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Scrivici |Il giorno più lungo
- Twentieth Century Fox - 1962 - Autori vari - 48 star internazionali -
Il ponte di Ranville-Benouville (Pegasus Bridge) che fu conquistato dalla 6° divisione aerotrasportata britannica - Foto Trentoincina
Avvertiamo che possono esserci rivelazioni sulla trama e sul finale.
Il film
Rigoroso bianco e nero, invece del possibile colore, per un evento importante e drammatico: lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944. Il film è ripreso dal libro di Cornelius Ryan, un reportage ricco di aneddoti piuttosto che un romanzo storico. Eppure il resoconto delle storie che si intrecciano è presentato da una regia capace di costruire la tensione, in un crescendo avvincente. Il primo merito del film è quindi di fondere il ritmo narrativo con una buona fedeltà storica, perché quei fatti sono realmente avvenuti. Inoltre il continuo alternarsi di situazioni, mostrando i protagonisti, britannici, americani, francesi, tedeschi, fornisce un’immagine complessiva e articolata dell’impresa. E’ difficile rappresentare tanti ruoli, reparti, azioni, senza sacrificare qualcuno. E questo è un altro importante merito del film, di raccontare l’insieme col contributo di molti frammenti, senza privilegiare una storia in particolare. Impressionante la lista degli attori, molti dei quali si limitano a una breve apparizione, comunque di adeguato livello recitativo: Richard Burton, Robert Ryan, Henry Fonda, Robert Mitchum, Curt Jurgens, Robert Wagner,..e naturalmente John Wayne, a cui non si può non rispondere “forte e chiaro”. Buona anche l’ambientazione e le ricostruzioni, tenendo conto degli effetti possibili allora. La guerra è ricca di assurdità, affiancando momenti drammatici e curiosi, e anche in questo il film alterna drammi e successi, angosce e sollievi, nell’ininterrotto proseguire della giornata. A ogni tragedia individuale non vengono concessi che pochi secondi, come purtroppo avviene nella realtà, senza che vi sia un lieto fine per tutti quelli che lo meriterebbero. I molti caduti mostrano poco sangue e ferite, perché era nello standard dei film dell’epoca non esagerare con dettagli truculenti, visto che la guerra è già brutta così, senza aggiungervi altro. Se basta accennare la morte per trasmettere gli stati d’animo di chi rimane intorno, è tuttavia difficile descrivere in modo tanto essenziale gli errori strategici e le scelte vincenti. Il film riesce comunque a sottolineare anche i fondamentali momenti critici della giornata e la complessa dinamica che avrebbe portato al successo la forza d’invasione. In altre parole il film riesce sia a spiegare che a coinvolgere, e questo è un ennesimo merito. Ovviamente ci può essere qualche imprecisione o incompletezza, per chi si aspetta un documentario, ma questo è un film. Anche la fedeltà al libro può essere trasgredita per esigenze cinematografiche, ma solo quando necessario, come ad esempio per il paracadutista appeso che si finge morto: sono i compagni a liberarlo, anche se in realtà fu fatto prigioniero e liberato alla fine della guerra, ma il film doveva restare all’interno del giorno fatidico. In sintesi si tratta di un film che era destinato a passare alla Storia, assieme alle vicende narrate, le cui immagini torneranno in mente, consultando freddi libri e documenti.
Ostacoli antisbarco a Utah Beach - Foto Trentoincina
Altri film sullo sbarco
Non si può fare a meno di accostare “Il giorno più lungo” con “Salvate il soldato Ryan”, impegnati a distanza di decenni nel raccontare la stessa pagina di Storia. La differenza più evidente sta nel realismo e negli effetti, allineati però ai mezzi dell’epoca e alla tolleranza degli spettatori, vincoli non di stretta responsabilità dei film. Oltre questa rilevazione superficiale si coglie invece il differente approccio di chi racconta in modo efficace la verità e chi invece rende veritiera una storia individuale, tra gli sforzi di un vecchio film con una buona regia (che elabora la realtà) e gli sforzi degli effetti speciali di un film recente (che ambientano realisticamente una storia) . “Salvate il soldato Ryan” vuole coinvolgere con una storia fra tante, descritta diffusamente, arricchita di tutto quanto serve, compreso il finale. Inevitabilmente racconta soprattutto un punto di vista: non si vedono le altre forze alleate e i nemici sono solo ostacoli da eliminare. “Il giorno più lungo” vuole invece coinvolgere con il peso morale di uno scenario più vasto, accennando alle tante storie vere, guidate da un destino imprevedibile, con le incertezze dei difensori e degli invasori, dove non c’è un finale se non quello del giorno.
Autentico fantoccio paracadutato dagli alleati nella notte prima dello sbarco per disorientare il nemico - Foto Trentoincina
Lo sbarco come operazione militare
Da sempre la forza militare che vuole organizzare una difesa cerca di ricorrere all’aiuto di una barriera, meglio se naturale, perché già disponibile. In particolare, il passaggio dall’acqua alla terra, come la sponda di un fiume o la costa, rappresenta il punto ideale in cui attestarsi per fermare un’invasione. Il motivo è semplice: i mezzi di trasporto sull’acqua sono assai diversi da quelli su terra e il cambiamento penalizza l’invasore, lo rallenta, lo espone, mettendolo in condizioni di inferiorità. Inoltre la presenza di scogliere, argini, alture davanti a una riva spoglia e bassa, mette in posizione ancora più svantaggiata. L’invasore non ha ancora trincee o ripari e nemmeno ha un posto dove ritirarsi. Lo sbarco è quindi una operazione rischiosa e critica. L’invasore deve portarsi al più presto fuori dalla riva sul terreno normale, con armi e mezzi per fronteggiare alla pari l’avversario. Deve costruire subito la cosiddetta “testa di ponte” , ovvero la conquista e la difesa di un’area sufficiente a proteggere l’ulteriore arrivo di rifornimenti e rinforzi. Per contro il difensore deve sfruttare il temporaneo vantaggio e impedire subito che l’invasore si consolidi, superando ostacoli e barriere. Successo o meno di uno sbarco si decidono quasi sempre durante il primo giorno.
Durante la seconda guerra mondiale si svolsero molte operazioni di sbarco, anche di rilevanti dimensioni. Normalmente si scelgono zone ampie e pianeggianti come le spiagge. Poiché il nemico fa identico ragionamento, possono essere difese da ostacoli, mine e dal tiro di mitragliatrici o batterie in bunker, le cui posizioni ed entità devono essere oggetto di ricognizioni aeree e successivo studio da parte di chi sbarca. La forza di sbarco è costituita da navi da guerra e da trasporto che si portano davanti all’obiettivo. Le navi da guerra bombardano le fortificazioni costiere per ridurne l’efficacia, assieme alle forze aeree, ma l’effetto è sempre limitato. Lo sbarco avviene con piccole imbarcazioni apposite, senza chiglia e spaziose, capaci di arrivare fino a terra per depositarvi truppe e veicoli leggeri. La fanteria deve cercare di portarsi al riparo. Se vi sono ostacoli e mine, lo sbarco può essere preceduto da interventi di genieri. Poiché l’armamento individuale è di scarsa potenza, la fanteria viene talvolta appoggiata da veicoli anfibi e corazzati, dotati di armi maggiori. Comunque la mobilità della fanteria permette di insidiare prima o poi qualsiasi fortificazione fissa. Nella notte precedente lo sbarco sono possibili lanci di paracadutisti, o anche trasporti di truppe con alianti, nelle zone dietro la costa per attaccare la linea nemica di difesa, interrompere le comunicazioni od ostacolare l’afflusso dei suoi rinforzi. Anche eventuali promontori e rilievi di fianco alle zone di sbarco possono essere fortificate e armate, con pericolo per gli attaccanti, per cui devono essere conquistate e controllate.
Lo sbarco in Normandia
Fu la più grande e famosa operazione militare del conflitto mondiale, di grande complessità logistica ed organizzativa, per il volume di uomini e mezzi, per le tecnologie impiegate. I Tedeschi ritenevano che lo sbarco, ormai inevitabile, sarebbe avvenuto nel punto più stretto della Manica, tra Dover e Calais, zona concentrata e facilmente controllabile, che poteva essere fortemente difesa. Tuttavia venne fortificata anche la costa settentrionale della Francia, ovviamente in misura minore data la grande estensione. Le forze corazzate dovevano stare più distanti nell’interno per essere in grado di raggiungere una zona più vasta, non potendo prevedere il punto esatto di sbarco. Di conseguenza gli Alleati valutarono pro e contro di una zona più lontana da raggiungere, ma meno difesa, dove ci fosse minore attesa da parte del nemico e sufficiente tempo e spazio di manovra. La possibilità di costruire porti prefabbricati collocabili ovunque e stendere un lungo oleodotto sul fondo della Manica per pompare il carburante non rendeva necessario essere vincolati da porti adeguati al flusso d’invasione nei giorni successivi. Le dimensioni dello sforzo, che non ammetteva insuccessi, l’accurata preparazione e la segretezza sulla zona prescelta furono elementi determinanti per la riuscita. Il grande significato implicito del D Day, operazione concentrata nel tempo e nel luogo, spesso oscura la dura battaglia che si svolse nell'estate del 1944 nel retroterra: la battaglia di Normandia.
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