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Scrivici |Gibilterra
- La base britannica tra Mediterraneo e Atlantico -
Gibilterra in una carta nautica del 1775 - Tolone (archivio Trentoincina)
Gibilterra, le Colonne d’Ercole
Gibilterra è l’estremità meridionale della penisola iberica, il punto più vicino all’Africa. E’ una piccola striscia di territorio che culmina in un rilievo roccioso ed è unita al continente da un istmo pianeggiante. Il promontorio controlla lo stretto che separa il Mediterraneo dall’Atlantico, le antiche Colonne d’Ercole che segnavano il confine del mondo conosciuto, ed è quindi un punto strategico di fondamentale importanza a cui è legata tutta la sua storia. Attraverso questo stretto cominciò l’invasione araba della Spagna cristiana nel 711, ad opera di Tarik, un berbero che trasformò le incursioni in una inaspettata e fulminea avanzata. Dette il suo nome al promontorio: Gebel-Tarik (la rocca di Tarik). Gibilterra rimase in mano musulmana fino al 1309, poi riconquistata nel 1350. Infine nel 1462, con la caduta di Granada che coronava la Riconquista cristiana, tornò all’Occidente. Durante la guerra di successione spagnola Gibilterra fu attaccata e conquistata dalla flotta inglese nel 1704. Il possesso britannico della Rocca fu sancito dal Trattato di Utrecht del 1713, anche se la Spagna non perse la speranza di riprendere la posizione strategica. Ma il Grande Assedio del 1779-1783 si concluse senza successo, grazie alle fortificazioni e gallerie sotterranee. Con l’apertura del Canale di Suez nel 1869 Gibilterra controllò anche le rotte più brevi per l’Oriente e quindi la Gran Bretagna continuò a considerare fondamentale la roccaforte militare. La posizione vantaggiosa di Gibilterra fu sfruttata dai Britannici anche nei due conflitti mondiali del novecento, ostacolando il passaggio tra Mediterraneo ed Atlantico. Dopo la seconda guerra mondiale la Spagna riprese le pressioni per entrare in possesso di Gibilterra. Nel 1969 la popolazione residente confermò con il voto la volontà di rimanere con la Gran Bretagna. Pur facendo ormai parte dell’Europa, con la presenza militare britannica ridotta, l’orientamento della ex colonia è di mantenere comunque la propria indipendenza.
Visione panoramica di Gibilterra (7 anni di guerra).
Gibilterra nella Seconda Guerra Mondiale
Al momento della dichiarazione di guerra dell’Italia, il possesso di Gibilterra, insieme a Suez, permise alla Gran Bretagna di togliere all’Italia più di un milione di tonnellate di naviglio che rimase fuori dal Mediterraneo. Un terzo della flotta mercantile fu perduto, internato, catturato. Fu certamente responsabilità di Mussolini non aver consentito un rientro in tempo delle navi e l’unica giustificazione era la convinzione (poi rivelatasi errata) di un conflitto breve. In altre parole Gibilterra, già il primo giorno di guerra, procurò ai Britannici una grande vittoria navale. In seguito Gibilterra sarebbe stata sia una base avanzata per inoltrarsi in acque italiane, sia un blocco per impedire passaggi di unità avversarie tra Mediterraneo e Atlantico. In pratica solo i sommergibili avevano qualche possibilità di passare, ad esempio unità italiane che presero parte alla Battaglia dell’Atlantico, o U-boot tedeschi mandati nel Mediterraneo. Il Mediterraneo è come una vasca profonda con una apertura a Gibilterra di bassa profondità: vi si concentrano gli effetti di temperature e salinità diverse, effetti di marea. Il Mediterraneo ha evaporazione superiore agli affluenti e alle precipitazioni, per cui c’è generalmente entrata d’acqua dall’oceano in profondità, mentre scorre nel senso opposto in superficie. Il passaggio per un sommergibile è quindi tecnicamente molto difficile, essendovi forti correnti che trascinano orizzontalmente e anche verticalmente, a causa del risucchio della profondità che aumenta allontanandosi dal passaggio. Per i sommergibili italiani le prime disposizioni erano di attraversare di notte in superficie, lontano dalla zona britannica, poi in immersione ma le correnti facevano derivare in modo imprevedibile verso la costa. Perciò si saliva ogni tanto a controllare ma le variazioni di quota spesso facevano precipitare in profondità senza controllo. Per rallentare la caduta si compensava energicamente e non di rado si poteva esagerare in senso opposto, schizzando in superficie nel punto e nel modo più indesiderato. Le acque dello stretto erano quindi estremamente pericolose per i sommergibili. Tenendo conto che i Britannici sorvegliavano lo stretto, si comprendono i rischi e talvolta gli affondamenti. Nessun sommergibile italiano andò perduto nel violare lo stretto, mentre si persero alcuni battelli tedeschi. Se da un lato bisogna riconoscere la maestria dei comandanti italiani, dall’altro si deve notare che rispetto ai tedeschi si cimentarono con un controllo dello stretto non ancora perfezionato da parte alleata. Infatti all’inizio del 1944 gli americani adottarono sul lato atlantico di Gibilterra un controllo aereo continuo (MAD = Magnetic Airborne Detector) capace di scoprire sommergibili in profondità e di ostacolarne l’ingresso in mediterraneo. La base di Gibilterra costituiva un obiettivo importante fortemente difeso, celebre e pertanto interessante anche a livello propagandistico. Per cui gli assaltatori subacquei italiani della Decima Mas, operanti in tutto il Mediterraneo, vi tentarono più attacchi di cui alcuni coronati da successo. Anche la Regia Aeronautica effettuò una incursione sulla base operando al limite dell’autonomia. Imprese audaci che non poterono modificare il corso degli eventi, ma dimostrarono comunque al nemico coraggio e determinazione.
La rada di Gibilterra (7 anni di guerra).
Attacchi della Decima Mas
Si contano almeno 9 attacchi subacquei italiani a Gibilterra di cui più della metà fruttuosi con 14 mercantili affondati o danneggiati, per un totale di circa ottantamila tonnellate.
I primi quattro attacchi furono effettuati con il supporto di un sommergibile, in questo caso lo Scirè comandato da Junio Valerio Borghese, che trasportava in zona gli SLC (siluri a lenta corsa, chiamati anche maiali), destinati a portare due operatori ciascuno sotto le navi con una carica di tritolo.
Operazione BG1 del 24 settembre 1940, con il sm Scirè e 3 SLC: fu rinviata per il porto vuoto.
Operazione BG2 del 30 ottobre 1940, con il sm Scirè e 3 SLC: fallì per guasti e malori, con cattura di assaltatori o fuga.
Operazione BG3 del 23 maggio 1941: con il sm Scirè e 3 SLC: fallì senza essere stata scoperta. In questo caso era stata usata come base la pirocisterna Fulgor a Cadice per evitare agli assaltatori l’avvicinamento in sommergibile.
Operazione BG4 del 20 settembre 1941, con il sm Scirè e 3 SLC: portò all’affondamento di 3 mercantili di 2444, 10983, 15893 tonnellate, senza alcuna perdita.
La stretta sorveglianza e le difese di Gibilterra rendevano molto rischioso e difficile la soluzione del sommergibile, sia pure di successo in altre situazioni, per cui ci orientò all’uso di una base segreta sul posto. Le azioni partirono da Villa Carmela, presa in affitto nella vicinissima Algesiras o dalla nave cisterna Olterra. La nave, colta dalla dichiarazione di guerra, era stata autoaffondata, poi recuperata e attrezzata per l’uscita subacquea degli SLC (i cui componenti erano contrabbandati e montati al suo interno). Operazioni perfette dello spionaggio italiano, che non vennero mai scoperte. Ecco quindi i nuovi attacchi.
Operazione GG1 del 14 luglio 1942, da Villa Carmela con 12 assaltatori a nuoto dotati di cariche esplosive (chiamate cimici): portò al danneggiamento di 4 mercantili di 1575, 1494, 2497, 3899 tonnellate.
Operazione del 15 settembre 1942, con 3 assaltatori a nuoto e cariche esplosive: portò all’affondamento di un piroscafo da 1787 tonnellate.
Operazione BG5 del 7 dicembre 1942, dalla nave Olterra con 3 SLC: fallì con vittime e prigionieri.
Operazione BG6 del 7 maggio 1942, dalla nave Olterra con 3 SLC: portò all’affondamento di 3 mercantili di 7000, 7500, 4875 tonnellate.
Operazione BG7 del 24 agosto 1943, dalla nave Olterra con 3 SLC: : portò all’affondamento di 3 mercantili di 10000, 6000, 7000 tonnellate.
Era pianificato anche un attacco con il sommergibile Murena e mezzi di assalto per il 2 ottobre 1943, ma l’armistizio interruppe i preparativi.
Gli assaltatori non riuscirono a colpire unità da guerra a Gibilterra, essendo fortemente protette e sorvegliate. Ebbero comunque la soddisfazione di violare più volte anche la più difesa roccaforte britannica.
Copertina di un fascicolo propagandistico del 1940 relativo alla situazione mediterranea dell'Italia.
L'Italia nel mediterraneo
La pubblicazione del 1940 “Prigioniera nel mare” (S.A. Istituto Romano di arti grafiche di Tumminelli e C. – Roma – Città Universitaria) all’inizio del conflitto mondiale descrive la visione di una Italia imprigionata all’interno del Mediterraneo, attraverso il controllo dei principali accessi: Suez, Dardanelli, e naturalmente Gibilterra. Viene narrata la storia del “Mare Nostrum” sin dai tempi antichi fino ai contrasti tra grandi potenze, con la conquista dei passaggi strategici prima che l’Italia venisse unificata e manifestasse le sue esigenze, come nazione in espansione. In particolare si cita il discorso di Balfour del 23/12/1921 alla Commissione per la limitazione degli armamenti a Washington: “L’Italia non è un’isola, ma conta quasi come un’isola. Dubito che possa nutrirsi o approvvigionarsi o continuare ad essere un’unità effettiva di combattimento, se il suo commercio marittimo fosse arrestato.” Si cita anche quanto scriveva l’ Ammiraglio La Bruyere: “Per l’Italia la libertà del mediterraneo è una questione di respiro, vale a dire di vita o di morte…Per la Francia il Mediterraneo rappresenta un interesse considerevole… Per l’Impero britannico il Mediterraneo è un ingrediente della sicurezza imperiale ma non è un elemento essenziale dei suoi rifornimenti. Per l’Italia è tutt’altra cosa. L’Italia è tutta chiusa nel mediterraneo e l’80% delle sue frontiere è costituito da frontiere costiere…In tutte le sue conferenze navali l’Italia non ha mancato di prospettare questa formidabile servitù geografica e le difficoltà che ne risultano… le vie d’uscita da questo mare non le appartengono, mentre essa è la Nazione più povera di materie prime.” La pubblicazione ha l’evidente obiettivo di giustificare le motivazioni navali e commerciali alla base della guerra contro la Gran Bretagna. Pertanto vengono forniti alcuni dati interessanti sui traffici dell’epoca, che qui ci limitiamo a riportare. Nel 1938 su 24 milioni di tonnellate di merci importate, 20 giunsero per mare e soltanto 4 attraverso valichi terrestri. Dei 20 milioni di tonnellate per mare, ben 16 passarono da Gibilterra, confermandone l’importanza, mentre 1 milione giunse attraverso i pesanti pedaggi di Suez, 1 milione dai Dardanelli e 2 milioni dagli altri porti mediterranei. Il carbone costituiva il volume maggiore, circa metà del traffico marittimo totale (due terzi del traffico attraverso Gibilterra). Il progressivo spostamento della provenienza del carbone attraverso vie terrestri viene sottolineato, alla luce delle esigenze belliche. I prodotti petroliferi costituivano circa 4 milioni tonnellate, di cui il 70% passava da Gibilterra (14% dai Dardanelli, 9% da Suez, 17% da altri porti). I prodotti alimentari pesavano 1,25 milioni di tonnellate. Legname, materiali da costruzione, cotone, erano tra le altre merci importate via mare. In definitiva gli accessi/uscite del Mediterraneo avevano sicuramente un valore strategico, anche se questo diveniva un problema soprattutto entrando in guerra con chi li possedeva.
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