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Scrivici |Mangiare e dormire a bordo
- Il rancio e la branda attraverso un secolo di Marina -
Edizione Cart. Navale Ugo Pucci - Spezia. Cartolina spedita nel 1926.
Sulle navi da guerra della Regia Marina, dalla vela al vapore, lo spazio era ridotto in rapporto al numeroso equipaggio. Bisognava dunque sfruttarlo al massimo senza concessioni alle comodità. Inoltre il superiore obiettivo bellico legittimava soluzioni spartane, regole ferree, difficoltà e abitudini ormai sconosciute alle più recenti generazioni di marinai, più vicini alla normalità civili di un letto, un lavandino, una tavola calda, diffusi dopo l’ultimo conflitto mondiale.
Il rancio sull'Incrociatore Trento: non all'aperto, con stoviglie e posate.
Nella foto Rosario Nasca (al centro). Fotografia dal Signor Cruciano Accettoso.
Il rancio
Il rancio, il pasto dei marinai, è un termine già citato nelle ordinanze della Marina Toscana di due secoli fa e forse risale alla Spagna di secoli addietro. Dopo l’Unità d’Italia, sulle prime navi della Regia Marina non c’era un luogo per mangiare e ci si adattava seduti sul ponte di batteria o sulla coperta. Poco dopo venivano introdotte panche e tavoli, con almeno 14 marinai ad ogni tavolo di tre metri e mezzo. Per motivi di spazio i tavoli comparivano al momento dell’uso e scomparivano subito dopo, ad esempio nel cielo dei locali. Nell’ottocento il pasto era frugale, la pastasciutta solo la domenica e un altro giorno, con carne tutti i giorni escluso il venerdì, dove si proponeva lo stoccafisso. La sera solo pane con mezz’etto di formaggio. La razione giornaliera di pane passava dai notevoli 900 grammi del 1866 a 500 grammi nel 1917, mentre il menu si arricchiva e diveniva più nutriente. La gamella era il recipiente della minestra con cui si distribuiva il rancio e il gamellino era il recipiente personale, a cui si affiancava l’uso di stoviglie, posate, bicchieri di bandone (latta) o di alluminio. Il vino si conservava in bidoni, di latta stagnata. Più volte si sarebbe voluto il vetro, sin dal 1866, ma i facili disastri rimandarono fino a giorni recenti la sua adozione, insieme alle stoviglie di maiolica (1962). Lo svolgimento del rancio e la successiva pulizia era curata dagli addetti di servizio. Il lavaggio veniva effettuato con acqua di mare, attinta al momento sulle navi a vela che non avevano impianti appositi o tramite lavagamelle dotate di rubinetti. Le stoviglie erano numerate e personali. Agli inizi del novecento veniva introdotto il rito della prova del rancio dove un ufficiale o superiore assaggiava secondo sorte ben regolamentata un pasto, per garantire un livello di qualità accettabile. Gli Ufficiali avevano comunque i loro spazi separati di mensa e i loro privilegi, con libertà di deroghe. Per avere a lungo carne fresca sulla nave, nell’ottocento si risolveva il problema mantenendola in vita, la famosa “carne in piedi”, che poi veniva macellata sul ponte, evento truculento seguito da molti spettatori poiché movimentava la navigazione. Ma dal 1905 venivano introdotti sulle navi della Regia Marina i frigoriferi, che risolvevano il problema, anche se la carne in piedi rimase nelle lunghe navigazioni. Sulle navi costruite dopo gli anni trenta, dotate di lavabi per l’equipaggio, cambiava il modo di usare l’acqua non più con baie e secchi. Piatto, gamellino, bicchiere venivano usati ancora nel 1940. La situazione cambiò quando arrivarono le prime navi di provenienza americana, all’inizio degli anni cinquanta, dove la soluzione del vassoio inox da tavola calda aveva mostrato i suoi vantaggi. Bisognò comunque modificarli per dare adeguato spazio alla pastasciutta.
La branda
Con questo nome nella Regia Marina non si designava il lettino dell’esercito, ma piuttosto una sorta di amaca, ovvero un letto pensile fatto di un telo teso fra due estremi, con anelli che venivano appesi a due ganci. Ciò permetteva di rimanere orizzontali nonostante le oscillazioni della nave. Per spostarsi da una base all’altra della Regia Marina si diceva “far sacco e branda” perché quest’ultima era personale e pagata dall’interessato fino al 1943. Sulle navi a vela le brande si disponevano sul ponte di batteria fra i cannoni, poi quando le armi furono spostate nelle torri sulle navi in ferro, si collocavano in spazi che comunque avevano altre destinazioni diurne, come la mensa. Le brande venivano dunque appese e poi tolte la mattina. C’era anche il materasso, molto sottile e molto corto perché le gambe non si ritenevano degne di goderne. Arrotolato, doveva fungere da galleggiante di fortuna per almeno 24 ore. Mancava anche il cuscino e il lenzuolo. La mattina brande e materasso venivano sganciate e arrotolate a comando, come un salsicciotto e riposte in luoghi appositi ma non del tutto chiusi, per risultare a portata di mano in casi di emergenza. Sempre piegate o usate, brande e materassi non respiravano mai, problema non trascurabile visto che la pulizia personale era sempre parziale e sommaria. Ci si lavava infatti con secchi e baie, con acqua fredda e all’aperto. La macchinosità dell’operazione e il tempo necessario, per lungo tempo portarono a fare colazione (caffè) prima della lavanda mattinale. Poi con i lavandini delle nuove unità, negli anni trenta si poteva invertire la sequenza, lavandosi appena alzati. Ogni tanto pure le brande meritavano un lavaggio e, meglio ancora si comandava la loro esposizione al vento marino per molte ore, ben srotolate sul ponte. Tale dispiegamento era il cosiddetto “sciorino di brande”. Dal 1943 parte del corredo, il telo della branda e le fasce (fodera del materasso) rimanevano personali mentre materasso e guarnizioni divenivano di casermaggio. Dopo l’ultima guerra le nuove navi e quelle ereditate dagli americani adottavano lettini fissi, anche se le brande rimasero a lungo in molti contesti, a bordo e a terra.
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