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Scrivici |Carlo Alberto di Savoia
- Tra desideri e realtà, nel tentativo di fare l’Italia
Le date: 1789 – 1815 – 1821 – 1831 – 1848 - 1849 -
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Introdurre la costituzione
Sul finire del settecento la rivoluzione francese (1789) aveva travolto una società che si riteneva immutabile. Era stata introdotta la repubblica come forma di governo e nuove regole valide per tutti: la costituzione. Il grande e violento cambiamento rivoluzionario produceva forti reazioni in tutti coloro che detenevano il potere, considerando l’esperienza francese pericolosa e contagiosa, per cui la Francia, intenzionata a diffondere l’innovazione, si trovò contro molte nazioni. Nella difficile situazione emerse Napoleone, dinamico condottiero che portò la guerra in tutta Europa e importante statista che trasformò leggi e istituzioni. Era inevitabile che dopo la sua caduta le potenze conservatrici volessero restaurare tutto come prima, ma il mondo non era più lo stesso (1815). Gli eventi avevano stimolato immaginazione e desideri delle minoranze colte che speravano di trascinare le masse, anche se queste erano poco sensibili ad astratti progetti di trasformazione della società ed erano più coinvolte dai problemi contingenti. Tra gli uomini di pensiero e di iniziativa, c’era chi voleva la repubblica e chi invece mirava ad un compromesso più fattibile, come far introdurre la costituzione al proprio Re. Alcuni sognavano di convincere il monarca con la logica delle idee e la forza della piazza, dimenticando che era difficile rinunciare al potere assoluto e accettare che le regole fossero negoziate tra le parti e non immutabili, non concesse dall’alto. Inoltre il ben noto effetto di contagio e propagazione delle rivolte legittimava altre nazioni conservatrici ad intervenire militarmente per ripristinare la situazione, dove il potere assoluto fosse stato messo in discussione. Il Re che firmava un foglio di carta doveva quindi scegliere subito se crederci e difenderlo, entrando in conflitto con potenze come l’Austria, oppure dissociarsi come fosse stato un ricatto delle circostanze: posizione che ammetteva la propria debolezza e indicava nella fuga o abdicazione la strada per essere credibile. I problemi cominciavano proprio concedendo la costituzione e potevano mettere in difficoltà sia il Re che la nazione. L’ottocento fu dunque teatro di moti rivoluzionari, di momenti in cui sembrava affermarsi il cambiamento per poi perderlo con restaurazioni e repressioni, in un processo che comunque cambiava i rapporti tra vertice e cittadini. L’Italia aveva anche un altro problema: la divisione in molti stati che rendeva doppiamente difficile conseguire i giusti diritti e l’indipendenza da ogni dominio.
Palazzo Carignano a Torino, sede del primo parlamento. Ospita oggi il Museo del Risorgimento.
Carlo Alberto
Carlo Alberto principe del ramo Carignano dei Savoia era divenuto il possibile pretendente al trono, in mancanza di successori dello zio Carlo Felice. Il giovane, spinto altrove dalla tempesta napoleonica, era stato educato in Svizzera e Francia, in modo più libero e stimolante rispetto al mondo piemontese. Tornato a Torino, frequentava appunto rivoluzionari e progressisti, amici di cui condivideva idee e aspirazioni, sembrando la figura adatta a materializzare i loro progetti, disposto a giocare un ruolo da protagonista nei moti del 1821. Ma quella che avrebbe dovuto essere una pacifica forzatura del sovrano, si configurava nella realtà come una rivolta, con gravi conseguenze, compresa la guerra con l’Austria, prospettata con leggerezza dai cospiratori. Tutto ciò comprometteva il suo futuro e le ambizioni di regnare. Così Carlo Alberto si dissociò dall’iniziativa, mentre questa si metteva in moto senza ritorno. Vittorio Emanuele I, colto di sorpresa insieme alla sua corte, impossibilitato a controllare la situazione, decise di abdicare e affidare la reggenza a Carlo Alberto, il quale (ormai cosciente delle prospettive) si affidò al volere di Carlo Felice. I rivoluzionari che subirono l’inevitabile fallimento, con repressione e condanne, avrebbero giudicato Carlo Alberto un traditore. Anche il suo destino appariva compromesso per sempre nel giudizio di Carlo Felice, convinto reazionario che prendeva le redini dello stato piemontese. Carlo Alberto, allontanato da Torino, avrebbe dovuto faticare a lungo per riguadagnare credibilità, e avrebbe dovuto dimostrare con i fatti la sua opposizione ai rivoluzionari, combattendoli in Spagna. Nonostante la sua cultura, coltivata e accresciuta, che lo portava a comprendere le nuove idee, Carlo Alberto non poteva dimenticare il suo ruolo dinastico e la responsabilità, con la necessità di confrontarsi con la realtà. Giunse infine il momento in cui lo zio Carlo Felice lo chiamò sul letto di morte per la successione, facendogli giurare che mai avrebbe concesso la costituzione (1831). Carlo Alberto regnò con durezza nei confronti delle manifestazioni rivoluzionarie, represse con maggiore severità che altrove, come nel caso della Giovine Italia di Mazzini, la cui cospirazione fu scoperta e punita nel 1833. Al tempo stesso, agiva per il progresso e lo sviluppo del suo stato, consolidando un regno importante che poteva avere grandi destini. Carlo Alberto sognava un’azione più efficace contro la dominazione austriaca in Lombardia e Veneto, ostacolo nel percorso di unificazione nazionale. Nel 1848 Pio IX con le sue aperture forniva l’occasione per nuove agitazioni che rapidamente si diffondevano in tutta Europa. I tempi erano cambiati e Carlo Alberto aveva constatato che non solo gli intellettuali, ma anche molti dei suoi collaboratori erano pronti all’idea che il Re facesse il grande passo di concedere la costituzione: controvoglia, fu costretto a concederla e in Piemonte venne chiamata Statuto. Milano si era sollevata e reclamava aiuto, ma molti suoi capi avrebbero voluto l’esercito del Re sabaudo solo per difendere la Repubblica. Carlo Alberto comunque decise di intervenire e dichiarò guerra all’Austria (la prima guerra di indipendenza) in un trionfo di consensi. Dopo alcuni promettenti successi a est, con la defezione degli alleati fu costretto a tornare sulle sue posizioni e chiedere l’armistizio. Milano si sentì tradita, manifestando risentimento verso Carlo Alberto per l’illusione perduta e la repressione austriaca. Gli intellettuali sembravano non rendersi conto che senza un esercito, indipendenza e unità d’Italia erano lontane. L’inaccettabilità della sconfitta, la voglia di rivincita e l’ossessione della guerra nazionale spingevano Carlo Alberto a riprendere subito lo scontro. La seconda parte della guerra si concluse ancora con un insuccesso e questa volta le condizioni sarebbero state più dure. Carlo Alberto, per limitare le conseguenze, decise di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II, che avrebbe potuto impegnarsi su una linea conservatrice e pacifica, accettabile per i vincitori. Mentre il figlio avrebbe assunto il comando dello stato in un momento difficile, difendendo lo Statuto come impegno da mantenere, Carlo Alberto andava in esilio in Portogallo, minato nella salute dalla trascuratezza verso di sé. Il Re giudicato tanto severamente dai rivoluzionari aveva sacrificato la sua corona per il vano tentativo di liberare una parte dell’Italia e unirla in una nuova realtà, azione più concreta e vicina alla riuscita di quanto avevano fatto altri uomini di valore. Si può dire che perse non solo il trono ma anche la vita per questi obiettivi, perché morì subito dopo, probabilmente di infarto (1849). La Storia tradizionale e popolare ha dipinto l’immagine di un Carlo Alberto indeciso e inaffidabile, pronto a entusiasmarsi ma anche a rinnegare le promesse. Il personaggio appare invece più complesso e influenzato da contraddizioni e lacerazioni esistenti intorno a lui, nella transizione di quell’epoca. Nonostante il suo antagonismo con i rivoluzionari, rimane una figura chiave del Risorgimento per l’impegno e sacrificio che dimostrò quando il momento sembrava più adatto, anche se la fortuna non fu favorevole.
Tutto migliorare e tutto conservare (motto di Carlo Alberto)
Viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto se Carlo Alberto avesse seguito i rivoluzionari nel 1821. Forse l’esito non sarebbe stato diverso e avrebbe perso la futura possibilità di regnare, aprendo la strada ad altri, forse ugualmente conservatori, che però avrebbero evitato di impegnarsi sull’indipendenza e unità dell’Italia. Carlo Alberto divenne un conservatore riformista non liberale, un assolutista ormai nemico dei rivoluzionari, che lo ricambiavano con analoga ostilità e diffidenza. Tuttavia i fatti avevano dimostrato che rivoluzione e repubblica duravano poco senza un esercito che le difendesse, ovvero senza un Re. L’idea di fare tutto da soli, senza il Re, anzi contro i Re, era irrealizzabile o almeno prematura. Carlo Alberto credeva nell’indipendenza e unità sotto la guida monarchica, e in effetti dopo di lui l’Italia si sarebbe fatta così, senza la repubblica. Gli intellettuali fedeli all’idea finale, vedevano davanti a sé il nemico più vicino, la monarchia, privandosi in partenza sia di una parte del consenso, sia dello strumento militare indispensabile. Dal colloquio del 1845 tra Massimo D’Azeglio e Carlo Alberto, un appuntamento a palazzo nel buio del mattino, riferito dallo stesso D’Azeglio, si possono citare due frasi dense e importanti:
“…Tutti si son persuasi che senza forza non si fa nulla; che forza in Italia non è che in Piemonte; e che tuttavia, neppur su questa non è da far nessuno assegnamento, finché dura l’Europa tranquilla ne’ suoi ordini presenti…” (Massimo D’Azeglio)
“Faccia sapere a que’ signori che stiano in quiete e non si muovano, non essendovi per ora nulla da fare; ma che stiano certi, che, presentandosi l’occasione, la mia vita, la vita de’ miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, tutto sarà speso per la causa italiana.” (Carlo Alberto).
E così sarebbe stato, tre anni dopo, sia pure senza successo. Comunque diffidenza e distanza reciproca rimanevano tra il Re, rappresentante del potere del mondo conservatore, e i progressisti e rivoluzionari, espressione di un desiderio evolutivo. Nel 1848 a Milano alcuni, come Carlo Cattaneo, ritenevano positiva la sconfitta militare di Carlo Alberto, pensando di liberarsi da soli e darsi la repubblica, senza capire che la città era perduta proprio per quella sconfitta. Come sempre avviene nella Storia italiana, le fazioni perdevano di vista l’obiettivo collettivo. Carlo Alberto lo cercava anche per interesse proprio, ma in fondo contava il risultato più della motivazione. Evidentemente i tempi non erano ancora maturi, il Regno di Sardegna non poteva affrontare da solo la potenza austriaca. Tuttavia l’obiettivo dell’indipendenza e dell’unità aveva iniziato a diffondersi nelle coscienze ed era questione di tempo e di condizioni favorevoli.
Lo STATUTO ALBERTINO
(la “costituzione” di Re Carlo Alberto di Savoia, la legge fondamentale dell’Italia per un secolo) 4 marzo 1848
1. La religione cattolica, apostolica, romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.
2. Lo Stato è retto da un governo monarchico rappresentativo. Il trono è ereditato secondo la legge salica.
3. Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e da due camere; il senato e quella dei deputati.
4. La persona del re è sacra e inviolabile.
5. Al re appartiene il potere esecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato, comanda tutte le forze di terra e di mare: dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio e altri, dandone notizia alle camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle camere.
6. Il re nomina a tutte le cariche dello Stato: e fa i decreti e i regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne.
7. Il re solo sanziona le leggi e le promulga.
8. Il re può far grazia, e commutare le pene.
9. Il re convoca ogni anno le due camere: può prorogare le sessioni, e disciogliere quella dei deputati; ma in quest’ultimo caso ne convoca un’altra nel termine di quattro mesi.
10. La proposizione delle leggi apparterrà al re ed a ciascuna delle due camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi , o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla camera dei deputati. (…)
24. Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo e grado, sono eguali dinanzi alla legge.
Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi.
25. Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
26. La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive.
27. Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch’essa prescrive.
28. La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.
Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del vescovo.
29. Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili.
Tuttavia, quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
30. Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal re.
31. Il debito pubblico è guarentito.
Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.
32. E’ riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.
33. Il senato è composto di membri nominati a vita dal re, in numero non limitato, aventi l’età di quarant’anni compiuti. (…)
39. La camera elettiva è composta di deputati scelti dai collegi elettorali conformemente alla legge. (…)
47. La camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re, e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia. (…)
50. Le funzioni di senatore e di deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità.
51. I senatori e i deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle camere.
52. Le sedute delle camere sono pubbliche.
Ma quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.
53. Le sedute e le deliberazioni delle camere non sono legali né valide , se la maggiorità assoluta dei loro membri non è presente. (…)
56. Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere più riprodotto nella stessa sessione. (…)
62. La lingua italiana è la limgua officiale delle camere. E’ però facoltativo di servirsi della francese ai membri che appartengono ai paesi in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi (…)
65. Il re nomina e revoca i suoi ministri. (…)
67. I ministri non sono responsabili.
Le leggi e gli atti del governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un ministro.
68. La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici ch’egli istituisce.
Da Lo Statuto Albertino, a cura di G.Falco, Roma 1945, pp.248-54, ripreso da Denis Mack Smith in Il Risorgimento Italiano 1999.
Commenti
Senza essere esperti di costituzioni, i principi espressi sembrano un buon inizio, sia pure con i limiti dovuti all’epoca, con punti non abbastanza approfonditi. C’è la volontà di conservazione del potere del re, accompagnata da concetti importanti: libertà di culto, uguaglianza di fronte alla legge, tassazione secondo il reddito, trasparenza delle camere, difesa delle istituzioni, copertura finanziaria per ogni decisione, diritti e libertà, tutela dall’arresto senza imputazioni, difesa della proprietà e del domicilio, nessuna perquisizione senza legittimità, stampa libera purché corretta, difesa degli investimenti in titoli, diritto di associazione, libertà di voto e di opinione, nessuna tassa che non sia approvata da tutti i poteri, uso della lingua italiana nel rispetto di altre... E’ un documento preparato velocemente e forse proprio per questo, come tutte le cose fatte di getto, ha la sua validità, tanto che rimase un fondamento dell’Italia fino al 1948. Ci rammenta quante cose diamo per scontate, che vanno garantite.
Quanto detto vuole essere uno stimolo ad approfondire. Tra i molti testi si possono citare “Carlo Alberto, il Re che voleva fare l’Italia” di Domenico Bertoli, “I Savoia” di Claudia Bocca, “Il Risorgimento Italiano” di Denis Mack Smith.
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