Post
  | Home |
Database |
Cerca nel sito |
Novità |
Mappa del sito |
Bibliografia |
Scrivici |Bengasi – una giornata di guerra nel 1940
- In Libia, tra il 16 e 17 settembre 1940. -
Il rapporto di Marilibia. Bengasi nella Cirenaica (Libia)su una cartina della Consociazione Turistica Italiana (1940). Una immagine del porto di Bengasi, in realtà dopo l'occupazione britannica (7 anni di guerra).
Ringraziamo il Maresciallo Cappelluti per la collaborazione e le informazioni fornite. Ringraziamo inoltre Salvatore Nereo Davide Salerno per l'immagine dell'Aquilone.
Dalla sera del 16.
E’ una sera di metà settembre del 1940, la guerra è iniziata da pochi mesi, a Bengasi in Libia. Alle 21.15 del 16 la DICAT (Difesa Contraerea territoriale) e le navi in porto vengono messe in allarme da un bombardamento all’aeroporto di Benina, a soli 30 chilometri. Ci si domanda se gli aerei britannici arriveranno anche lì. Scende il buio e rimane l’inquietudine nella notte africana. Un’ora dopo mezzanotte (ore 00.57 del 17) il porto di Bengasi viene bombardato dall’aviazione inglese, senza che vi sia alcun preavviso da parte della rete di avvistamento. Leggendo il rapporto originale, seguiamo gli eventi e la ricostruzione da parte della Regia Marina – Marilibia di una “normale” azione nemica e della giornata seguente.
L’attacco viene effettuato da tre bombardieri provenienti dal mare. Uno di essi viene visto da un testimone, mentre getta un ordigno in acqua davanti al porto. Prima che venga dato l’allarme e la contraerea della piazza inizi a sparare, la torpediniera Cigno apre il fuoco contro uno dei velivoli. Ma gli altri due sorvolano la Regia Nave Ospedale California, con rotta parallela al molo sottoflutto e colpiscono con delle bombe il piroscafo Gloriastella e la torpediniera Cigno.
Sulla Cigno la bomba esplode sul copertino del castello, a sinistra vicino alla murata, proprio mentre il personale usciva dai due passaggi del sottocastello, per raggiungere il posto di combattimento. A causa dell’affollamento l’esplosione provoca molte vittime.
Nello stesso momento il velivolo isolato sorvola il molo foraneo lanciando delle bombe che mancano il Maria Eugenia, ma colpiscono il rimorchiatore Salvatore Primo e il pontone biga Giuliana. Tornando verso il mare questo bombardiere colpisce il cacciatorpediniere Borea e il piroscafo Maria Eugenia.
Un attimo prima una bomba era caduta tra il Borea e la motonave Città di Livorno, ormeggiata alla sua dritta. Una bomba colpisce in pieno il Borea sulla battagliola della plancetta della mitragliera di sinistra e attraversa la nave scoppiandole sott’acqua. Il cacciatorpediniere affonda rapidamente a causa della falla. La maggior parte dell’equipaggio riesce a scendere ordinatamente a terra dalla passerella. Altri si gettano in mare e nuotano verso il caccia Aquilone che si trova vicino. Il Borea ha la chiglia rotta e si adagia sul fondo, con la poppa e il castello che rimangono affioranti. L’equipaggio viene inquadrato e condotto nei rifugi. Manca all’appello un fuochista che probabilmente dormiva presso la caldaia 3, vicina al punto dello scoppio.
Cacciatorpediniere Aquilone (collezione Salerno).
Dall'alba del 17.
Arriva l’alba e si controllano i danni dell’attacco. Il cacciatorpediniere Borea affondato, la torpediniera Cigno colpita, un rimorchiatore e un pontone danneggiati, i piroscafi Gloriastella e Maria Eugenia in fiamme e “circondati da un vero mare di nafta”, come descritto nel rapporto, con gravi rischi. Inoltre il porto di Bengasi è congestionato dal traffico mercantile e militare, oltre che esposto ad altri attacchi. E’ pertanto necessario che si allontanino le navi la cui presenza non è necessaria.
Alle 11.38 la motonave Francesco Barbaro, scortata dalla torpediniera Cascino esce dal porto per trasferirsi a Tripoli. Ma appena uscita salta su una mina. Assistita dai rimorchiatori, viene portata subito nel bacino di ponente a posarsi sul fondo. La zona vicina al porto, soggetta a periodico dragaggio, è stata evidentemente minata da un aereo della sera precedente. Marilibia ordina quindi un accurato dragaggio di una zona lontana da quella sospetta, che viene effettuato nel pomeriggio stesso, delimitandola con un gavitello (fondo 7 metri) e ordinando a tutte le navi in uscita di tenersene a sinistra.
I cacciatorpediniere Turbine e Aquilone ricevono l’ordine di trasferirsi a Tripoli e mollano gli ormeggi alle 20.15, avanti il Turbine e dietro l’Aquilone. A bordo dell’Aquilone si trova il Sottocapo segnalatore Leonardo Pepe. Alle 20.45, circa un miglio dopo il gavitello, l’Aquilone salta su due mine in rapida successione, e sbanda sulla sinistra. Le esplosioni vengono sentite da tutti ma non è possibile individuarne la causa, si pensa a un attacco aereo, la tensione è alta. A terra entra in azione l’artiglieria contraerea. Il Turbine aumenta subito la velocità a venti nodi e inizia a zigzagare, poi riduce e tenta di chiamare l’Aquilone, che non risponde. Poiché vorrebbe tornare indietro, Marilibia (che ha già disposto l’uscita di mezzi di soccorso) ordina invece di proseguire per evitare che anch’esso possa incappare in qualche mina.
Sull’Aquilone sbandato di ben 90° a sinistra, la situazione è grave. Una mina ha colpito la poppa e una la zona centrale, all’altezza del telemetro poppiero. Il Comandante ordina di portarsi in costa, di spegnere le caldaie, allagare la Santa Barbara poppiera, mettere a mare le imbarcazioni. Ma il timone è incatastato. La nave si raddrizza, forse toccando il fondo a 15 metri, e affonda in 5 minuti, rimanendo con le sole estremità degli alberi fuor d’acqua. L’esplosione ha fatto cadere in mare le bombe da getto antisom di dritta, che per fortuna non esplodono per la limitata profondità. Anche alcuni uomini sono stati sbalzati in mare dallo scoppio, che ha reso inservibili due zatteroni. Il mare è agitato e il battello che è stato calato, si rovescia. L’abbandono nave avviene con ordine e con vittime limitate, nonostante le onde, l’oscurità e la molta nafta intorno alla nave. Il Comandante rimane sulla nave, rincuorando l’equipaggio, arrampicandosi sulle parti emergenti, dove rimane aggrappato finché non viene portato via da un’onda. Rimane due ore e mezza alle deriva e viene salvato dalla baleniera dell’Abba. Su questa imbarcazione coordina le ricerche, già in corso con varie unità sotto la guida del Comandante di Marina Bengasi, fino alle ore 2. Il Comandante dell’Aquilone accerta infine il ricovero dei superstiti sulla Nave ospedale California e presso l’Ospedale Coloniale. Le perdite sono state di 4 morti, 9 dispersi, 20 feriti, questi ultimi principalmente sbattuti dall’esplosione contro le strutture della nave.
Il giorno dopo Marilibia viene a conoscenza della testimonianza sul probabile lancio mine effettuato da un bombardiere. Poiché si sa che è possibile trasportarne solo una per velivolo, si deduce che in realtà tutti e tre gli aerei hanno effettuato un passaggio in prossimità del porto per deporre le mine, prima dell’attacco che è stato molto breve e condotto a bassa quota. Si sono verificate tre esplosioni e le ricerche, insieme col dragaggio non ne hanno rivelate altre.
Da Marilibia Bengasi viene richiesto a Supermarina di rimpatriare tutto lo Stato Maggiore e l’equipaggio dei due cacciatorpediniere affondati, Borea e Aquilone. Viene accordata una licenza di 10 giorni. Tra i superstiti dell’Aquilone si trova anche il Sottocapo Leonardo Pepe. Ma il suo destino è segnato: si troverà a bordo dell’Incrociatore Zara nella tragica notte di Matapan. Riuscirà ad abbandonare la nave, ma la sua zattera non sarà trovata in tempo dai soccorritori.
Comunicazioni cifrate tra Marilibia e Supermarina.
Commento
In poco più di 24 ore accaddero diversi fatti che evidenziano e riassumono molti aspetti di quel teatro di guerra.
Se era pericoloso l’attraversamento del mediterraneo, le navi non erano al sicuro nemmeno quando sostavano in porto. La concentrazione e immobilità in un luogo conosciuto ne faceva un obiettivo ideale per l’aviazione, mentre i passaggi obbligati erano adatti alle insidie delle mine. Bengasi si trovava nella zona orientale della Libia, la Cirenaica, più vicina alle forze armate italiane impegnate verso l’Egitto, vantaggiosa per farvi affluire rifornimenti e materiali, evitando un lungo e dispendioso trasporto da Tripoli di migliaia di tonnellate lungo la litoranea. Bengasi era però poco difendibile e il porto risultava affollato dai mercantili, in coda per scaricare, assieme alla loro scorta di navi militari. Il volume di traffico era considerevole anche perché l’entrata in guerra era avvenuta prima di aver portato in Africa il necessario per le intenzioni belliche. Sin dai primi mesi di guerra i britannici iniziarono a colpire questi obiettivi, con significativi risultati. L’attacco aereo del 17 settembre 1940, con soli 3 velivoli, portò alla perdita di 4 navi: due mercantili e due cacciatorpediniere, oltre ad altri danneggiamenti. Fu un attacco veloce ed efficace. Gli equipaggi nemici dovevano essere ben addestrati alle operazioni notturne e anche preparati a quella azione, sapevano dove e come colpire, avevano gli ordigni adatti, bombe e mine che non furono sprecate. Purtroppo la difesa italiana (vedette, contraerea territoriale e delle navi) risultò inefficace: non riuscì ad abbattere alcun aereo e nemmeno ad avvistarli prima, per prepararsi a reagire. Però gli equipaggi delle navi affondate si comportarono in modo ordinato, assistiti da ufficiali che mostrarono senso del dovere, con perdite tutto sommato limitate, principale aspetto favorevole di affondamenti in prossimità di un porto. Furono tempestivi sia i soccorsi che il tentativo di dragaggio, quando fu chiara la presenza di nuove mine. Il dragaggio era una frequente e periodica necessità, attuato con piccole unità e imbarcazioni requisite, ma il tempo limitato poteva rendere la bonifica sommaria e incompleta. Sorprende che tutte e tre le mine abbiano servito al loro scopo in poche ore (forse ce ne erano delle altre).
Nota: secondo fonti web, l'attacco sarebbe stato effettuato da velivoli imbarcati della portaerei Illustrious, in un raid contro Bengasi, scortata da numerose unità tra cui la nave da battaglia Valiant, 4 incrociatori e 9 caccia. In quel periodo la Illustrious era dotata di velivoli Fulmar e Swordish: questi ultimi avrebbero condotto l'attacco. Il Borea viene indicato come "silurato", ma per quanto osservato direttamente è più probabile che sia stata una bomba. Non si trovano indicazioni del numero di velivoli impiegati e data la limitata portata dei biplani Swordfish, si può anche pensare che potessero essere più di tre (in fondo, non furono avvistati nella notte). Parte della formazione navale britannica avrebbe proseguito per bombardare posizioni nemiche a Bardia, ma l'incrociatore Kent fu colpito e gravemente danneggiato
da aerosiluranti italiani; fu poi salvato tramite rimorchio.
Concludiamo sottolineando che questo era un solo giorno di guerra fra tanti. Anche le altre navi che abbiamo citato, e che sopravvissero all’attacco, erano destinate ad essere perdute nel corso del conflitto.
Indicazione delle perdite sulla lista dei membri dell'equipaggio.
La sorte delle altri navi.
Borea e Aquilone furono perduti, ma cosa accadde alle altre navi?
La torpediniera Cigno fu colpita ancora il 17/7/1941, sempre da una bomba nel porto di Bengasi, con 24 morti e 15 feriti. Affondò in combattimento nella notte del 16 aprile 1943, con la morte della maggior parte dell’equipaggio, mentre i britannici furono costretti ad autoaffondare un cacciatorpediniere da lei colpito.
Il Gloriastella (5490 ton.) e il Maria Eugenia (4702 ton.) affondarono in porto e vennero poi recuperati dai britannici, dopo la conquista della zona.
La motonave Città di Livorno fu silurata e affondata in navigazione presso Creta dal sommergible Porpoise il 18/1/1942.
Il rimorchiatore Salvatore Primo fu affondato a Palermo per attacco aereo il 25 settembre 1941, recuperato e nuovamente affondato presso Capo Figari, in Sardegna, da aerosiluranti il 21 giugno 1943.
La Nave Ospedale California fu colpita a Siracusa da aerosilurante nella notte tra il 10 e 11 agosto 1941. Portata in secca per evitare l’affondamento, fu poi perduta definitivamente.
La motonave Francesco Barbaro fu gravemente danneggiata da un siluro il 3/9/1941. Un anno dopo, il 27/9/1942, in navigazione da Brindisi a Bengasi, fu silurata dal sommergibile Umbra. Fu tentato il rimorchio ma affondò per un incendio e successiva esplosione.
Il cacciatorpediniere Turbine fu catturato dai tedeschi al Pireo dopo l’armistizio. Ridenominato TA-14, fu affondato il 15/9/1944.
347