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Scrivici |Santocchini e il Caccia Zeno
- RCT Nicolò Zeno -
Tesserino personale di Annibale, sergente meccanico.
Ringraziamo Silvio Santocchini per le immagini e i racconti del padre che ci ha gentilmente trasmesso.
Annibale Santocchini
Annibale Santocchini,sottufficiale, qualifica meccanico (fuochista) spese circa trenta mesi a bordo del Regio Cacciatorpediniere Nicolò Zeno.
Ci scrive il figlio Silvio, riportando alcuni racconti sentiti dal padre sulle esperienze belliche. Frammenti di memoria che confermano con immediatezza la storia delle unità sottili nel secondo conflitto mondiale.
Appese in famiglia diverse onorificenze, medaglie e riconoscimenti della Marina Militare, attestano i meriti conseguiti da Annibale durante i difficili anni di guerra.
Lo Zeno, caccia della classe “Navigatori” svolse un intenso servizio, nella molteplicità di ruoli assai diversi, dalla squadra alle missioni di scorta, alle posa delle mine, allo scontro con i velivoli nemici.
Di fatto queste navi versatili finirono per svolgere ogni possibile compito, logorandosi nell'uso e nella coesistenza con infiniti pericoli, fino alla fine, sempre imprevedibile eppure probabile.
Il Regio Cacciatorpediniere Nicolò Zeno in Mediterraneo. Le "unità sottili" erano soggette a notevoli oscillazioni con mare grosso.
Racconti del padre Annibale
Ora che il padre è scomparso, ascoltiamo i ricordi del figlio.
“Nei primi anni del conflitto, durante una missione di scorta, il convoglio fu attaccato da aerei da caccia inglesi. Per rendere invisibile la nave da carico che scortavano, le navi crearono intorno ad essa una cortina di fumo. Un pilota inglese, con una manovra in picchiata, si lanciò attraverso la nebbia artificiale per rendersi conto cosa nascondesse.
Nella parte alta della nave da carico,era installata una mitragliatrice la cui canna in fase di riposo era posizionata verso il basso. Il personale di coperta del mercantile, preso dal panico, aprì il fuoco all’impazzata partendo dal basso verso l’alto.
Mio padre insieme ad altri due compagni in quel momento si trovavano sopra il ponte del caccia Zeno per il servizio di guardia e vennero investiti dai colpi. Per i due non ci fu salvezza.
Uno fu colpito al basso ventre e morì sul colpo, l’altro fu colpito in piena fronte ma non morì subito e fu sistemato da mio padre su una branda ormai agonizzante.
Come se non bastasse, forse a causa del panico a bordo, la nave da carico perse il controllo della rotta e urtò violentemente il caccia Zeno che riportò danni sulla murata.
Nell’urto quel povero ragazzo ancora vivo,scivolò dalla branda in mare rimanendo sospeso per diversi minuti con la cintura dei pantaloni, agganciato alle lamiere, per poi cadere definitamente in mare. Aveva vent’anni. Alla madre scrissero che suo figlio era disperso in mare.”
Incidenti drammatici di “fuoco amico”, anche a bordo non mancavano purtroppo, talvolta anche causati dallo scarso addestramento e professionalità del personale occasionale.
Tra le foto che abbiamo ricevuto ve ne è una che ritrae le sovrastrutture dello Zeno notevolmente danneggiate, forse per una collisione (non si vedono infatti tracce di bruciature o di incendio), mentre lo scafo sembra abbastanza integro. La nave subì un'altra grave collisione con il caccia Da Noli, negli ultimi mesi di guerra. Ne parliamo in seguito ed è probabile che l'immagine si riferisca a questo episodio, registrato nella storia della nave (mentre dell'altro non abbiamo trovato citazione).
Altre immagini dello Zeno in navigazione, Annibale che scrive alla famiglia, decorazioni ricevute, foto di Ortisei
Altri racconti
"La foto di montagna ritrae mio padre (il primo a destra in piedi) con i suoi compagni di caldaia e una ragazza
che era la proprietaria dell’albergo (il Cavallino Rosso) di Ortisei.
Come sicuramente saprà,i fuochisti(quelli della mano nera)così venivano soprannominati,venivano mandati periodicamente a respirare aria di
montagna,era il 10 maggio 1943."
“Erano pronti a muovere dal porto di Taranto alla volta o di Bengasi o di Tobruk , per l’ennesima scorta convogli, quando inavvertitamente un marinaio, passando vicino ad uno dei tubi lanciasiluri, azionò l’espulsione. Il siluro,invece di uscire entrò all’interno della nave.
Mio padre era in caldaia e si accorse che delle gocce di nafta,spinte da una dalle ventole poste nel soffitto della sala macchine,gli sporcavano il volto. L’ordigno,per fortuna difettoso,aveva sfondato la paratia del ponte e si era conficcato proprio nel deposito carburante.
Il porto di Taranto fu immediatamente evacuato e tutti i componenti dell’equipaggio sbarcarono. Sulla nave rimase il comandante,l’ufficiale addetto alle armi di coperta, che fu punito severamente, e mio padre che con una pompa dell’acqua
cercava di tenere fredda la testa del siluro, mentre l’artificiere lo disinnescava.”
I cacciatorpediniere hanno sempre avuto una dotazione di lanciasiluri orientabili, come armi più efficaci delle limitate artiglierie. Normalmente, in posizione di riposo sono orientati “per chiglia” e ruotati lateralmente solo al momento del lancio.
“Dopo una delle due collisioni, lo Zeno si trovò in un tratto di mare minato dove rimase per diversi giorni. Procedevano con estrema prudenza e a bassissima velocità per evitare le mine , tenendo assoluto silenzio radio per non essere intercettati dal nemico. Erano un facile bersaglio, non potendo muoversi liberamente. Furono inizialmente dati per dispersi, anche perché altre navi avevano ritrovato in mare molto materiale dello Zeno: era finito fuori bordo durante la collisione. “
"A Pitigliano(GR), mio paese di residenza, nel 1982 grazie all’impegno di mio padre e alla partecipazione di quasi tutti i cittadini, é stato fatto erigere
il monumento ai caduti del mare. Parteciparono a questo evento moltissimi ex ufficiali di Marina e ufficiali in servizio.
Il Ministero della Marina mandò anche il medagliere e parteciparono all’evento le varie associazioni di marinai in congedo."
Danni per collisione a bordo dello Zeno
Collisione tra Antonio Da Noli e Nicolò Zeno.
Nelle ultime fasi della guerra in Tunisia, era necessario un intenso traffico di rifornimenti italiani dalla punta della Sicilia sulla “rotta della morte”, molto esposta agli attacchi del nemico. Gli sbarramenti di mine (ai due lati delle rotte italiane) costituivano ancora una buona difesa per frenare navi e sommergibili avversari, come quelli provenienti da Malta. Ma essendo ormai ben noti sia la disposizione delle mine che i passaggi obbligati, gli attacchi erano certi e diveniva indispensabile la posa di nuovi sbarramenti che permettessero percorsi alternativi (almeno fino a quando non venivano scoperti).
Con questo intento venne progettato il nuovo sbarramento S10 nella zona orientale del Canale. Fu l'ultima posa di mine nella zona e ne venne completata soltanto la spezzata S 101 (di 5 previste). Ma il lavoro non fu proseguito, per un brutto incidente, oltre che per il precipitare degli eventi e difficoltà di vario genere.
Il 27 febbraio 1943 vennero impiegati per la posa mine i Cacciatorpediniere Alpino, Malocello, Pigafetta, Zeno, Da Noli, affiancati. Dopo la posa, durante il ritorno veloce (22 nodi) verso Pantelleria, ci fu un ennesimo avvistamento di un possibile sommergibile, a cui i caccia reagirono con una brusca accostata e poi la ripresa della rotta.
Fu in questo momento che il Da Noli ebbe una avaria al timone entrando in collisione con lo Zeno. La prora del Da Noli rimase squarciata, nella parte più bassa del dritto di prora, mentre lo Zeno ebbe notevoli danni alle sovrastrutture oltre che squarci sulla fiancata.
Ma per fortuna la galleggiabilità non era compromessa. Furono recuperati alcuni uomini finiti in mare e tre feriti gravi furono imbarcati su un MAS che diresse verso Pantelleria, mentre i caccia danneggiati procedevano a 12 nodi, protetti dagli altri.
Fu un grave danno per la guerra delle mine da parte italiana, perché rimasero fuori uso due preziose unità, dotate di ferroguide fisse per la posa delle mine tedesche, di cui c'era abbondanza di fornitura dall'alleato. Ormai non c'era più tempo e si dette priorità al trasporto materiali e uomini (però ricordiamo che un mese dopo affondavano sulle mine nemiche Malocello e Ascari con una strage di truppe a bordo).
In ogni caso, appena le condizioni del mare impedivano l'accurata posa delle mine, le unità venivano subito impiegate per il trasporto veloce di munizioni e rinforzi, nonostante non fossero molto adatte come capacità di carico.
Lo Zeno in riparazione a La Spezia sarebbe stato colto lì dall'armistizio e autoaffondato per evitare la cattura tedesca, a fianco della Calata nord dell'Arsenale.
Entrambe le unità avevano avuto una intensa vita bellica. In particolare il Da Noli aveva già subito una collisione, investito dal piroscafo Honestas durante una scorta, il 11 aprile 1942., con danni che avevano comportato quattro mesi ai lavori, sempre nell'Arsenale di La Spezia.
In definitiva, Da Noli e Zeno, accomunati dalla collisione, terminarono assieme la loro vita operativa quello stesso drammatico giorno del 9 settembre 1943.
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