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Scrivici |Mezzo Giugno 1942 - dentro la battaglia
- L'affondamento del caccia Bedouin visto da entrambe le parti -
Il contatto tra incrociatori italiani e caccia britannici. Al termine il Caccia Bedouin affondò (mappa ripresa da "La Guerra sui mari, 1941-1943" dell'Ammiraglio Romeo Bernotti - 1956)
Poco dopo le 6 del mattino, sul cacciatorpediniere britannico Bedouin, di scorta al convoglio Harpoon verso Malta, suonò l’allarme per l’avvistamento delle unità italiane: la Settima Divisione al comando dell’Ammiraglio Alberto Da Zara era comparsa all’orizzonte con due incrociatori in linea di fila (Eugenio di Savoia e Montecuccoli), preceduti da due caccia e altri due dietro (Vivaldi, Ascari, Premuda, Malocello). Le unità maggiori venivano identificate come "incrociatori da otto pollici" (203 mm), mentre in realtà erano provviste di pezzi da 152 mm.
“Noi eravamo su una rotta di 120° e il nemico stava dirigendosi a 160°, velocità 25 nodi e distanza 12 miglia. Nel frattempo il resto delle nostre forze accostava per sud protetto dal fumo emesso dagli Hunters (i caccia). Ero in una posizione fortunata sotto molti aspetti. Sapevo che cosa dovevamo fare e che il costo non importava: gli italiani dovevano essere respinti” – Comandante del Bedouin G.B.Scurfield
Gli incrociatori italiani aprirono subito il fuoco, con una rosa di tiro “buona, forse fin troppo buona per quella distanza”, circa venti chilometri, e “il tiro sembrava sgradevolmente accurato”. I britannici non potevano rispondere con i loro cannoni da 4,7 e 4 pollici, per cui serrarono le distanze. Alle 6.45 giunti a sedici chilometri cercarono di impegnare il primo cacciatorpediniere italiano. I caccia britannici si aprivano in formazione per un uso ottimale delle artiglierie. Nel frattempo l’Ammiraglio Da Zara ne osservava la manovra, con ammirazione riportata nella sua biografia. Poi decideva di mantenere il vantaggio balistico ed evitare i siluri, accostando per impedire che l’avversario venisse “a prendere il caffè a bordo”.
“Dieci minuti dopo il nemico accostò in fuori di altri venti gradi e noi trasferimmo il tiro sul primo incrociatore a circa undici chilometri e mezzo. Da questo momento incominciammo ad essere colpiti. Colpi violenti si succedevano l’uno all’altro. L’albero fu il primo a partire e con lui la radio. Il ripetitore di bussola saltò fuori dal suo alloggiamento ma lo splendido Bedouin continuava in testa e serrava le distanze minuto per minuto…Alle 6.50 all’incirca fu colpita la centrale di tiro… pensai dentro di me che la nave non sarebbe stata capace di andare molto avanti. Quindi dissi di andare giù a lanciare i siluri e quando la distanza scese a circa quattro chilometri e mezzo, e il nemico ci stava sparando proiettili traccianti con le armi leggere, accostai tutto a dritta.”
Caccia britannico sbandato e in difficoltà (Rivista della Regia Aeronautica - Supplemento Speciale del 21 giungo 1942).
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Dopo aver incassato i proiettili italiani, il Bedouin viene colpito ancora
Dopo il lancio il Bedouin, colpito ancora, si fermò. Il Comandante, non sapendo se fosse stato messo a segno qualche colpo o se i siluri delle altre unità avessero raggiunto il nemico, osservò comunque che la divisione italiana accostava, interrompeva l’azione e scompariva a nord est. Riteneva che il sacrificio della scorta avesse offerto “un bel vantaggio” al convoglio per Malta. Sul Bedouin undici uomini erano rimasti uccisi e altri sei erano in condizioni disperate. Trentaquattro marinai erano feriti, di cui nove in modo grave. Il Comandante calcolava che il caccia era stato colpito dodici volte, in gran parte da proiettili da otto pollici (dagli incrociatori). Però solo due erano esplosi mentre gli altri avevano attraversato l’unità prima di esplodere. Le macchine sembravano inservibili e mancava l’energia elettrica. I depositi munizioni erano allagati per il principio d’incendio e la fiancata bucata sopra la linea di galleggiamento, mentre le armi erano ancora funzionanti. Erano stati colpiti ripetutamente anche il Marne e il Partridge, quest’ultimo con una macchina fuori uso. Tuttavia Marne, Ithuriel e Matchless furono mandati a raggiungere il convoglio, mentre il Partridge rimaneva ad assistere il Bedouin, iniziandone il rimorchio alle ore 9 verso la Tunisia, velocità cinque nodi. Durante l’ufficio funebre per i caduti, furono avvistati degli Stukas (bombardieri a tuffo), per cui le due unità di staccarono, verso le 13. Alle 14 furono avvistate navi italiane che aprirono il fuoco contro di loro “in modo irregolare”, per cui i britannici tentarono di difendersi con cortine fumogene. Il tiro italiano si interrompeva, probabilmente per le evoluzioni delle navi attaccate da Beaufighters. Sul Bedouin erano state riattivate le macchine e iniziava a muoversi, ma ecco l’imprevisto.
“ Alle 14.15 circa apparve un S 79 (aerosilurante Savoia Marchetti) attraverso al fumo a traverso a dritta e sganciò un siluro alla distanza di circa cinquecento metri. Gli sparammo con tutte le armi, eccetto i cannoni Y e sapemmo più tardi di averlo abbattuto, nostra unica vittima.”
Era un aerosilurante del gruppo Buscaglia, 132° Gruppo Aerosiluranti , 281° squadriglia, pilotato dal trentino Martino Aichner, di cui riprendiamo sotto la testimonianza. Il Comandante Scurfield raccontò che il Bedouin non poté fare niente per evitare il siluro, a parte seguirlo con gli occhi. “C’era giusto il tempo per gridare agli uomini di sgombrare il ponte nel punto dell’impatto; ma per due uomini già feriti e per quattro che lavoravano sotto coperta era troppo tardi… Cinque minuti dopo la nave affondò dolcemente e senza rumore.” Il mare era caldo e calmo ma col trascorrere delle ore si sentiva il freddo. Alle 20 ammarava un idrovolante italiano di soccorso, tutto bianco, salvando una decina di naufraghi. Più tardi intervenne una nave ospedale, che fu anche attaccata da quattro Fiat Cr 42. Alle 22.30, quando era ormai buio, erano tutti salvi, prigionieri degli italiani.
L'immagine ritrae probabilmente il caccia britannico Bedouin mentre sta per affondare (Rivista della Regia Aeronautica - Supplemento Speciale del 21 giungo 1942).
Il Gruppo Aerosilurante Buscaglia in azione
Aichner racconta che il Comandante Buscaglia la sera del 13 aveva riunito i suoi piloti, informandoli del loro compito di attaccare il convoglio proveniente da Gibilterra, con il preciso obiettivo di affondare i mercantili ed evitare le navi da guerra. Quattordici equipaggi decollarono da Gerbini e atterrarono a Castelvetrano. Aichner era molto emozionato alla vigilia del combattimento, ma fu costretto a cedere il suo velivolo a un altro equipaggio più esperto, che ne era sprovvisto. Nei giorni seguenti l’equipaggio di Aichner decollò da Gerbini, dopo aver caricato il siluro e si portò in zona di combattimento, senza assistenza della caccia. Si vedevano solo mercantili in fiamme o in procinto di affondare, contro cui non valeva la pena sprecare il siluro. Attraverso il fumo intravidero le navi nemiche e si diressero verso il bersaglio.
“Improvvisamente un urto…l’elica del motore sinistro diminuisce di giri…ma bisogna andare ancora più sotto…un altro colpo prende il motore centrale che si incendia e spruzza olio tutt’intorno e sul parabrezza…antincendio…mille metri, novecento, ottocento; come è lento il tempo! La mano di Aichner accarezza la leva di sgancio sul volantino,…Il siluro è stato sganciato, non c’è più tempo per virare, la gragnuola delle mitragliere nemiche ci prende in pieno. L’ala del nostro S 79 fiorisce di cento margherite: è il manto di compensato esploso dai proiettili. Sorvoliamo il cacciatorpediniere, perdiamo quota, il velivolo non regge più..”
Anche l’ultimo motore si fermò e furono costretti ad ammarare. Bisognava preoccuparsi del battellino gonfiabile, dei codici da affondare, dei viveri. Poco distante il cacciatorpediniere sollevava la prua e spariva sott’acqua. Riflessi del sole sulla superficie del mare: minuscoli frammenti di vetro galleggiavano tutti intorno. Fiamme e fumo in lontananza di una petroliera colpita. Nubi nere all’orizzonte per gli incendi. Un cacciatorpediniere britannico si stava avvicinando, poi si allontanò rapidamente per evidenti necessità operative. Anche l’aerosilurante affondava. Vennero sorvolati da uno Ju 88 tedesco. Più tardi ammarava un idrovolante, ma molto lontano, per altri naufraghi. Gli aviatori temevano che il velivolo di soccorso credesse di aver salvato loro e che venissero abbandonati (già razionavano i viveri). Al crepuscolo un Cant Z 506 ammarò vicino e li salvò. Ben presto Aichner fu davanti al Comandante Buscaglia a cui descrisse l’azione. Dovette giustificarsi per aver attaccato una unità da guerra invece dei previsti mercantili. Aichner affermò con sicurezza l’affondamento del caccia nemico, avendolo visto andare a fondo, ma non vi erano prove documentate che la causa fosse stata il siluro. In assenza di riscontri oggettivi prevalsero le certezze della Regia Marina di aver colpito il caccia, e l’affondamento fu attribuito agli incrociatori dell'Ammiraglio Da Zara. Ne seguirono celebrazioni e decorazioni, con grande risonanza (data la necessità di recuperare morale e fiducia, segnati da Taranto e Matapan).
Commenti
La conclusione del conflitto e la possibilità di scambiarsi precise informazioni fra le due parti permise di chiarire l’esatto svolgersi di molte azioni militari. Così Aichner ebbe la soddisfazione di vedersi attribuita correttamente la paternità dell’affondamento. Gli incrociatori della Settima Divisione avevano effettivamente colpito l’unità più volte e la Regia Marina era quindi legittimata nelle sue convinzioni. Inoltre il siluro aereo aveva potuto dare il colpo di grazia a un agilissimo cacciatorpediniere, proprio perché era già stato colpito e reso incapace di manovrare. In altre parole, Regia Marina e Regia Aeronautica avevano contribuito assieme al risultato. L’obiettivo di fermare gli italiani ad ogni costo testimonia l’importanza strategica di rifornire Malta. Allo stesso tempo, l’ordine agli aviatori italiani di mirare ai mercantili (bersagli meno esaltanti di una nave da guerra) testimonia una maturazione strategica e l’importanza di bloccare i rifornimenti. Anche il contemporaneo successo del siluramento aereo e delle artiglierie navali contro il Bedouin è una conferma della crescita in esperienza ed efficacia delle forze italiane. Questo è solo un episodio della battaglia di Mezzo Giugno 1942, eppure contiene tutti i sintomi di una evoluzione italiana che aveva colmato le lacune. Esaminare più da vicino i dettagli di una battaglia, freddamente registrata nei bollettini di guerra, è sicuramente interessante per vari motivi. Colpisce la determinazione del comandante britannico (fra l’altro, deceduto nel 1945) che manda all’annientamento la sua nave, avendo ben chiaro il suo compito. Allo stesso modo colpisce la determinazione dell’equipaggio italiano che si fa abbattere pur di colpire il bersaglio. Entrambe le parti in lotta vedevano il nemico come oggetto da colpire , che in realtà conteneva altri esseri umani impegnati nello stesso sforzo: i resoconti affiancati a guerra finita ci portano accanto ai protagonisti, senza distinzione.
Aichner ricordava alcune interessanti indicazioni del Comandante Buscaglia, sul siluramento aereo. Buscaglia sosteneva che convenisse compiere bene l’azione di siluramento, portandosi ad almeno 600-800 metri e non 1000-1500, perché la differenza di rischio non era sostanziale. Considerava come pericolo maggiore la caccia nemica, obbligata a tenersi fuori dalla portata delle mitragliere navali, sui due chilometri. Pertanto non cambiava molto portandosi a 800 o 1500 metri. Il siluro veniva sganciato a sessanta-ottanta metri di quota a 300-320 chilometri l’ora in perfetto assetto orizzontale. Erano precauzioni necessarie, perché il siluro aereo veniva sollecitato nell’entrata in acqua e aveva in più rispetto a quello navale un impennaggio per la stabilizzazione, che si perdeva all’impatto. I margini di tolleranza erano molto stretti. La differenza di velocità, passando dai 300 ai 70 chilometri l’ora del percorso marino del siluro, imponeva di lanciare vicino per abbreviare la corsa in mare, ma non si poteva farlo troppo perché il siluro compiva in acqua una sinusoide prima di stabilizzarsi e poteva passare sotto la chiglia del bersaglio. Non si doveva quindi arrivare a meno di cinquecento metri. Un lancio da 600 metri lasciava alla nave non più di venti secondi per schivarlo, pertanto un buon calcolo dell’angolo beta (per compensare lo spostamento dovuto alla velocità della nave) doveva far arrivare il siluro al centro del bersaglio. Buscaglia cercava di confondere i puntatori antiaerei della nave con un repertorio imprevedibile di impennate e virate, prima del momento stabile del lancio. Poi bisognava sfuggire con una virata piatta, senza mostrare alle armi contraeree una superficie troppo grande.
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