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Scrivici |Storia di un marinaio - I
- Un marinaio: mio padre, Arturo Melotto -
Mio padre guarda il mare dalla coperta di un sommergibile. E' tranquillo, in porto, con gli stivaloni e il maglione da marina. Giro la foto e sul retro sta scritto con la stilografica: "Questa è la mia casa." Ricordo perfettamente il laborioso commerciante che garantiva il benessere a tutti noi, e lo trovo molto lontano da questo giovanotto con l'aria orgogliosa. Cosa pensava allora?
Un'altra foto di ragazzi in divisa che sorridono sul sommergibile, e dietro : "Come fratelli" con l'abbozzo di una firma, che conosco e che dopo si sarebbe fatta più sicura. Si imbarcò a soli diciassette anni su quanto di più eroico e pericoloso ci potesse essere a quei tempi. Perché? Sono passato a vedere il paese del Veneto da cui si sono sparsi per l'Italia tanti miei omonimi. Poche case, campi, le montagne intorno. Posso solo immaginare la noia, la voglia di esprimersi, di avere un futuro, di fabbricarselo. Così mio padre, classe 1908, entrò nei sommergibili. Era il 1925 e il comandante (vedendo la giovane età) gli chiese: "Ma quand'è che hai finito di succhiare il latte?".
Bastarono pochi anni e già era un sommergibilista esperto. Ricordo gli avventurosi racconti di vita subacquea. Il topo che rimase schiacciato dentro una valvola, bloccandola e rischiando di trasformare l'immersione in tragedia. Già, perché i topi erano dappertutto sui battelli, anche i più piccoli. Nelle foto dei sommergibili vedo la carriera e l’evoluzione tecnica. L’Argonauta, così piccolo che quasi non c’era spazio per camminare sopra. L’F12, più grande, compatto ma completo. L’Enrico Toti, enorme scafo oceanico.
Ecco un’istantanea di mio padre sul ponte del Toti, in Oceano Atlantico, vicino a Dakar, 1931 circa, sorridente e con la pipa, protetto dal sudovest, il tradizionale impermeabile della gente di mare. “Tenuta per difendersi dagli elementi”, spiega la didascalia. L’abbigliamento mette in moto la memoria, ricordandomi altre storie. Una volta cadde in mare d'inverno. Mare grosso, al largo di Pola (allora città italiana). Le ondate formavano incrostazioni di ghiaccio sul ponte del sommergibile. Vestito col sudovest e stivaloni a coscia, stava facendo l'alzabandiera, appoggiandosi alla battagliola, la ringhiera. Non c'era, o era stata smontata, e volò in mare. Scattò subito l'allarme, ma la virata del sommergibile richiedeva tempo col mare grosso. Le ondate lo spingevano sotto, e non poteva nuotare perché gli stivaloni lo risucchiavano. Beveva, ma per fortuna era un buon nuotatore (faceva "il miglio" per allenamento). Il sommergibile aveva compiuto la virata e tornava, mentre cercava di spogliarsi, intirizzito dal gelo. Svenne infilando il braccio nei timoni per aggrapparsi. Un attimo dopo era nudo sul ponte e lo massaggiavano col ghiaccio. Poi sottocoperta, con un caffè caldo. Nemmeno un raffreddore. Normalità. "Come fratelli." diceva la foto. La solidarietà era forte, intensa, commovente, fatta di grande fiducia nel comandante, nei compagni. Ne conobbi uno anch'io, della Calabria, generoso e onesto, ancora animato da rispetto verso il "capo", che rintracciò mio padre e venne a trovarlo, gente che sembrava provenire da altri pianeti. In pratica la "rapida", cioè lo spegnimento dei motori termici, l'avvio dei motori elettrici, l'azionamento dei mille congegni e l'inabissarsi, era un lavoro di squadra dove la vita di tutti era affidata ai secondi, all'impegno di ognuno, al fare parte di un tutto unico. Vita pericolosa, ma stimolante.
Continua...
Estratti dal mio libro inedito Spirito del Novecento.
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