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Scrivici |Mine sulla Rotta della Morte
- Tra Sicilia e Tunisia, nell'inverno 1942-1943. -
Schema semplificato delle principali rotte italiane nel Canale di Sicilia, durante la guerra in nordafrica e nell'ultimo periodo, in Tunisia.
Ringraziamo Adolfo Zamboni per averci cortesemente segnalato il suo testo, relativo agli affondamenti della torpediniera Uragano e di altre unità.
Nuove rotte, nuove mine
La prima parte della guerra terrestre in nordafrica si svolse a oriente, tra la Libia italiana e l'Egitto britannico, avanti e indietro lunga la linea costiera del mediterraneo.
Il traffico mercantile italiano si muoveva quindi tra la Sicilia e Tripoli, anche Bengasi e Tobruk, ovviamente cercando di tenersi lontano da Malta. Il traffico britannico si muoveva invece tra Gibilterra e Suez, per Malta.
Per ostacolare il traffico nemico e favorire quello nazionale, vennero posati sbarramenti di mine a occidente, nel punto più stretto del Canale di Sicilia, tra le Isole Egadi e Capo Bon in Tunisia: sbarramenti “X” e “S” (1941-1942).
Verso oriente cresceva la profondità e l'ampiezza del Canale, oltre che la varietà delle rotte: pertanto per controllare il nemico vennero posti sbarramenti in luoghi diversi, abbinati con altri mezzi: era il cosiddetto “Dispositivo del Canale di Sicilia”, concepito prima del conflitto. Vennero poste mine davanti a Tripoli (“T”) e intorno a Malta (“M”), ottenendo risultati. Anche gli inglesi effettuarono pose occasionali di mine, soprattutto in prossimità dei porti italiani, pure loro con risultati.
Dopo El Alamein le forze italo tedesche terrestri furono costrette a ritirarsi verso occidente, prese tra due fuochi con lo sbarco angloamericano in Marocco e Algeria; decisero di invadere la Tunisia, dove poi si sarebbe conclusa la guerra in nordafrica.
Il traffico mercantile italiano dei rifornimenti si spostò anch'esso a occidente verso Tunisi e Biserta, al di là degli sbarramenti precedenti. La rotta della traversata era breve ma obbligata, ovvero esposta a facili attacchi dal cielo e in mare, con le mine. Fu questa la cosiddetta “rotta della morte”, soprannome che riassume gli angosciosi pensieri di chi doveva percorrerla.
Il 29 novembre 1942, mentre gli Italiani si accingevano a posare mine per minacciare i movimenti nemici e proteggere le loro rotte verso la Tunisia, gli Inglesi iniziavano a posare mine sulle stesse rotte per ostacolarli. Mentre le navi italiane di giorno posarono i vari tratti del nuovo sbarramento “S9”, il lato occidentale della rotta di sudovest (Trapani – Biserta), per evitare intrusioni e attacchi dal lato angloamericano, con il buio le navi e sommergibili posamine britannici collocarono 18 sbarramenti sparsi, quasi perpendicolari a quella rotta. Partendo da sud, vicino alla Tunisia, le mine vennero deposte da entrambi gli avversari nel Canale di Sicilia, in quel punto poco profondo, quasi sempre inferiore a duecento metri, l'ideale per l'ancoraggio delle mine.
E' in questo contesto, nei primi mesi del '43, che si svolsero alcuni drammatici incidenti sui campi minati, con notevoli perdite umane e materiali, un pesante bilancio per le unità da guerra italiane dedicate alla scorta del traffico mercantile.
La disposizione delle mine italiane (verde) e inglesi (rosso) tra Sicilia e Tunisia. Si notino le basse profondità nella zona che permettevano un facile ancoraggio delle mine.
Perdite di gennaio 1943
Maestrale e Corsaro
9 gennaio 1943, mare grosso, alle otto di sera d'inverno. I cacciatorpediniere Maestrale in testa e Corsaro, in coda, scortano la motonave Ines Corrado da Napoli a Biserta.
Una forte esplosione stacca 12 metri di poppa al Maestrale, che rimane immobilizzato e senza energia elettrica. Si pensa al siluro di un sommergibile e si segnala al Corsaro.
Il Corsaro si lancia a tutta forza per una azione antisom ma dopo pochi minuti viene investito da una esplosione a centro nave, colpito alle macchine (fughe di vapore), al buio. Inizialmente sembra che possa resistere, ma una seconda esplosione non lascia scampo: rapida inclinazione con l'equipaggio sbalzato in mare, infine affondamento spezzandosi in due.
Dal Maestrale senza la radio si riesce infine a comunicare a voce con la motonave, ordinando di proseguire e chiedere soccorsi. Dal Maestrale non si possono soccorrere i naufraghi del Corsaro e si lavora per mantenersi a galla. Si mettono insieme 400 metri di catena per riuscire ad ancorarsi, investiti dal mare grosso a prora, ed evitare di finire sugli altri campi minati italiani. Ripristinata energia e radio, arrivano la mattina dopo i soccorsi. Il Maestrale viene inizialmente rimorchiato dalla torpediniera Calliope con frequente rottura dei cavi per il mare, infine con un rimorchiatore viene portato a Biserta. Sul Corsaro 187 vittime; 48 superstiti sono recuperati da un idrovolante e da dragamine di Pantelleria.
Perché quelle mine inattese?
La notte prima il posamine Abdiel aveva posato lo sbarramento “4”, due tratti da 80 mine ciascuno. Forse la sorpresa dell'esplosione su una rotta normalmente sgombra non aveva fatto pensare alle mine. Inoltre il danno esaminato in bacino a Biserta sembrava alto sul fianco, poco profondo per essere una mina, tanto da alimentare ancora qualche dubbio (si riteneva che normalmente le mine non fossero a meno di 4 metri sott'acqua). Supermarina alcuni mesi dopo indicò nelle mine la causa, non essendoci presenza confermata di sommergibili in zona. Ma in quel momento non si sapeva ancora quanto grave fosse l'insidia delle mine.
Procellaria
Il 31 gennaio 1943 il Maestrale danneggiato dalle mine, sistemato in modo provvisorio, viene preso a rimorchio dalla torpediniera Animoso. L'obiettivo è portarlo in Italia per adeguate riparazioni in cantiere; viene accompagnato dalle torpediniere Persefone e Procellaria, assieme con motozattere e motosiluranti. Durante la traversata, la Procellaria, sentito qualcosa agli strumenti, si scosta per lancio preventivo di bombe di profondità, poiché il comandante ritiene possa esservi un sommergibile: ha fatto la stessa rotta all'andata due giorni prima e ritiene improbabili le mine.
Ma nella notte intermedia il posamine Welsham ha posato lo sbarramento “6”, con mine a profondità diverse.
All'improvviso, alle 10.30, l'esplosione di una mina distrugge il cavo di rimorchio (forse ha urtato l'ordigno). Rilevando echi tutto intorno, la Procellaria tenta macchine indietro, ma salta su una mina (11.19). Poco dopo ne esplode un'altra e si decide l'abbandono nave. In tutto si perdono 23 uomini. La nave galleggia ancora qualche ora.
Prestinari
Nello stesso giorno 31, da Biserta viene fatta salpare la torpediniera Prestinari nella speranza di un possibile rimorchio della Procellaria (appena affondata, ma in quel momento non si sa ancora). Giunta nella stessa zona salta anch'essa su una mina, alle 17.31. Motovedette inviate in soccorso trovano i naufraghi la mattina dopo. Si perdono 54 uomini.
Numerazione degli sbarramenti.
Italiani: "S" a est, il successivo "S9" a ovest.
Inglesi: numerati da 1 a 18.
Le croci in rosso sono gli affondamenti.
Perdite di febbraio e marzo 1943
Uragano e Saetta
Il 3 febbraio 1943 parte da Biserta la cisterna tedesca Thorsheimer. La precede la torpediniera Monsone, a dritta la torpediniera Uragano e il caccia Saetta, a sinistra le torpediniere Sirio (comando superiore in mare) e Clio. Uragano e Monsone sono dotate di ecogoniometro ma il mare agitato, per forte maestrale, ne impedisce un uso efficace. Una esplosione asporta la poppa della Uragano. Sirio ordina a Saetta e Clio di soccorrerla. Dal Saetta segnalano di essere l'unità con il maggiore pescaggio (più esposta a urtare le mine, rispetto alle altre torpediniere). Dieci minuti dopo anche il Saetta salta su una mina, si spezza in due tronconi verticali e affonda in 50 secondi. Con mare e vento che fanno scarrocciare è impossibile controllare la posizione e si rinuncia a salvare i naufraghi. L'Uragano resiste circa quattro ore prima di affondare. Dell'Uragano si perdono 114 uomini, del Saetta si perdono 170 uomini. I pochi superstiti vengono salvati da idrovolanti, Mas, piccole unità, nei giorni successivi, appena migliorate le condizioni del tempo.
Una descrizione più approfondita con importanti immagini è contenuta nell'articolo “Quando i comandanti morivano in plancia” di Adolfo Zamboni, di cui forniamo l'indirizzo in bibliografia a fondo pagina.
Ciclone, piroscafi Estier e Balzac
Il 7 marzo 1943 (h.6.20) la torpediniera Ciclone viene mandata da Biserta incontro a un convoglio proveniente da Napoli, per scortarlo in sicurezza attraverso i campi minati italiani. Il passaggio deve avvenire tra gli sbarramenti italiani X2 e X3 con direzione l'isola di Zembra: non si sa ancora che proprio in quel punto il posamine britannico Abdiel ha posato due giorni prima lo sbarramento di mine “11”.
Il convoglio da scortare era già stato attaccato da bombardieri con la perdita di un mercantile; tre torpediniere erano rimaste indietro per assistenza. Il convoglio è adesso composto dalle torpediniere Groppo (capo scorta) e Cigno, seguite dai piroscafi Balzac ed Estier (ex francesi, ora tedeschi).
Dopo mezzogiorno (h.12.25) la Ciclone incontra il convoglio e si accoda. Passano pochi minuti e il piroscafo Estier è investito da una esplosione, si incendia e affonda, non si capisce se per siluro o mina. La Groppo ordina alla Ciclone di assistere i naufraghi. Ma subito (h.12.40) inizia un bombardamento da alta quota di quadrimotori Liberator che colpiscono e fanno saltare in aria il piroscafo Balzac. Ciclone e Cigno dovrebbero dedicarsi al salvataggio. Alle 13.10 avviene una esplosione a poppa della Ciclone. Controllati i danni, sembra che la Ciclone possa resistere e ci si prepara al rimorchio. Ma alle 13.50 esplode un'altra mina a poppa, la nave si inclina e sembra in procinto di affondare. Dalla Sirio si ordina alla Cigno di sospendere l'assistenza e dirigere verso Biserta, da cui si richiedono mezzi di salvataggio. Dalla Ciclone si intravede una mina sott'acqua a pochi metri. Viene dato l'ordine di abbandonare la nave. Con la motolancia si raccolgono zattere e altre imbarcazioni. Verso le 18.30 arrivano Mas da Biserta su cui vengono trasferiti feriti e naufraghi; il comandante rimane in zona sperando nel rimorchio. Alle 2 di notte decide di rientrare a Biserta. Il giorno dopo le due torpediniere riprendono il tentativo di rimorchio, raggiungendo il relitto alla deriva. E' presente anche il comandante, per tentare di salire a bordo, ma alle 13.25 la Ciclone affonda.
Malocello e Ascari
Il 23 marzo 1943 quattro cacciatorpediniere sono destinati al trasporto di 700 militari tedeschi a Tunisi: Malocello e Pancaldo da Pozzuoli, Camicia Nera da Gaeta, Ascari da Palermo. Provengono da porti diversi (senza possibilità di accordarsi prima della missione), sovraccarichi, con mare grosso e forte vento da levante-scirocco (che può fare scarrocciare). Nel canale devono passare fra gli sbarramenti italiani X2 e S73. Alle 7.28, 28 miglia a nord di Capo Bon, il Malocello viene colpito da un'esplosione a dritta, fermandosi e sbandando su quel lato. Si pensa a un siluro. L'Ascari ordina agli altri caccia di proseguire per Tunisi e si affianca al Malocello per trasbordare personale. Dopo essersi staccato bruscamente per segnalazione di un siluro, si accosta di nuovo ma un'esplosione gli stacca la prora. Il Malocello, che aveva resistito un'ora, si spezza in due e affonda. Dall'Ascari si tenta di organizzare il salvataggio dei naufraghi, ma dopo cinque ore una seconda esplosione distrugge la poppa. Dopo altri venti minuti, alle 13.20 circa una terza esplosione provoca l'affondamento dell'Ascari. Dato il mare forza 4-5, l'abbondanza di nafta e la difficile posizione, nonostante i soccorsi successivi, perdono la vita 199 uomini del Malocello, 194 dell'Ascari e 550 tedeschi. Probabilmente le navi erano capitate sullo sbarramento “12” posato dal posamine Abdiel il 7-8 marzo.
Su quest'ultimo episodio avevamo già pubblicato alcuni dettagli dell'incidente, nei racconti dei superstiti, su altra pagina della Guerra di Mine.
Riassumendo:
Maestrale (danneggiato) e Corsaro: 9/1/43
Procellaria e Prestinari: 31/1/43
Uragano e Saetta: 3/2/43
Ciclone: 7/3/43
Malocello e Ascari: 24/3/43
Dettaglio delle unità italiane affondate e relativo sbarramento nemico. Il Maestrale rimase danneggiato assieme all'affondamento del Corsaro.
Commenti e osservazioni
In breve tempo si persero sulla rotta della morte 4 torpediniere, 4 cacciatorpediniere più 1 danneggiato: una strage di navi da guerra, talvolta con gravissime perdite di marinai e militari trasportati. Oltre alle perdite pesa anche il fatto che questi sacrifici vennero compiuti senza poter impedire la sconfitta dell'Asse in Tunisia, che sarebbe avvenuta pochi mesi dopo.
E' necessario sottolineare la differenza tra italiani e britannici nella posa di mine in queste zone e in questo periodo. Durante tutta la guerra gli italiani furono impegnati a muovere un notevole traffico mercantile per la colonia e per l'esercito in guerra, senza alternative. I britannici dovevano alimentare solo Malta, potendo rifornire le forze terrestri via Suez e dirottando intorno all'Africa ogni altro traffico mercantile. Poi, con l'avanzata dall'Egitto e le preponderanti forze alleate nel mediterraneo occidentale, erano passati decisamente all'offensiva. Tra la Sicilia e la Tunisia erano dunque gli italiani a trovarsi più esposti e sulla difensiva, motivati ad usare estensivamente le mine.
Per gli italiani, minare le zone dove far transitare i propri mercantili imponeva estrema precisione di posa, per evitare di incapparvi subito dopo. Piazzare in modo preciso un gran numero di ordigni (in media duecento per ogni tratto della S9) richiedeva accuratezza, coinvolgimento di più navi ed esecuzione diurna, per evitare incidenti (come quello che provocò la perdita della torpediniera Schiaffino). Tale posa portava facilmente alla perdita di segretezza: consentiva al nemico un più facile avvistamento, oppure spionaggio, decifrazione (per messaggi e ordini, nella fase organizzativa).
Al contrario gli inglesi in questo tratto di mare potevano permettersi di posare sbarramenti di cento mine da una sola unità, in una notte, senza curarsi molto dell'esatto posizionamento: potevano evitare di passare da lì e il loro principale strumento di attacco era l'aereo. Una posa così rapida offriva evidenti vantaggi di segretezza e capacità di sorprendere l'avversario. Quando ormai era prossima la vittoria in Tunisia, posavano mine che si sarebbero disattivate in tempi brevi, pensando addirittura a quando queste acque sarebbero divenute di loro dominio.
Comunque è lecito attendersi che uno sbarramento venga scoperto dopo breve tempo. A quanto pare i posamine britannici, per collocare le loro mine, si infilavano nei corridoi dello sbarramento italiano S9, man mano che veniva costruito, rivelando la conoscenza della posizione. Pare che per posare lo sbarramento "3", il Welsham abbia aggirato da nord lo "S97" italiano per infilarsi nel corridoio (guardando la mappa non sembra certo un caso). Come riuscivano a saperlo?
Non era un tratto di mare molto vasto e i movimenti delle navi italiane erano visibili anche da grande distanza. Inoltre è possibile che i britannici avessero buoni strumenti di rilevazione subacquea. Da parte italiana ci si stupiva di non subire attacchi aerei durante la posa, abbastanza strano data la supremazia aerea alleata. Non bisogna dimenticare che anche gli sbarramenti “amici” erano controproducenti per la restrizione delle possibili rotte, facilitando l'intercettazione del traffico nei passaggi: il nemico poteva decidere di astenersi dal contrastarne la posa.
Spesso lo scoppio di una mina veniva scambiato per un siluro, inducendo talvolta manovre errate. Reazione che può avere una spiegazione psicologica. Un militare in guerra deve coesistere con il rischio di perdere la vita, ma almeno vorrebbe correrlo combattendo, ovvero sfruttando le proprie capacità per avere qualche probabilità di sopravvivere. Non c'è di peggio che trovarsi impotenti, in balia del caso. Pertanto, di fronte a una esplosione che forse condanna la nave, si preferisce pensare al siluro di un sommergibile, che almeno giustifica una reazione, illudendosi di fronteggiare un avversario a cui far pagare l'aggressione.
Le mine sono invece frustranti, la più sleale delle forme di guerra. La loro possibile presenza è una minaccia che grava sul lavoro quotidiano, che condanna senza scampo, che punisce anche chi si ferma a soccorrere la nave e i naufraghi. Possiamo solo immaginare il dramma dei comandanti delle altre navi, combattuti tra la logica scelta di allontanarsi dalla nave colpita e il desiderio di prestare soccorso.
Senza dubbio è una guerra efficace e anche le forze italo-tedesche se ne servirono con successo. Gli alleati persero infatti molte navi, anche la temibile Forza K, in questo modo. Inoltre la maggior parte dei sommergibili britannici scomparsi senza traccia in mediterraneo incapparono probabilmente nelle mine. Ciò giustifica il duro e pericoloso lavoro di posa.
Alcuni dati:
Gli Italiani posarono fra Sicilia e Tunisia (in due anni, da gennaio 1941 a gennaio 1943) circa 9300 mine, di cui 2126 nello S9 (dieci sbarramenti, negli ultimi tre mesi, con una media di circa 210 mine a sbarramento).
Gli Inglesi posarono nella stessa zona (in cinque mesi, fino ad aprile 1943) 1996 mine (diciotto sbarramenti, con una media di circa 110 mine a sbarramento).
Bisogna riconoscere alla Royal Navy una notevole efficienza, ovvero elevato numero di affondamenti con ridotto dispendio di uomini e mezzi.
Concludiamo facendo notare che tutta la vicenda delle mine sulla rotta della morte è solo un breve periodo della lotta nel canale di Sicilia, solo una parte della Guerra delle mine, che si svolse nel mediterraneo. Una guerra poco conosciuta e talvolta trascurata nella memoria del conflitto.
Mappa dei campi minati e riferimenti sugli affondamenti provengono in massima parte da "La Guerra di Mine", Ufficio Storico della Marina Militare - Roma 1988.
Si veda anche l'articolo ricco di dettagli e interessanti immagini: “Quando i comandanti morivano in plancia” di Adolfo Zamboni.
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