Post
  | Home |
Database |
Cerca nel sito |
Novità |
Mappa del sito |
Bibliografia |
Scrivici |Il Trento affonda
- Il siluramento dell'incrociatore durante la battaglia di Mezzo Giugno 1942 -
Particolare ed elaborazione grafica di una fotografia aerea del Trento immobilizzato - 15 giugno 1942 - da Enciclopedia della Marina, vol. 7 – Fabbri Editori (1978). Probabilmente è l'ultima immagine ufficiale della nave.
Nel corso della battaglia di Mezzo Giugno il Regio Incrociatore Trento viene colpito e immobilizzato da un siluro d'aereo e successivamente affondato dal siluro di un sommergibile.
L'immagine mostra il momento critico tra il siluramento aereo e l’attacco del sommergibile. Il Trento è facilmente riconoscibile per dimensioni, sagoma e soprattutto per l’assenza di scia: totalmente fermo. Il suo fumo appare molto inferiore alle enormi cortine nebbiogene dei caccia. Viene da chiedersi se non sia stata questa la causa di avvistamento. In quel momento si pensava più a nascondere la nave da ulteriori attacchi aerei che a limitarne la visibilità a grande distanza (la posizione esatta era ormai conosciuta dal nemico).
Il Trento viene colpito
Durante la notte la squadra italiana aveva accostato a sud-sud-est, più vicino a Malta per far perdere le sue tracce alla ricognizione britannica, che la aspettava sulla ovvia direzione sud-est (la via più breve per incontrare il convoglio Vigorous). Poco prima del sorgere del sole gli incrociatori italiani avevano avvistato ad est un ricognitore di Malta che segnalava via radio la posizione agli aerosiluranti. Non c’era la prevista copertura dei caccia tedeschi e la difesa era tutta affidata alla contraerea. Nove Bristol Beaufort , provenienti da Malta, dal buio dell’orizzonte, si lanciarono all’attacco divisi in gruppi di tre. Si trattava di aerosiluranti veloci e robusti nell’incassare i colpi della contraerea. I siluri furono schivati dagli incrociatori Garibaldi e Gorizia con rapide accostate. Il Trento navigava in coda alla formazione e non era protetto dai cacciatorpediniere di scorta che disturbavano gli attaccanti, costringendoli al lancio a distanza (sui mille metri circa, più facile da evitare).
ORE 5.15
Un aerosilurante si portò a soli duecento metri di distanza dall’incrociatore Trento e lanciò il siluro.
Nonostante l’inizio di virata, il siluro raggiunse il Trento sulla dritta al centro nei locali caldaie di prora, dove penetrò ed esplose, provocando un’ampia falla. L’ingresso dell’acqua e la pressione sfondò la paratia stagna allagando anche le caldaie centrali. La nafta prese fuoco e provocò un vasto incendio. Le turbine di prora rimasero senza vapore e l’infiltrazione d’acqua di mare nell’alimentazione delle caldaie di poppa ne causò lo spegnimento. Così l’incrociatore si trovò con tutte le macchine fuori uso, completamente fermo e indifeso. Come prima cosa, era prioritario controllare e spegnere l’incendio. I cacciatorpediniere di scorta produssero cortine nebbiogene per nascondere l’incrociatore ad altri attacchi aerei. Il fumo scuro dell’incendio usciva dal fumaiolo e venne avvistato dai sommergibili britannici P.31, P.34, P.35 che erano stati inviati nella zona, come sbarramento mobile per intercettare le navi italiane, sapendo che avrebbero dovuto fare rotta verso sud-est, per attaccare il convoglio. I sommergibili si diressero verso il fumo, e uno di essi (P.35), comandato dal Tenente di Vascello Maydon, sarebbe arrivato sul posto prima degli altri. Una volta avuta ragione dell’incendio (intorno alle 9 del mattino) bisognava riattivare almeno le caldaie di poppa, ovvero pompare acqua di mare e riscaldarla portandola in pressione, un’operazione che richiede ore. D’altra parte l’imponenza della nave consigliava che si provasse a risolvere il problema in questo modo, in quanto il traino da parte di un piccolo caccia comportava velocità e manovrabilità troppo basse, con certezza di disastrosi attacchi nel ritorno di giorno. Era salpato nel frattempo un rimorchiatore d'alto mare. Visti i tempi lunghi ci si apprestava comunque al rimorchio da parte del caccia Pigafetta, i cavi erano già stesi e si poteva iniziare il traino “avanti adagio”.
La zona della nave colpita dai due siluramenti:
il locale caldaie di prora e il deposito munizioni
(da "Gli Incrociatori Italiani" - Ufficio Storico della Marina Militare - 1976)
Il Trento viene affondato
ORE 9.10
Il traino era pronto. Purtroppo il sommergibile P.35 era giunto a tiro e lanciava due siluri, colpendo la nave immobile a prora, sotto la seconda torre dei cannoni, in vicinanza del relativo deposito munizioni del calibro principale. L’esplosione del siluro provocò un’alta colonna d’acqua e successivamente avvenne una più grande esplosione (quella delle munizioni) che squarciava il ponte, falciava tutti con le schegge, e abbatteva all’indietro il torrione principale (con la plancia comando e la direzione tiro). La nave fu avvolta da una grande nube scura e imbarcò altra acqua dalle nuove falle, inclinandosi rapidamente a sinistra. Il caccia Pigafetta fu costretto a mollare rapidamente i cavi di traino. Il Trento affondò in poco tempo di prua, sollevando la poppa e producendo un sinistro rumore, come soffio di animale ferito, secondo i racconti. Il siluramento attivò immediatamente una caccia antisommergibile da parte delle unità circostanti, con il lancio di bombe di profondità. Come ci è stato riferito da altre testimonianze, purtroppo le cariche produssero molte vittime tra i naufraghi, per la facile trasmissione a distanza delle esplosioni nell’acqua incomprimibile. Infatti, a causa del rapido epilogo, i marinai dovevano essere caduti in mare tutti senza imbarcazione, al massimo con il giubbotto salvagente, e quindi stavano immersi nell’acqua. Inoltre, data la pericolosità della situazione, forse non saranno stati soccorsi subito. La dinamica della tragedia spiega l’alto numero di vittime. In altra pagina discutiamo le cifre relative alle perdite dell’equipaggio.
Coordinate dell'affondamento:
Erano le ore 09.15 del 15 giugno 1942, in Lat. 36° 10' Nord e Long. 18° 40' Est (al centro dello Ionio). Il punto dell'affondamento coincide con una vasta depressione del fondale che arriva a più di 4000 metri, una delle zone più profonde del Mediterraneo.
Aerosilurante Bristol Beaufighter in un tentativo di siluramento di una nave italiana – 7 anni di guerra.
Il siluramento aereo del Trento
L’azione di siluramento che immobilizzò il Trento deve essere stata simile a quella delle immagini. Nella prima l’avvicinamento al bersaglio avviene a bassa quota, poche decine di metri, con acrobazie e scarti per evitare di essere colpito dalla contraerea della nave. Nella seconda il velivolo assume posizione orizzontale e stabile, sganciando il siluro, apparentemente incurante della vicinanza alle armi che sparano tutte assieme. Possiamo solo immaginare la traiettoria di disimpegno, ancora più pericolosa. Una rapida cabrata per non schiantarsi contro le alte sovrastrutture dell’incrociatore. In tale fase si mostra la massima superficie alla contraerea che spara a brevissima distanza ed insegue il velivolo in fuga. L’attacco a bassa quota viene scelto per offrire il minimo bersaglio e nella fase finale disorienta i sistemi d’arma che, al momento del sorvolo, dovrebbero cambiare impostazione di tiro. I siluri d’aereo possono essere sganciati da quote ben superiori e sono progettati per non spezzarsi nel tremendo impatto in velocità sul mare, ma si preferiva questa tecnica che era stata sperimentata come più efficace. Lo sgancio a breve distanza dal bersaglio ha lo scopo di non consentire alla nave manovre evasive, tipicamente la brusca accostata in velocità per mettersi parallela alla corsa del siluro (gli incrociatori Garibaldi e Gorizia si salvarono così). Il siluramento da vicino aumenta il rischio ma anche la probabilità di successo. La difesa contraerea della nave in questi casi si basa sul fuoco di armi automatiche di vario calibro, raffiche di proiettili di mitragliere pesanti, anche esplosivi e dirompenti, che possono incendiare e far esplodere i serbatoi del velivolo. Pure i colpi in cabina, nei motori, negli apparati di guida, possono avere effetti letali, poiché basta un attimo di perdita di controllo per infilarsi nelle onde.
L’aerosilurante Bristol Beaufort, che immobilizzò il Trento, aveva una velocità massima con il siluro di 362 kmh, ovvero cento metri al secondo come rapidità di avvicinamento (anche se è lecito pensare che si riducesse di molto nell’ultima fase, per perfezionare il lancio e limitare l’urto del siluro sul mare). Un mitragliere aveva quindi poco tempo per inquadrare e colpire l’aereo attaccante.
Continua...
277