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Scrivici |Le compagnie di navigazione italiane
- Evoluzione delle navi passeggeri in Italia tra ottocento e novecento -
"Il piroscafo Vincenzo Florio" , quadro ad olio di Anthony Jacobsen che ritrae il primo piroscafo italiano costruito per la rotta di New York (1880).
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Unità d’Italia e marina mercantile a vapore
Gli Italiani, aiutati nel loro rapporto col mare dalla posizione geografica nelle favorevoli condizioni del Mediterraneo, sono sempre stati marinai e navigatori, solcando gli oceani e scrivendone la Storia. Il crescere dei traffici marittimi, realizzato per secoli con la vela, aveva incontrato limiti di carico, velocità, regolarità, che vennero superati dall’introduzione della navigazione a vapore nel corso dell’ottocento.
Ma il nuovo tipo di propulsione con piroscafi sempre più grandi, con percorrenze lunghe e sistematiche, richiedeva notevoli investimenti iniziali e costi di mantenimento per garantire linee regolari, ovvero risorse finanziarie e solidità da nazioni europee, requisiti poco adatti ai piccoli stati italiani dell’epoca. Questo spiega il relativo ritardo delle flotte italiane nel consolidare la loro presenza sulle rotte internazionali, anche se armatori italiani, come Florio in Sicilia e Rubattino a Genova, già credevano e investivano nel futuro della navigazione transatlantica e transoceanica.
Nel 1860, al tempo dell’unificazione italiana, l’Italia disponeva per il trasporto di merci e persone di circa novemila navi a vela e soltanto 57 a vapore, equamente divise tra Regno di Sardegna e Regno delle Due Sicilie. Con l’unione del Paese e di queste regioni, nasceva di fatto la marina mercantile italiana, sotto la bandiera tricolore. L’affermarsi della giovane nazione, la crescente dinamicità dei traffici e l’apertura di Suez nel 1869, portavano nuove opportunità.
Passeggeri ed emigranti
La partecipazione italiana al traffico transatlantico riceveva impulso tra il 1880 e la Grande Guerra con l’emigrazione di 14 milioni di italiani, soprattutto verso le Americhe, dal Nord Italia verso l’ America latina e dal Sud Italia verso il Nord America. Questo volume costante di passeggeri, sia pure popolare, costituiva una base importante su cui impostare viaggi regolari a cui aderivano altri tipi di clientela. Così ogni piroscafo aveva varie classi, con differenti servizi e comfort. Quando i passeggeri emigranti si sarebbero ridotti, nel frattempo sarebbero aumentati i passeggeri di fascia più alta, cambiando struttura, servizi e personale delle navi.
Se il Regina Margherita del 1884 aveva 250 posti di lusso e 1200 per gli emigranti, il Duilio nel 1923 aveva 273, 300, 900 passeggeri in prima, seconda, e terza classe (emigranti), mentre il Victoria nel 1932 ne avrebbe avuti 239, 145, 100, 82 (quarta classe), a dimostrazione di quanto sarebbe cambiata la domanda.
Armatori dalle alterne fortune
La capacità di attrarre passeggeri dipendeva dalle dimensioni e caratteristiche della nave, la cui efficienza e grandezza rappresentava un investimento ma anche esposizione e rischio per l’armatore.
Mentre all’inizio gli armatori commissionavano spesso le navi a cantieri stranieri, la crescita di esperienza e capacità dei cantieri italiani permise la costruzione in Italia delle navi più prestigiose. L’indebitamento, e le difficoltà finanziarie nell’armare navi sempre maggiori e mantenerle, quando la realtà non rispettava le attese, portavano talvolta le compagnie alla crisi, in cui si addentravano in modo irreversibile prima di perdere speranza, per cui alcune fallivano, venivano chiuse o assorbite, con le navi che cambiavano proprietario.
Il finire dell’ottocento vedeva quindi iniziative che ripartivano dalle sfortune di altri. Alle acquisizioni si sommava il rilancio con commesse di nuove costruzioni, con nuovi rischi in uno scenario sempre mutevole ma ricorrente, tra entusiasmi e avversità che rendevano viva la presenza italiana sulle rotte del mondo.
Pubblicità che rappresentava l'offerta congiunta dei transatlantici italiani - anni trenta.
Le compagnie italiane tra ottocento e novecento
I Florio, celebre famiglia dell’imprenditoria siciliana, avevano iniziato l’attività intorno al 1830 ed erano stati all’avanguardia nella navigazione a vapore, arrivando a possedere 5 piroscafi nel 1860.
Al nord Raffaele Rubattino, iniziando dal noleggio marittimo investì nella navigazione, dapprima in Mediterraneo, poi entrando dal 1852 sulle rotte transatlantiche, concludendo infine l’attività nel 1857 per fallimento, ma Rubattino avrebbe avuto un ruolo famoso nella spedizione dei Mille.
Anche altri nomi meno conosciuti come Lavarello, Bruzzo, Cerruti, Oneto, Piaggio, Raggio, Peirano, Danovaro, Lazzaroni, con alterne fortune e continuità contribuirono alla crescita mercantile e marinara del Paese, con le loro navi che passavano nelle flotte di altri armatori.
Dopo l’Unità le sovvenzioni statali alle sole compagnie efficienti escludevano le altre, che fallivano o chiudevano. Tra il 1873 e il 1877 Florio acquisiva 13 piroscafi dal fallimento della Trinacria e 10 piroscafi di Peirano-Danovaro, mentre altri 5 della stessa società andavano a Rubattino, che assorbiva anche il Lloyd italiano. Florio e Rubattino costruirono quindi flotte considerevoli in concorrenza con altri armatori minori. Cerruti e Oneto avevano concluso le loro attività nel 1872 e 1876. Lavarello, che aveva iniziato nel 1863 con i clipper a elica (compromesso tra vela e vapore), nel 1883 si trovò in difficoltà per un naufragio, e i soci ne rilevarono l’attività fondando la compagnia La Veloce, nome derivante dal primato del piroscafo che avrebbe collegato il Sud America.
Il fatto significativo era la nascita della Navigazione Generale Italiana di Genova, NGI (1881),con la fusione di Florio e Rubattino che contava 81 piroscafi. Nel 1885 anche Piaggio e Raggio avrebbero portato alla Navigazione Generale Italiana rispettivamente 5 e 12 piroscafi. Sul finire del secolo operavano anche le compagnie straniere e nel primo decennio del secolo si svolsero conferenze per la regolamentazione delle quote dei traffici. La Veloce ormai in difficoltà passava sotto il controllo della Navigazione Generale Italiana.
La Grande Guerra del 1915-1918 avrebbe comportato una diminuzione del traffico e il dimezzamento della flotta mercantile italiana, colpita dai sommergibili avversari. Al termine del conflitto l’attività riprendeva con rinnovata energia. La Veloce, decimata, sarebbe stata liquidata e assorbita più tardi dalla NGI (1925). Tra le due guerre mondiali operavano anche Lloyd sabaudo di Genova e Cosulich Line di Trieste che poi si sarebbero fusi assieme (con 8 e 18 navi rispettivamente), e il Lloyd triestino, discendente dal Lloyd austriaco, che avrebbe servito Sud Africa ed Estremo Oriente, a scapito delle linee britanniche.
Varo del transatlantico Conte di Savoia a Trieste nel 1931. In primo piano si vedono i pompieri che raffreddano con la manichetta il sego lubrificante, per evitare che prenda fuoco. Da la "La Nave" - Estratto dal volume XXIV della Enciclopedia Italiana (Treccani) - 1935
La grande stagione transatlantica italiana
Tra anni venti e trenta del novecento la maturità delle flotte italiane era rappresentata dall’entrata in servizio di grandi transatlantici.
Il Lloyd Sabaudo schierava Conte Rosso, Conte Verde, Conte Grande, Conte Biancamano, e Conte di Savoia (tutti celebri personaggi di Casa Savoia, secondo la tradizione).
La NGI presentava Orazio, Virgilio, Giulio Cesare, Duilio, Esperia, Roma, Augustus, e il celebre Rex. La Cosulich Line con Saturnia, Vulcania , Victoria, e ancora Neptunia e Oceania.
Certamente il culmine fu rappresentato dalla competizione tra il Rex della Navigazione Generale Italiana e il Conte di Savoia del Lloyd Sabaudo. Mentre il primo divenne più famoso per aver battuto il record transatlantico del Nastro Azzurro, il secondo lo aveva mancato di poco ed era invece preferito dalle star internazionali.
Il Rex aveva attraversato l’Atlantico in 4 giorni, 13 ore, 58 minuti alla media di 28,92 nodi (più di 53 km all’ora), suonando alla fine la sirena perché ognuno stesse lontano dalle sue cinquantamila tonnellate lanciate nella nebbia.
Il Conte di Savoia aveva giganteschi girostabilizzatori da centinaia di tonnellate che compensavano le onde, presentandosi come la “nave che non rolla”, un comfort che era costato il record.
Se la concorrenza straniera varava navi più grandi, la genialità italiana aveva compensato lo svantaggio della partenza dal Mediterraneo con rotte più meridionali e piacevoli (la Southern Route), dove il viaggio diventava svago e crociera, invece del freddo e severità delle navi di linea britanniche, francesi, tedesche. Anche lo stile italiano, la vita all’aria aperta, l’eleganza e la classe degli interni, la raffinatezza e i piaceri della tavola, il continuo richiamo all’arte e bellezza dell’Italia, la purezza di linee delle navi, creavano un ambiente suggestivo che sembrava non avere rivali. L’aver varato navi simili nella crisi mondiale era un fatto italiano che faceva impressione.
La grande stagione dei transatlantici italiani richiedeva comunque la considerazione di una maggiore razionalizzazione ed efficienza. Nel 1932 il fascismo imponeva una convergenza delle tre maggiori compagnie NGI, Lloyd Sabaudo, Cosulich, sotto l’Italia Flotte Riunite. Nel 1936 la Società Nazionale Finanziaria Marittima, meglio conosciuta come Finmare, includeva con la Italia Flotte Riunite anche Lloyd Triestino, Adriatica di Venezia e Tirrenia di Napoli, ed altre minori, nella Italia Società Anonima di Navigazione.
Nel 1939 all’inizio del conflitto mondiale scomparivano dalle rotte i grandi transatlantici europei e rimanevano solo quelli italiani. Ma l'anno dopo l'Italia entrava in guerra e gran parte della flotta passeggeri rimaneva bloccata o perduta (al di fuori del mediterraneo).
Celebri transatlantici italiani venivano usati dal nemico per trasporto truppe, rovinandoli e distruggendone gli interni. Quelli che rimanevano in mani italiane veniva riconvertiti all’uso bellico, per trasporto truppe o profughi o feriti. I più grandi come il Rex non potevano essere utilizzati e si cercò di tenerli in disparte, ma non fu possibile proteggerli. Tra catture, affondamenti o distruzioni, della grandiosa flotta passeggeri sarebbe rimasto poco alla fine della guerra. Nella maggioranza dei casi rimanevano relitti semiaffondati, scafi da ricostruire, miniere di ferro da demolire.
Nonostante ciò la cantieristica italiana riprese l’attività nel dopoguerra e furono messi in servizio altri celebri transatlantici nei decenni successivi, prima che una nuova crisi di competitività diminuisse il trasporto nautico sulle grandi distanze, in favore dell’aviazione.
Alcune cifre
Nel 1914 la flotta mercantile italiana era di 1.530.000 tonnellate. Al termine della Prima Guerra Mondiale erano state affondate ben 880.000 tonnellate (il 57,5 %).
Nel 1922 la flotta era ricostituita e contava 2.866.000 tonnellate, nel 1925 3.566.000 tonnellate. Superata la crisi del ’29, nel 1938 la flotta era sostanzialmente identica come tonnellaggio, 3.433.000, ma la composizione era radicalmente diversa in quanto, grazie alla demolizione del vecchio naviglio, era costituita da 3.609 unità di cui solo 946 costituivano il 95% del tonnellaggio, ovvero i grandi piroscafi e motonavi prevalevano su tanti piccoli velieri e motovelieri, al contrario della situazione del passato. Le grandi navi erano per un terzo passeggeri e due terzi per le merci.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale la marina mercantile italiana era la sesta del mondo, dopo Gran Bretagna, Usa, Giappone, Norvegia, Germania. Per navi oltre le 20.000 tonnellate era al secondo posto a pari merito con la Germania. Rispetto alle altre Marine, come anzianità, la flotta italiana aveva unità mercantili più vecchie (metà con oltre vent’anni) e navi passeggeri più moderne. (dati da Navi e Marinai, Compagnia Generale Editoriale, Vol.III)
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