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Scrivici |Corazzate Vittorio Veneto - II - Armamento
Le corazzate Littorio e Vittorio Veneto nel 1940 (7 anni di guerra).
Corazzatura
Per la difesa passiva dai colpi si scelse di usare una corazza composita, fatta cioè di due strati di cui il primo impegnava il proiettile e il successivo lo fermava, deviandolo o permettendo lo sfogo dell’esplosione al di fuori delle parti vitali. Le corazze giocavano anche sull’inclinazione per diminuire l’angolo del colpo e smorzarne la forza di penetrazione. Bisognava inoltre frenare i danni causati dalle schegge con paratie di minor spessore, collocate nella più efficace posizione. La protezione laterale del ridotto corazzato raggiungeva i 35 cm, che diminuivano verso poppa e verso prora a 10 e 6 cm. La protezione orizzontale era ottenuta con tre ponti corazzati. Il ponte principale (di 1° corridoio) aveva 10 cm di spessore che divenivano 15 sopra i depositi munizioni, diminuendo verso le estremità. Anche il superiore ponte di castello, sopra il ridotto, aveva 3,6 cm di acciaio. Il ponte inferiore (di 2° corridoio) a poppa, per proteggere le parti fuori dal ridotto aveva uno spessore di 10 cm e struttura a schiena d’asino. Le torri trinate delle artiglierie avevano una corazza frontale di 38 cm e di 20 cm sul fianco. Date le dimensioni era logico che una sola torre trinata pesasse 1.500 tonnellate. Anche le artiglierie secondarie avevano una corazza frontale di 28 cm e 13 cm sul fianco. Il torrione di comando, alto, esposto, ma essenziale per la guida e direzione delle operazioni, era protetto da lastre di 26 cm di spessore. Ovviamente anche trasmissioni, cavi, collegamenti passavano attraverso condotti adeguatamente corazzati. Il peso complessivo della corazzatura superava le quattordicimila tonnellate, più di un terzo del peso della nave.
Armamento principale
Per le artiglierie principali si scelse il diffuso e collaudato calibro 381 mm, che assicurava un ottimo compromesso tra potenza e peso, con una buona celerità di tiro. Si poteva così dotare la nave di nove pezzi suddivisi in tre torri, due a prora e una a poppa. Due torri potevano essere usate per il tiro in caccia (all’inseguimento), tre per il tiro al traverso (con un pari avversario), una per il tiro in ritirata. 9 pezzi da 381/50 (lunghi cioè 50 volte il calibro, ovvero 50 x381 = 19 metri ). Ogni cannone, del peso di circa cento tonnellate, era composto di quattro pezzi di grandezza variabile uniti a caldo, mentre l’anima dotata della rigatura elicoidale era inserita con un minimo di giuoco e bloccata con chiavarde (per la sostituzione dopo l’usura). Ogni cannone aveva culatta, otturatore, congegno di sparo, scacciafumo, quattro freni ricuperatori, e alloggiava nella sua culla. Ogni torre aveva quindi tre cannoni con le loro masse oscillanti, con elevazione indipendente, anche se il brandeggio (rotazione e spostamento laterale) era unico. Le munizioni erano costituite dalle cariche (per il lancio) e dai proiettili (destinati al bersaglio) che erano custoditi in piani separati del Deposito Munizioni, ambiente isolato termicamente e refrigerato con aria condizionata. Per il 381 la scorta era di 495 proiettili perforanti e 171 granate dirompenti, con 4320 cariche (sei per proiettile), conservate in cartocceri. Una paratia di sicurezza separava il deposito dai pozzi (colonne) sottostanti alle torri, per evitare pericolose propagazioni di incendi o effetti di esplosioni in combattimento. I proiettili venivano prelevati con un paranco, collocati sul banco di attesa, da cui scivolavano nella giostra alla base della torre, che li passava nell’elevatore, da cui venivano trasportati in alto. Anche i cartocceri venivano tramite bussola portati nel locale manipolazione cariche dove queste erano estratte e con modalità simile passate alla giostra ed elevatore. Proiettili e cariche, tramite banco di attesa ed elevatori di caricamento venivano portati nelle camere, presentati tramite cucchiaie alle culatte. Con i pezzi riportati a 15°, si apriva l’otturatore con congegno idropneumatico, e un calcatoio inseriva il proiettile. Poi era la volta di tre cariche, e ancora tre, a cui seguiva la chiusura. Bloccaggi e lampadine spia garantivano i corretti passaggi mentre porte automatiche garantivano la tenuta antifiamma. Erano necessari 45 secondi per ogni colpo. Quasi tutte le operazioni erano motorizzate ma erano eseguibili in modo manuale, in caso di avaria. La centrale di tiro principale, posta sotto il ponte protetto tra le due torri di prora, disponeva di una centrale automatica S.Giorgio per l’elaborazione dei dati, oltre ad ampia strumentazione. In cima al torrione, a trenta metri sul mare, era la direzione tiro, con a lato le plancette delle vedette e sopra l’apparecchio di punteria generale e il comando per far partire le salve. Questa direzione era collegata con la sottostante torretta telemetrica, dotata di due grandi telemetri da sette metri (uno stereo e uno a coincidenza). Più in basso vi era un’altra torretta telemetrica tattica di supporto. Per il noto principio di garantire le funzioni anche in caso di gravi danni, esisteva una seconda direzione tiro come pure la possibilità di dirigere il tiro in modo indipendente per singola torre.
Altre armi e difese
L’armamento minore antisilurante era costituito da 12 cannoni da 152/55 mm distribuiti in quattro torri trinate suddivise sui due lati. Le operazioni di rifornimento e tiro erano abbastanza simili ai grossi calibri. L’armamento antiaereo principale era rappresentato da 12 cannoni da 90/50 mm, in torrette singole stabilizzate, per compensare i movimenti della nave. Le armi automatiche contraeree erano 4 mitragliere da 37/54 mm in impianti singoli, 16 mitragliere da 37/54 mm in impianti binati, 16 mitragliere da 20/65 mm in impianti binati. Col proseguire del conflitto le 16 mitragliere da 20 mm furono portate a 28 o 32. Vi erano 2 vedette di scoperta navale lontana per i grossi calibri, 6 vedette stabilizzate per lato di scoperta navale ravvicinata, 5 vedette contraeree stabilizzate. Per i fumogeni in navigazione si disponeva di otto gruppi abbinati ai fumaioli, più quattro a nafta collocati a poppa. Vennero inoltre introdotti 6 apparecchi nebbiogeni a cloridrina. La nave disponeva di due sistemi per il dragaggio autoprotettivo mine in corsa. Venivano imbarcati 3 aerei da ricognizione, che venivano lanciati da una catapulta. Gli idrovolanti inizialmente impiegati, tre Ro 43 (destinati alla sola ricognizione), vennero in seguito sostituiti da due caccia Reggiane Re 2000, più veloci e capaci di contrastare eventuali aerosiluranti, essendo comunque destinati a rientrare nelle basi a terra. Per la visione notturna si potevano utilizzare quattro proiettori da 150 cm e due minori. Per quanto concerne il radar, fu introdotto solo sulla Littorio nel 1941, arrivando alla fine del 1942 con prestazioni paragonabili a quelle tedesche. Tutte le corazzate di questa classe furono dotate di radar solo nell’estate del 1943.
Pregi e difetti delle corazzate V V
Sembra che il principale difetto strutturale fosse il tunnel dei cavi elettrici che correva lungo tutta la nave con le diramazioni per ogni zona, collocato sul fondo dello scafo. La nave era stata concepita quando tale posizione sembrava la più sicura: ancora non esistevano i siluri magnetici in grado di esplodere per prossimità, passando sotto la chiglia. Ma questo punto debole non risultò mai critico. Anche la già citata forma della prora venne risolta e non costituì un problema. Come strumenti di rilevazione e comunicazioni, le corazzate furono dotate piuttosto tardi di un radar (con tutti i problemi e rischi di questa lacuna) e avevano insufficienti trasmissioni radio a breve distanza con le altre unità di squadra, richiedendo la criptazione, con evidente rallentamento nello scambiarsi messaggi. Riguardo alle armi, la dispersione dei colpi di grosso calibro (dovuti a eccessive variazioni nello standard delle munizioni) limitava l’efficacia. Erano comunque limitazioni generali, comuni a gran parte delle unità della Regia Marina. Dal punto di vista delle proprietà intrinseche alle navi, i vantaggi delle corazzate Vittorio Veneto erano notevoli. La velocità di trenta nodi, superiore alle navi britanniche, consentiva di fatto di poter imporre il combattimento se vi era vantaggio o interromperlo se vi era inferiorità tattica, decidendo al momento, libertà che nessun antagonista aveva. Tale velocità poteva mettere in difficoltà anche veloci incrociatori che non avessero condizioni di macchina perfette. I calibri maggiori delle Vittorio Veneto avevano 42 chilometri di gittata massima e godevano di alcuni chilometri di vantaggio in cui potevano bersagliare il nemico, prima che questo potesse rispondere. La modernità di concezione e purezza di progetto aveva eliminato in partenza soluzioni di adattamento, tipiche di altre navi da battaglia ristrutturate. A parte il caso particolare della Roma, le corazzate “V.V.” furono messe alla prova, incassando siluri e bombe, potendo sempre rientrare alla base con i propri mezzi.
Continua...
Informazioni provenienti da: Corazzate classe Vittorio Veneto - Franco Bargoni e Franco Gay - Edizioni Bizzarri - Roma 1973.
Più recente e reperibile è "Le Navi da battaglia Classe Littorio 1937-1948" - Bagnasco, De Toro -Ed. Albertelli.
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