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Scrivici |Le ragioni di una sconfitta
- Riflessioni sull'andamento del conflitto in Mediterraneo -
Mappa dei traffici mercantili italiani e britannici in Mediterraneo durante la seconda guerra mondiale
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Perché la sconfitta della Regia Marina?
Nella seconda guerra mondiale la flotta italiana, teoricamente forte, deluse le aspettative. Non avremo mai più una grande Marina come quella, e vale la pena cercare di riassumere i motivi dell'insuccesso.
Per gran parte del conflitto le unità italiane furono sprovviste del radar, un'attrezzatura che non si improvvisa, che si affina con gli anni, e quindi la Regia Marina era praticamente cieca di notte, una limitazione notevole nel condurre le operazioni in mare.
Inoltre il nemico era informato in anticipo delle operazioni militari italiane, e si è creduto per molti anni dopo la guerra che fosse per tradimento, l'unica spiegazione che sembrava possibile. In tempi più recenti sono state rivelate le notevoli capacità di decifrazione degli alleati, che potevano conoscere tempestivamente i piani italiani. Qualunque sia stata la causa, resta il fatto che l'avversario era spesso in grado di colpire con sicurezza o tendere agguati e le forze italiane non potevano contare sul fattore sorpresa.
Basterebbero già questi due handicap per vanificare ogni eroismo e abilità. Comunque non sono giustificazioni che assolvono, in quanto era possibile premunirsi, oppure capire tempestivamente quanto avveniva e adottare contromisure adeguate. E’ vero che la Regia Marina, una volta emersi dei punti deboli, intraprese delle azioni correttive, ma avvenne quasi sempre con ritardo e risultarono di scarsa efficacia a causa del veloce evolversi della guerra. Fu dunque cruciale anche la scarsa preparazione prebellica, dato che non era facile compensare in tempi brevi le mancanze di strumenti e metodi. Bisognava essersi mossi per tempo e questo coinvolge la responsabilità degli alti comandi che mancarono di lungimiranza o commisero errori di valutazione.
Alla inferiorità oggettiva su radar e decifrazione, si sommarono scelte strategiche che si rivelarono sbagliate, come la rigida separazione tra Marina ed Aviazione, e la conseguente mancanza di portaerei (ovvero l'assenza di una aviazione navale).
Il fascismo vedeva con particolare favore l'Aviazione, rappresentante di modernità e portatrice di grandi successi propagandistici, per cui i capi della Regia Aeronautica ottennero che qualsiasi forza aerea dipendesse dal loro comando. Ciò era in linea con le teorie del generale italiano Dohuet, sostenitore dell'arma aerea come strumento decisivo rispetto ad ogni altro. Così la Marina perse la possibilità di avere aerei suoi, e la sua parte più conservatrice rinunciò all'idea di avere delle portaerei (anche perché i fondi disponibili erano limitati, e si ritenne preferibile costruire navi da battaglia). Forse anche se fossero state costruite e rese operative (un paio al massimo) avrebbero avuto vita dura, come bersagli prioritari.
Erano in molti a pensare che l'Italia potesse essere una "grande portaerei" e che non fosse necessario costruirne.
Il concetto dell'Italia come portaerei naturale (Signal).
Solo con la guerra ci si rese conto che le azioni aeree erano divenute più efficaci dei duelli tra navi con le artiglierie. Grazie alla portaerei, caccia, siluranti e bombardieri potevano essere portati dove servivano, ottenendo maggiore tempestività ed efficacia, con l'imprevedibilità e l'impunità che un aeroporto terrestre, fisso, non poteva avere. Una volta compresa l’esigenza, l’Italia costruì portaerei che erano già in acqua, ma la guerra finì prima di usarle. La portaerei aveva anche il vantaggio di avvicinare realmente Marina ed Aviazione, che si trovavano appunto "nella stessa barca" e quindi cooperavano efficacemente grazie alla reciproca conoscenza. Invece il fascismo sino a quel momento aveva puntato sulla competizione, più che sulla collaborazione. La prima permette di raggiungere primati sorprendenti, ma è la seconda che risulta vincente in situazioni complesse, come le operazioni aeronavali.
Quando si capì l'esigenza di coordinamento, non era facile invertire la tendenza di un agonismo penetrato a tutti i livelli. Si crearono organismi di coordinamento, ma si aumentarono i passaggi decisionali e le approvazioni, mentre l'Ammiraglio Cunningham disponeva dei suoi aerosiluranti senza dipendere dall'autorizzazione di nessuno. E' interessante notare che gli stessi inglesi, nello stesso momento, in Africa, commettevano lo stesso errore. Tenevano separate le tre armi (fanteria, carri, artiglieria), che perdevano tempo a chiedersi i permessi operativi, mentre le celebri unità corazzate tedesche univano le tre armi sotto un unico comando, sul campo. Perché gli inglesi erano più efficienti in mare, che a terra? La spiegazione può essere questa: la Royal Navy era leader da secoli, molto ascoltata dai propri capi, ed era arrivata a capire le scelte vincenti grazie alla grande esperienza sul mare. Ecco un'altra causa della sconfitta: il valore dell'avversario. Il divario rispetto alla Marina britannica è confermato da tanti dettagli tecnici come ad esempio, la dispersione delle salve e la scarsa efficacia del tiro, la mancanza di cariche a vampa ridotta. Pesò anche il limitato addestramento alle situazioni reali che si sarebbero verificate durante la guerra. Forse nessuno di essi è determinante, ma la loro somma fa la differenza. Le forze navali italiane non avevano la stessa esperienza dei britannici e non erano abituate a collaborare con le forze aeree. La Marina non capiva le esigenze dei piloti, ed avrebbe preteso una inattuabile copertura aerea continua, o un tempismo impossibile da garantire con aeroporti lontani. I piloti vedevano navi nemiche, ma erano incerti se interrompere il silenzio radio, e non sapevano quali informazioni servivano alle navi amiche. C'era scarso allenamento a riconoscersi, come nel caso dell’Incrociatore San Giorgio che abbatté l’aereo di Balbo, o nel caso dei bombardieri che attaccavano le proprie navi, durante il ritorno. Fatti di "fuoco amico", peraltro sempre avvenuti in tutte le nazioni. Qualcosa si fece per avvicinare e integrare, ma la guerra era già decisa. Gli insuccessi compromisero anche la sicurezza dei comandi nell'affrontare rischiose operazioni, per evitare eventuali ulteriori perdite insostenibili.
Inoltre, col prolungarsi del conflitto si esaurirono le scorte di carburante. Ecco un'altra inferiorità oggettiva: la mancanza di risorse naturali. Erano state accumulate delle riserve consistenti, ma non potevano durare per sempre: la strategia italiana era tutta focalizzata su una guerra breve. Per cui le voraci navi da battaglia furono sempre più limitate nel loro impiego, e la guerra la subì soprattutto il naviglio mercantile con le piccole unità, sulle rotte più pericolose, come i passaggi obbligati verso l'Africa, finendo quasi tutto in fondo al mare. Resta comunque il fatto che la Marina militare e la Marina mercantile italiane riuscirono a tenere impegnato il grosso delle forze britanniche in Mediterraneo per più di 3 anni e i collegamenti marittimi non furono mai interrotti. Anche se dalla Flotta ci si attendeva di più, soprattutto dalle grandi navi e dalla massa dei sommergibili, la Marina risultò comunque abbastanza preparata e in grado di far sentire il suo peso, in un campo dove bisognava dimostrare capacità organizzative e tecnologiche, anche di produzione cantieristica. In generale, con il durare del conflitto, l’Italia ebbe crescenti difficoltà ad adeguarsi e fornire armi adatte alle mutate esigenze belliche, a causa della penuria di materiali e della vulnerabilità della produzione industriale, colpita dai bombardamenti terrestri. La guerra mondiale mise in luce la verità sui punti di forza e di debolezza, indipendentemente dalle intenzioni o dalle dichiarazioni propagandistiche. Certo, furono commessi molti errori, facili da vedere e giudicare a posteriori, ma non è che le altre nazioni non ne abbiano commessi.
Riassumendo, gli Italiani sul mare furono all’altezza del confronto, si batterono con onore, ma furono penalizzati da grandi difficoltà oggettive non facili da superare, commisero degli errori importanti, e subirono la sconfitta da un avversario realmente più forte ed esperto.
Marina militare e mercantile non si tirarono indietro, e gli oltre ventimila morti, dai semplici marinai ai comandanti ed ammiragli, sono una testimonianza da prendere sul serio. Penso a mio padre, trasportato dalle onde nella notte nera, che riuscì a salvarsi, ma vedo in lui tutti i poveretti che finivano in mare. In gran parte annegavano (all'epoca molti marinai non sapevano nuotare) o morivano assiderati, patendo il freddo fisico che anticipava il freddo eterno, coscienti nella fine, soli in un mare solcato da tante navi, nessuna delle quali poteva rischiare di fermarsi a soccorrerli.
Pur sacrificandosi, gli Italiani furono condizionati dagli eventi sfavorevoli e progressivamente persero la fiducia in sé e l’iniziativa. Ma la guerra non conosce mezze misure: o si vince o si perde. Dovendo usare le corazzate con parsimonia, l’Italia non trascurò altre alternative come inviare pochi coraggiosi sott’acqua, nei porti nemici, con una bomba da mettere sotto le corazzate altrui. Audace e incredibile, ma funzionava. Se gli Italiani ebbero tre corazzate silurate a Taranto, risposero immobilizzandone due britanniche ad Alessandria, con il sistema insidioso già sperimentato nella Prima Guerra Mondiale. Gli Inglesi erano sconcertati da questo duplice aspetto degli italiani: esitanti quando erano ad armi pari, coraggiosi quando erano in condizioni inferiori. Al di là delle spiegazioni tecniche della condotta bellica, si può cercare di immaginare le motivazioni di un diverso approccio nel modo di combattere, e qui tentiamo di cogliere delle differenze di fondo. Sono soltanto opinioni e pensieri di carattere generale. Forse gli italiani, da sempre metà europei e metà mediterranei, hanno la giusta ambizione di stare tra i grandi, ma hanno anche paura di non essere all'altezza. Così, quando hanno tutto quello che serve per vincere, come dire niente scuse, temono l'insuccesso e proprio per questo, divengono più incerti e sbagliano. Quando invece sono inferiori e vedono l'opportunità di dimostrarsi più bravi degli altri, si impegnano, con la speranza di stupire, obiettivo che solletica l'orgoglio. Un atteggiamento psicologico duplice che affiora sempre, anche nelle competizioni sportive. In altre parole, gli italiani hanno una predilezione per le imprese impossibili. Ne consegue che totalizzano un alto numero di ovvi insuccessi, non per sfortuna, ma per scelta. Alla fine possono essere saltuariamente migliori, ma anche più imprevedibili, meno metodici e tenaci degli anglosassoni. Pertanto le incursioni subacquee sembravano fatte su misura per gli Italiani, a cui bisogna riconoscere un notevole primato, ed erano nella perfetta continuità dello spirito dannunziano, senza timore per la vita. Chi invece doveva affrontare il conflitto con razionalità, come gli ammiragli o gli alti comandi, aveva spesso timore di correre dei rischi, dopo gli insuccessi che abbiamo detto. Ad esempio, si iniziò a pensare che una eventuale perdita delle navi da battaglia non sarebbe stata recuperata con nuove costruzioni, mentre l’avversario poteva farlo. Ne derivò un impiego che molti considerarono troppo prudente. Mentre gli Italiani puntavano sull’uso deterrente delle potenzialità della flotta, la Royal Navy coltivava invece l’audacia e aggressività, sapendo che statisticamente erano più vincenti. Nel caso specifico della guerra navale, gli Italiani non sfruttarono la momentanea superiorità, quando l’avversario si ritrovò sprovvisto di navi da battaglia. Ecco dunque un altro difetto da considerare: spesso non si sfrutta il successo, semplicemente perché coglie impreparati, quasi che si abbia persa la speranza nel conseguire dei risultati. Nell’estate del 1942 gli Italiani sembravano riacquistare fiducia ed efficacia, ma l’evoluzione del conflitto con l’ingresso di potenti avversari aveva già deciso l’esito finale.
Continua...
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