggio. Questo significava spesso rischiare la vita per compiere il proprio dovere, esponendosi agli attacchi o rappresaglie dell'ex alleato. Il personale della Regia Marina rimasto a terra e fedele agli ordini, che non avesse voluto collaborare con i tedeschi, doveva cercare di sottrarsi alla cattura, prigionia, deportazione e quindi si impegnava in una lunga e pericolosa fuga, generalmente verso il sud dove si trovavano gli angloamericani, in quanto il fronte segnava il limite della dominazione tedesca.
Taglieri fu catturato ma riuscì a fuggire di nuovo, in un territorio dove esistevano sia italiani che collaboravano con i tedeschi sia italiani che favorivano i fuggitivi, nella totale incertezza. Raggiungere casa non significava essere al sicuro, ma almeno essere assistiti e nascosti da parenti o amici, persone di assoluta fiducia dato che una volta scoperti si rischiava la condanna a morte. La resa dell'Italia, lungi dal significare la fine della guerra, apriva un lungo e difficile periodo di transizione (fino all'aprile 1945), in cui furono molti a perdere la vita.
La tormentata vita del cacciatorpediniere non era ancora finita, perché la nave affondata fu recuperata dai tedeschi. Ma il 4 settembre 1944 un bombardamento alleato affondò ancora e definitivamente la nave nel porto di Genova.
Questi sono dunque i frammenti di storia riportati da due protagonisti, che ancora dopo mezzo secolo, ci ricordano eventi che si sarebbero ben scolpiti nella loro memoria. Solo due persone di un cacciatorpediniere che aveva quasi duecento uomini a bordo. E questo è solo uno dei tanti cacciatorpediniere italiani che presero parte al conflitto.
In questi ricordi vi è un condensato delle tante situazioni di cui talvolta abbiamo parlato: la posa di mine, collisioni e incidenti, disagi ambientali dei marinai, i Natale nostalgici lontani da casa, le battaglie navali, la scorta convogli con la perdita dei mercantili affidati, la caccia antisom, attacchi aerei e siluramenti nella notte, i conflitti e malintesi sugli ordini da eseguire, i pericoli di permanenza in porto, l'assistenza a navi colpite, l'odissea dei lavori, gli insperati momenti di quiete, i bombardamenti subiti all'ancora, i commoventi momenti di separazione, l'incognita di nuovi imbarchi, il disorientamento dell'armistizio, l'autoaffondamento che mai si vorrebbe dover compiere, la fuga, la cattura e prigionia, il nascondersi, l'attesa della fine,...e molto altro ancora.
Secondo l'USMM il Corazziere svolse 135 missioni di guerra per un totale di 53.000 miglia.
Nel periodo prebellico svolse attività addestrativa e prese parte alla Rivista Navale del 1939. Durante il conflitto, partecipò alla battaglia di Punta Stilo (attacco con siluro), alla battaglia di Capo Teulada (scorta del Lanciere danneggiato). Il 25/1/1941 effettuò un bombardamento costiero in Grecia. Durante le vicende di capo Matapan (28/3/1941) svolse protezione diretta della Vittorio Veneto. Oltre alle operazioni già citate nella pagina, prese parte anche alla battaglia di Mezzo Agosto 1942.
Nota sui Cacciatorpediniere della Classe “Soldati”
Ogni classe di cacciatorpediniere veniva prodotta in varie unità e rappresentava una evoluzione delle caratteristiche, in funzione del mutare delle esigenze. Dopo la classe “Venti” e la classe “Poeti” , venne concepita una nuova classe “Soldati”(es.Camicia Nera), che sarebbe stata prodotta in 12 e 7 unità, tra prima e seconda serie, negli anni 37-39 e durante la guerra. Furono dunque i caccia italiani più moderni e in maggior numero che vennero impiegati nel secondo conflitto mondiale.
Lo scafo era sostanzialmente identico alle due precedenti classi che avevano dato buona prova (robustezza, poppa non piatta nella parte immersa, maggiore stabilità). Secondo la continua tendenza alla crescita, dovuta all'aumentare delle dotazioni e peso, il dislocamento aumentava leggermente. La potenza motrice veniva portata a 50.000 cavalli (5.000 in più dei “Venti” e 3.000 in più dei “Poeti”). Le artiglierie erano costituite da quattro-cinque pezzi da 120/50 mm (di cui quello centrale singolo da 120/15 per il tiro illuminante). L'armamento antiaereo comprendeva dieci mitragliere da 20/65 mm, talvolta con ampliamenti a causa delle crescenti esigenze di difesa dal cielo; vennero anche aggiunte mitragliere da 37/50.
Dei 17 caccia della classe Soldati che entrarono in servizio, solo 7 sopravvissero alla guerra: 3 vennero ceduti alla Francia e 2 all'Urss come riparazioni di guerra, soltanto 2 rimasero alla Marina Militare (Carabiniere e Granatiere).
Per le principali caratteristiche e note operative di ognuno dei caccia "Soldati" consigliamo la consultazione del nostro Database, dove nella scheda di ognuno vi sono anche i link a tutte le altre unità della stessa classe. Esempio: vedi la scheda del
Per leggere altri ricordi del Corazziere che ci sono pervenuti, cliccare sul link qui sotto.
Continua...
Per una scheda complessiva della nave si può consultare "I Cacciatorpediniere Italiani" - Roma 1969 - Ufficio Storico della Marina Militare.
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