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Scrivici |La distruzione dei piccoli dragamine
- L'affondamento notturno di 11 piccole unità -
Gennaio 1943. La direzione del convoglio per sottrarsi alla conquista di Tripoli e l'intercettazione da parte della Forza K di Malta (particolare di una carta Vallardi dell'epoca).
Antefatto
La situazione militare in Africa settentrionale stava precipitando e gli inglesi, avanzando verso occidente, stavano per conquistare Tripoli nel gennaio 1943. Tutte le piccole unità impiegate nel dragaggio delle mine sulla costa e davanti ai porti dovevano essere salvate portandole a ovest in Tunisia o in Italia. Nel pomeriggio del 19 gennaio partirono da Tripoli undici navi e imbarcazioni, scaglionate in quattro gruppi:
Alle 14.00 partirono i dragamine ausiliari Guglielmo Marconi (304 t.), Cinzia (71 t.), Angelo Musco (69 t.), la barca-pompa Santa Barbara (72 t.).
Alle 16.00 le cisterne Astrea (136 t.) e Irma (305 t.).
Alle 18.00 il dragamine RD 37 e il peschereccio Scorfano (308 t.).
Alle 18.30 i dragamine RD 39, RD 31, RD 36.
I dragamine RD erano vecchi rimorchiatori della prima guerra mondiale di circa 200 tonnellate di dislocamento a pieno carico, armati con un cannone da 76 mm e due mitragliatrici leggere.
Dragamine "RD" ("Rimorchiatore Dragamine", poi "Regio Dragamine").
20 gennaio 1943, ore 00.00
Il Tenente di Vascello Giuseppe Di Bartolo, comandante della 40° Flottiglia Dragamine, si imbarcò sul RD 36, appartenente alla Finanza di Mare (comandato dal Maresciallo della Finanza Aldo Oltramonti), portandosi in testa al convoglio e dirigendosi verso nord ovest, verso la Tunisia e verso l’Italia (la rotta da Tripoli verso l’Italia passava comunque presso la Tunisia, dovendo fare un lungo giro per tenersi distanti da Malta). La velocità del convoglio era molto bassa. Alla mezzanotte, in prossimità di Zuara, il convoglio fu intercettato da almeno due caccia britannici della “Forza K” di stanza a Malta: il Kelvin e il Javelin. Il Comandante Di Bartolo ordinò alle altre unità di cercare di salvarsi andando vicino alla costa e diresse contro i caccia avversari, impiegando l’unico cannone e portandosi fino a tiro di mitragliera, nel tentativo di coprire il resto del convoglio. Ma il suo dragamine fu subito cannoneggiato e affondato, senza superstiti. In meno di due ore i caccia rintracciarono e affondarono tutte le undici unità. Anche del RD 37 e dello Scorfano non vi furono superstiti. Vennero perduti 180 uomini. Al RD 36 e al suo equipaggio fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Qualcuno potrebbe domandarsi se la Regia Marina nel '43 fosse costretta a condurre la guerra sul mare con piccole imbarcazioni, ma questo era dovuto alle particolari esigenze del dragaggio, come spieghiamo più avanti.
Al momento dell’attacco la barca-pompa Santa Barbara era a rimorchio dello Scorfano (non sappiamo se a causa di avaria o insufficiente velocità). La cisterna Irma fu colpita anche con un siluro. Il Marconi fu incendiato dal tiro britannico prima di affondare.
Gli affondamenti avvennero con sequenza imprecisata: a NW per 320° tra 15 e 8 miglia da Zuara (RD 36, RD 37, RD 39, RD 31, Astrea, Irma, Scorfano, Santa Barbara) e a Est per 106° a circa 12 miglia da Zuara (Marconi, Musco, Cinzia).
Kelvin e Javelin erano cacciatorpediniere da 1690 tonnellate, armati con 6 cannoni da 120 mm, in grado di raggiungere i 36 nodi. Tra le varie fonti c’è qualche discordanza sui caccia (due o tre) partecipanti all’azione, tra cui si citano anche il Jervis e il "Kelly" (forse confuso con la classe, perché il Kelly fu affondato nel 1941). Le unità della "Forza K" non operavano tutte assieme e in quel periodo ne facevano parte gli incrociatori Cleopatra, Dido, Euryalus, i caccia Javelin, Jervis, Kelvin, Nubian.
Esempio di piccolo dragamine in legno costituito da una imbarcazione civile requisita.
Commenti
In un paio d’ore vennero distrutte tutte le unità dedicate al dragaggio delle mine presenti in Tripolitania. Piccole navi o pescherecci tra le 70 e le 300 tonnellate, non potevano difendersi e nemmeno fuggire, senza scampo di fronte a veloci e armatissimi caccia che fecero strage senza alcuna difficoltà, nonostante il buio, probabilmente aiutati dal radar. Si può facilmente immaginare l’effetto di una salva di artiglieria a distanza ravvicinata su un rimorchiatore o peschereccio e sulle persone a bordo. L’essersi portati più vicini alla costa servì forse a pochi naufraghi per salvarsi dalle gelide acque di gennaio. Si trattò comunque di una grave perdita di equipaggi esperti di cui c’era (e ci sarebbe stato) grande bisogno. Si trattava di personale militare ma anche mercantile, inquadrato militarmente, a cui non mancava certo il coraggio e lo spirito di sacrificio. La tragedia arrivava alla fine di un lungo lavoro rischioso e difficile, tra incidenti, esplosioni, attacchi aerei, affondamenti, nel recuperare e disattivare mine, in una lunga lotta per rispondere ad ogni novità introdotta dal nemico. Per dare la misura di quanto fosse contrastata l'attività di dragaggio, basta ricordare che un precedente comandante del RD 36 era rimasto ucciso alla mitragliera mentre sostituiva un mitragliere durante un attacco aereo (Francesco Mazzei, Medaglia d'Argento al Valor Militare). A svolgere l’ingrato compito del dragaggio fu necessario dedicare navi mercantili e da pesca con caratteristiche particolari, di poco pescaggio, in legno (a causa della diffusione delle mine magnetiche), basse sul mare, lente e maneggevoli. Ma risultarono troppo poche rispetto alle necessità e vennero logorate dall’uso e anche dallo sconquasso delle esplosioni ravvicinate di alcune mine. Erano spesso in riparazione o in avaria, talvolta da rimorchiare o senza pezzi di ricambio (macchine di origine straniera). La loro presenza era richiesta in zone difficili, ormai sotto il controllo aeronavale del nemico, esposte senza seria difesa a offese esterne, come se non fosse già difficile neutralizzare ogni volta tre quintali di esplosivo fra le onde, magari avvicinandosi con una barchetta a remi abilmente manovrata. Al completo annientamento di tutte le unità dragamine del "convoglio RD 36", seguì nei mesi successivi l’affondamento di un’altra decina di piccoli dragamine in Tunisia, prima che venisse abbandonata l’Africa. Era il drammatico epilogo del dragaggio, che insieme alla posa di mine, costituiva una delle componenti della “Guerra di mine”, a cui sono già state dedicate delle pagine sulle navi che ne restarono vittime. Presto verrà dedicato un approfondimento su questo argomento, un’altra pagina di Storia “minore” , che merita di essere ricordata.
Dragare le mine, un lavoro diverso dal posarle.
La guerra impiegando le mine richiedeva due attività molto diverse fra loro: la posa di mine e il dragaggio di mine. La posa di un intero campo minato era un lavoro in serie, voluminoso e sistematico, da fare anche velocemente per mantenere la segretezza ai danni del nemico: un lavoro pianificato e organizzato col cronometro e con decine di mine a bordo da posare senza perdere un attimo, documentando tutto ovviamente, un compito adatto alle navi da guerra. Al contrario il dragaggio delle mine, sia scoprirle che disattivarle e recuperarle, era un lavoro di pazienza e dedizione, nel setacciare periodicamente le stesse zone, ispezionare nuove zone segnalate, o nel soffermarsi e adottare la massima accuratezza con ordigni sconosciuti. Anche quando si trattava di rimuovere un campo di mine “amiche”, ci volevano mesi per recuperare quanto era stato posato in alcuni giorni. Era un lavoro per pochi esperti su tante piccole unità, anche per il gran numero di luoghi dove si disperdeva l’attività.
I dragamine RD erano stati concepiti durante la prima guerra mondiale, costruiti in metallo e di limitato pescaggio, in grado di rimorchiare unità danneggiate al di fuori dei campi minati, adatti al dragaggio tradizionale meccanico, dove si trascinavano cavi capaci di recidere gli ormeggi delle mine, che sarebbero venute a galla, dove sarebbero state disattivate o fatte saltare (sparando con le armi di bordo), prevedendo quindi di fronteggiare mine di tipo meccanico, che esplodevano urtandole. Ma con il secondo conflitto mondiale si scoprì la diffusione di mine magnetiche, che esplodevano in vicinanza di masse metalliche. Con queste mine (in continua evoluzione) fu necessario ricorrere ad altri sistemi, come l’impiego in funzione dragamine di piccole imbarcazioni in legno di provenienza mercantile (pescherecci e motovelieri) senza effetti magnetici sulle mine o l’installazione su navi appena più grandi di impianti elettromagnetici di notevole potenza e ingombro che facessero esplodere le mine a sufficiente distanza. Ecco dunque spiegata la strana composizione del "convoglio RD 36" dove i dragamine RD, metallici, potevano avere una funzione di "conduttrici" (rotta e bussola più affidabili) e di scorta con un armamento minimo, anche contraereo; Cinzia, Musco e altri (forse in legno) erano adatti al dragaggio meccanico vero e proprio, mentre il Marconi (abbastanza grande) era un “dragamine magnetico”, cioè aveva un ponte capace di ospitare l’apparecchiatura per fare esplodere le mine magnetiche, senza rimanerne vittima.
In altre parole, sotto l'apparenza improvvisata e limitata delle imbarcazioni, operavano eccellenti ufficiali e marinai, abili, coraggiosi e determinati.
Nel nostro Database si possono consultare le schede delle unità coinvolte.
Per le unità militari minori:
Per le unità mercantili, inquadrate nel naviglio ausiliario:
L'episodio è ricordato nel libro "Il Dragaggio" dell'Ufficio Storico della Marina Militare. Immagini dei dragamine ausiliari e RD si possono trovare sia in tale testo che sul libro "Aldo Fraccaroli - fotografo navale" di E.Bagnasco, Albertelli Editore.
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