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Scrivici |Motivazioni di guerra, 1915 e 1943
- Documenti che spiegano perché fare la guerra -
I confini orientali nel 1915: Trieste, Gorizia, Trento, Bolzano, una parte della pianura e del Garda, sotto l'Austria. Confini problematici. Dall'Illustrazione Italiana del 26/5/1935.
L’Italia entrò in guerra due volte, nel 1915 e nel 1940 per cause storiche, economiche, politiche: tali motivazioni sono esposte in una vasta saggistica, in parte richiamata nella Bibliografia.
Qui si vuole invece approfondire come la guerra veniva giustificata pubblicamente verso le masse, in quel momento. Gli addetti alla propaganda sapevano come sensibilizzarle, usando i messaggi più adatti al pensare corrente. In altre parole, le ragioni esposte dovrebbero essere vicine alle motivazioni per cui la popolazione di allora avrebbe dovuto accettare il sacrificio bellico. E’ un modo per immedesimarsi nella gente comune e sentire cosa le veniva detto.
Di seguito due fascicoli divulgativi dell’epoca vengono condensati per motivi di spazio. Sono documenti che vale la pena di leggere e anche di confrontare tra loro, perché arrivano dal passato senza filtri.
Le motivazioni della Prima Guerra Mondiale - 1915
Dal documento “La Nostra Guerra” – Associazione Nazionale fra i professori universitari – 1915,
Brevi estratti
I - Le Ragioni Morali (Prof.G.Del Vecchio – Univ.Bologna):
“La violenza anche vittoriosa non ha per noi alcuna ragione intrinseca di dignità, ma solo dalla causa cui serve può trarre la sua giustificazione. Così la guerra non è resa plausibile da ciò, che s’abbia forza sufficiente per farla, e favore di circostanze o numero d’alleati… Essa per la nostra coscienza si giustifica solo in quanto tenda a rivendicare un diritto, non rivendicabile in altra guisa; cioè quando sia necessaria come l’unico mezzo per reintegrare una verità etica, disconosciuta prepotentemente da altri; quando costituisca, in somma, un dovere morale.
(Citando Giuseppe Mazzini) La libertà di un popolo non può vincere e durare se non nella fede che dichiara il diritto di tutti alla libertà…Propugnate il principio che ogni patria appartiene al suo popolo..”
II – L’idealità nazionale e il dovere d’Italia (Prof.P.Fedozzi – Univ.Genova):
“…per tutti gli Italiani la guerra attuale è sovra tutto o soltanto un’ultima e fatale conseguenza di quella politica che ci condusse all’unità, una tarda ripresa delle guerre d’indipendenza per porre fine all’opera di liberazione che i nostri padri dovettero lasciare incompiuta…”
III – I diritti d’Italia sulle Alpi e sull’Adriatico (Prof.C.Errera – Univ.Bologna):
“Nessun altro limite può assegnarsi all’Italia fuorché nelle Alpi, nessun’altra linea nelle Alpi dirsi confine naturale d’Italia fuorché quella segnata dal divorzio delle acque nostre dai fiumi correnti agli altri mari di Europa…dobbiamo proclamare Italia per diritto naturale… il territorio tutto della penisola istriana dalle radici ai vertici estremi di Salvore e di Promontore.”
IV – Le terre irredente nella storia d’Italia (Prof.P.S.Leicht – Univ.Modena):
“…La storia conosce i secolari legami che avvincono le popolazioni del Trentino, del Goriziano, della costa Adriatica, all’Italia…la dominazione Austriaca in quelle province riposa quasi ovunque su basi contrarie al diritto…(segue una descrizione storica approfondita dall’undicesimo secolo)… antichissima è la lotta fra le nazionalità e casa d’Austria. Se la nazionalità Italiana è indistruttibile, gli intenti e i propositi di casa d’Austria sono immutabili…”
Citando l’Imperatore Leopoldo (Gorizia, 1660): “…il non sentir favellar altra lingua che l’Italiana, mi fanno scrivere anche nella medesima…”
V – La lotta nazionale nelle terre irredente (Prof.L.Bianchi – Univ.Napoli):
Censimento austriaco di Trieste, 31 dicembre 1910: 35.000 sloveni su 200.000 abitanti. Fu ordinata una revisione, in seguito alla quale gli sloveni salirono alla cifra di 52.000. Altro censimento successivo a Trieste: 142.113 italiani, 37.000 sloveni, 1.422 croati, 9.689 tedeschi… Di 28.412 sloveni penetrati a Trieste negli ultimi anni, 11.164 appartenevano ai comuni della Carniola (seguono cifre e citazioni di fatti a dimostrazione dell’attività antitaliana della dominazione austriaca, a favore delle minoranze slovene). La preferenza all’elemento slavo da parte dell’Austria derivò dal calcolo, non infondato, che questa razza assicurasse definitivamente le terre italiane irredente all’impero…”
Citando il Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli (1866): “senza l’Istria avremo sempre l’Austria padrona dell’Adriatico.”
VI – Le ragioni politiche della nostra guerra (Prof.P.Bonfante – Univ.Pavia e Rettore della Bocconi):
(dopo una esposizione degli interessi e mire delle grandi potenze) “..era esclusa a priori l’ipotesi che l’Italia potesse prendere parte al conflitto a fianco della Germania e dell’Austria…ci avrebbe rovinato moralmente nei secoli, ma sarebbe stata una vera stoltezza politica… non meno grave era il problema della neutralità… con limitati compensi di fronte a…una signoria veramente del Mediterraneo (della Germania e dell’Austria)…”
“la nazione stessa…dovrà subordinarsi ad un ideale più vasto: la comune civiltà…Così accadrà dei popoli Europei , se l’Europa non vuole perire.”
VII – la nostra guerra e la ricchezza italiana (Prof.G.Arias – Univ.Genova)
“…l’Austria ha favorito Trieste ad esclusivo danno di Venezia, ma non ha fatto quanto avrebbe potuto e dovuto per svolgere integralmente la potenzialità naturale di Trieste… L’Italia deve rivendicare anche l’altro porto italiano, che con Trieste collabora nel traffico adriatico con l’Oriente: Fiume. Guai se l’Italia rinunciasse a Fiume!..la libertà nel Mediterraneo ha per condizione la sicurezza nell’Adriatico.“ (seguono analisi dei traffici e volumi di scambi commerciali).
VIII – Nota: Questo capitolo espone necessità e ragioni della nuova guerra alla Turchia (argomento finale relativo alla ripresa delle ostilità, anche in seguito alla dinamica del primo conflitto mondiale e delle alleanze).
Le motivazioni della Seconda Guerra Mondiale - 1943
Dal documento Le Ragioni di Questa Guerra – Quaderni di Divulgazione – Istituto Nazionale di Cultura Fascista – Roma, Anno XIX.
Estratti condensati, in testo libero:
“Dopo la Grande Guerra, l’impegno di rinunziare alla guerra rimaneva priva di senso se non si eliminavano i presupposti: gli armamenti. Ma il disarmo era un assurdo. Erano convinti del disarmo soprattutto i vincitori interessati allo status quo. In effetti aderirvi significava rimettersi nelle mani di chi era già forte (Inghilterra).
La responsabilità di questa seconda guerra non può che ricadere sulla nazione (Inghilterra) che si era assunta il compito di riordinare il mondo ed eliminare le cause di guerra. Come si concilia con la volontà di mantenere l’egemonia sul mondo?
L’Europa combatte da quattro secoli contro gli anglosassoni. La lotta attuale è per l’attuazione e incremento della libertà umana. E’ vero che gli anglosassoni hanno attuato la libertà di lavorare secondo la propria capacità, e di essere compensati secondo il proprio merito. Ma hanno potuto conseguirlo solo per sé in anticipo, a svantaggio degli altri, con il controllo delle risorse, accaparrando, monopolizzando, signoreggiando.
L’Inghilterra è pronta a discutere su piano di parità con altre nazioni, ma questa è teorica a causa della dipendenza reale a cui sono sottoposte e della possibilità inglese di condizionare la controparte. L’eliminazione di questa egemonia e condizione di privilegio è prerequisito per il conseguimento delle eguaglianze e delle libertà.
45 milioni di Italiani hanno il diritto di essere liberi, e pure il dovere di essere forti (con le relative responsabilità, sacrifici, rischi).
Il popolo italiano per circa un secolo ha lottato contro lo straniero e anche contro se stesso: contro il suo complesso di inferiorità.
Nella guerra 15-18 abbiamo fatto la guerra alla Germania, ma era un’altra Germania: l’alleanza con quella nuova di oggi risponde pienamente ai nostri interessi.
L’Italia è povera. Una volta non era così. Il declino avvenne quando il Levante si chiuse, si circumnavigò l’Africa, si scoprì il nuovo mondo e il mondo mediterraneo si impoverì. Il Canale di Suez portò una rinascita del mediterraneo ma l’Inghilterra si è premunita (e lo controlla).
L’Italia ha poche risorse e tante braccia. Ci indebitiamo. La parte più viva e attiva della produzione industriale è destinata a cadere in mani straniere. Abbiamo cercato di essere autonomi ma oltre un limite non si può andare.
Le rivoluzioni nascono quando l’interesse del popolo è in contrasto con quello della classe dirigente. L’Italia poteva rassegnarsi al regime parlamentare che, spalancando le porte al capitale straniero, avrebbe diffuso una illusione di pace e di benessere. Invece si sviluppò la Rivoluzione fascista che approfondiva sempre di più il suo antagonismo ideologico con la democrazia degli stati ricchi. - Noi potremo…far sentire la nostra voce e vedere finalmente riconosciuti i nostri diritti.- (Mussolini, 1927).
Comunque (tra Inghilterra e Germania) non potevamo rimanere neutrali.”
Altre immagini (tra le due guerre) che evidenziano i sacrifici della prima guerra e le limitazioni nazionali prima della seconda guerra.
Commenti sulle pubblicazioni e motivazioni
I due documenti affiancati sulle motivazioni di guerra offrono l'opportunità di un confronto.
Il documento del 1915 si presenta come un contributo collettivo di più uomini di cultura e di responsabilità, con l’intento di rendere più autorevole e credibile la pubblicazione. Ognuno parla a proprio titolo, in modo discorsivo e talvolta documentato, diffuso nelle spiegazioni, cercando di stimolare valori popolari e condivisi. Dunque si vuole convincere (200 pagine).
Il documento 1943 è invece impersonale e assai più sintetico, basato su affermazioni che vanno prese come definitive. Dunque si vuole imporre un punto di vista (40 pagine).
Sembra quasi che il diverso approccio rifletta il differente sistema politico e di consenso esistente nei due periodi.
Nel documento del 1915 si sottolinea l’obiettivo primario del completamento dell’Unità con la liberazione e annessione di terre popolate in maggioranza da comunità italiane. A questo si aggiungono considerazioni territoriali ed economiche.
Nel documento del 1943 si insiste invece sulla posizione di vantaggio e di grande potenza dell’Inghilterra, predominio che non viene accettato. La motivazione sembra essere il desiderio (o la necessità) dell’Italia di espandersi e conseguire anche lei un ruolo adeguato. Si ritiene di non poter rinunciare ai destini e alle ambizioni, per cui la guerra ne risulterebbe inevitabile. Anche l’impossibilità di rimanere neutrali viene dichiarata, nell’ultima frase del volumetto. Siamo a guerra avanzata, altrimenti avremmo trovato anche la Francia come avversaria.
Mentre le giustificazioni del 1915 si basano sulle esigenze delle comunità italiane (presentando la guerra come continuità del processo risorgimentale), le giustificazioni del 1943 si basano sulle limitazioni internazionali di una nazione in crescita (presentando la guerra come necessario passaggio per espandersi, per divenire più liberi e quindi più potenti).
Le ragioni sono convincenti?
Le ragioni del 1915 potevano essere abbastanza condivise dalle masse, ancora memori del processo di unificazione e indipendenza. Oltre ai problemi delle popolazioni italiane irredente, i confini orientali in quel momento apparivano insoddisfacenti dal punto vista geografico e poco difendibili militarmente, da parte italiana.
Le ragioni del 1943 apparivano forse più distanti e meno urgenti per molti, perché la dominazione straniera era indiretta e non tramite occupazione territoriale a svantaggio di connazionali. In sostanza, si sentiva una supremazia che però era “altrove”: sul mare, sulle vie di comunicazione, sulle risorse (entità meno tangibili delle popolazioni irredente e meno capaci di eccitare gli animi).
Ciò può far apparire più popolari le motivazioni di guerra del 1915 e meno coinvolgenti quelle del 1943.
Perché l'Italia fu sempre esitante?
E' interessante notare che in entrambi i conflitti l'Italia esitò a lungo prima di intervenire. E ancora prima ci fu incertezza da che parte stare. Sembrerebbe il sintomo di un atteggiamento opportunista o di scarsa convinzione nelle motivazioni.
In entrambe le guerre mondiali tutte le nazioni europee, compresa l'Italia, avevano delle alleanze con i loro obblighi di intervento, che erano ritenuti indispensabili per tenere in equilibrio gli antagonismi nazionali.
Nella prima guerra la Monarchia aveva stipulato da anni una alleanza con l'Austria-Ungheria mentre le masse tendevano a considerarla un nemico storico. La popolazione si divideva tra neutralisti e interventisti, quest'ultimi particolarmente attivi. Nel frattempo i vertici trattarono fino all'ultimo con entrambi gli schieramenti. Si arrivò alla guerra per la rottura delle trattative, quando ormai si poteva ottenere senza combattere gran parte delle richieste, ma ormai ci si era compromessi dall'altra parte.
Anche nella seconda guerra la posizione tardò a definirsi, fino a quando l'opposizione britannica all'espansionismo dell'Italia, la portò a stipulare un patto con la Germania. Anche dopo l'inizio della guerra l'Italia rimase non belligerante, sia per completare la sua preparazione, che per studiare l'andamento delle operazioni altrui. Il momento dell'entrata in guerra fu deciso per ottenere i massimi vantaggi.
Insomma, in entrambe le guerre l'Italia si mostrò alle altre nazioni europee, amiche e nemiche, come esitante e opportunista, con l'interesse come principale motivazione, atteggiamento che forse ebbe delle conseguenze nelle conferenze di pace, venendo trattata in modo non sempre benevolo dai vincitori.
Nella prima guerra lo sfondamento di Caporetto fu recuperato con la determinazione a non cedere (fu la forza delle motivazioni?), mentre nella seconda guerra l'invasione nel sud si tradusse in trattative di resa. E' difficile confrontare le due situazioni ma può darsi che le motivazioni iniziali abbiano influito sull'esito finale. Si dice spesso che la maggior parte degli Italiani (anche al vertice) fosse contraria alla seconda guerra, voluta dalla dittatura. Il cedimento del 1943 fu anche dovuto alla specifica situazione militare (assai più compromessa) e al maggiore impatto bellico sulla popolazione civile.
Non si approfondisce qui il periodo fra le due guerre, pure interessante per l'evoluzione delle motivazioni. Le polemiche fra le fazioni prebelliche si riaccesero alla fine della prima guerra, con le insoddisfazioni per i risultati della pace rispetto ai sacrifici sostenuti, il mito della “vittoria mutilata”, le critiche dei neutralisti ai reduci, il riaccendersi del militarismo che fu una delle anime della nascente dittatura, la tendenza all'espansionismo armato che favorì le motivazioni del secondo conflitto.
Le affermazioni portate a sostegno, sono fondate?
Tutti si domanderanno se le affermazioni degli opuscoli siano veritiere. Qualcuno ne troverà certo di contestabili e ogni punto di vista può avere le sue giustificazioni, ma qui più che la “verità” interessa la “credibilità” delle ragioni, che si integra con le convinzioni ed esperienze della popolazione, che hanno anch'esse validità. La gente non aveva alcun dubbio che territori austroungarici con prevalente popolazione italiana dovessero essere uniti alla Patria, come non aveva alcun dubbio che l'Italia dovesse essere libera di espandersi, senza che l'Inghilterra lo impedisse. Ciò non giustificava le due guerre come necessarie, ma confermava l'esistenza di importanti problemi da risolvere. Come? Con la diplomazia (raramente sfruttata con convinzione) e in alternativa si pensava di usare le armi. Questo era in sostanza il ragionamento.
Perché le motivazioni di guerra sono importanti?
Entrando in guerra (guerre di massa e totali come quelle della prima metà novecento), bisogna essere disposti a togliere la vita ad altri e rischiare di perdere la propria. Anche la popolazione civile deve essere disposta a sofferenze e privazioni. Tutto ciò viene in genere sottovalutato pubblicamente (dagli interventisti e dal potere) ma la gente intuisce a cosa va incontro, pertanto le motivazioni devono essere abbastanza convincenti da compensare le paure. Pubblicamente si cerca quindi di enfatizzare queste motivazioni, caricando le masse con l’informazione e la propaganda, attraverso testi, giornali, media. E' quella che si chiama “preparazione del consenso”, senza la quale è difficile far accettare decisioni impopolari e gravide di conseguenze.
Ma a parte il momento iniziale, in cui si entra in guerra (o si è costretti a farlo dall’avversario), le motivazioni devono rimanere importanti durante il conflitto, che è sempre più lungo del previsto. Infatti le guerre si possono perdere sul fronte interno, se strada facendo si perde la convinzione di continuare a combattere perché le motivazioni non sono abbastanza forti o vere. Le motivazioni dimostrano la loro fondatezza soprattutto nel finale, perché la forza di resistere e superare le difficoltà si basa proprio sull’importanza delle motivazioni originarie. Anche le potenze vincitrici dell’ultimo conflitto ebbero momenti sfavorevoli, ma li superarono con la forza delle motivazioni.
Nel corso di una guerra, man mano che crescono vittime e distruzioni, la volontà di non renderle inutili con la sconfitta diviene una motivazione aggiuntiva che però non può sostituire le motivazioni di partenza. Inoltre la prospettiva di sconfitta e le condizioni di resa portano con sé ulteriori danni con privazioni territoriali, economiche, di libertà e di potere, ed evitarle a tutti i costi è una ulteriore motivazione. I primi a pagare saranno proprio i responsabili del potere, che nel proprio interesse, spingono tutti alla resistenza ad oltranza. Questo spiega perché le guerre proseguano più del necessario, quando l’esito è prevedibile e le masse vorrebbero ormai concluderle. Spesso ci si dimentica perché si è cominciato e si insiste a combattere solo per non perdere.
Ecco perché le motivazioni per iniziare una guerra dovrebbero essere davvero importanti. Ecco perché tutte le nazioni, democratiche o dittatoriali, ieri come oggi, ritengono necessario diffondere e ricordare tali motivazioni attraverso i mezzi mediatici disponibili, tra cui le pubblicazioni propagandistiche.
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