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Scrivici |Commenti sulla tragedia di Gorla
- Riflessioni sulla logica dei bombardamenti aerei e sulle conseguenze -
Contraerea Italiana "Etna" nel settentrione d'Italia - 7 anni di guerra.
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Gorla fu in sostanza una eccezione, dalle gravi conseguenze, nella "normalità" del bombardamento delle città italiane. In Italia non si raggiunsero le dimensioni di attacchi e i bilanci di vittime tipici della Germania, ma l’approccio era sostanzialmente lo stesso : colpire le aree edificate e le masse civili per creare pressione sui governi, provocarne la caduta e abbreviare il conflitto. A sessant’anni di distanza non è più condivisibile questo metodo, troppo costoso in termini di vittime innocenti. Trovò la sua giustificazione in una guerra mondiale che doveva essere conclusa in ogni modo e non si poteva farlo solo sui campi di battaglia, ancora più costosi per la reciproca perdita di giovani vite. Appunto, il generale prussiano Clausewitz, agli inizi dell’ottocento, insegnava che bisogna “annientare” l’avversario, metterlo cioè in condizioni di non poter fare più niente, e ovviamente tutto ciò va realizzato con le minori perdite proprie. Il confronto diretto delle forze armate è infatti il meno intelligente e redditizio degli sforzi, in quanto ci si confronta con la parte più forte dell’avversario. Costa centinaia di migliaia di soldati anche a chi vince. Invece, come aveva previsto il generale italiano Dohuet, l’aviazione, strumento rivoluzionario, permette di andare oltre le linee e colpire dove il nemico è più debole e sensibile, sconvolgendone il sistema logistico e la resistenza morale. In realtà le dittature sono assai poco condizionate da questa pressione e resistono più del previsto. Stranamente, le guerre durano molto più di quanto il buon senso consiglierebbe e proseguono anche quando l’esito divenga prevedibile. Perché? La guerra è caratterizzata da un crescendo di violenza e una diminuzione dei freni (si vuole vincere, ad ogni costo). Quanto più costa al vincitore, tanto più questo aumenta rivendicazioni e condizioni. In proporzione cresce il prezzo da pagare per chi perde, che è sempre meno disposto a cedere. Trascinerà tutti con sé, nella rovina, con sacrifici inutili da entrambe le parti. Ovvero la guerra rivela il massimo della tragedia nel lungo finale assurdamente inutile, più che nell’inizio, quasi sempre promettente e retorico. In effetti la guerra in Italia divenne particolarmente dura negli ultimi due anni per i bombardamenti estesi e sistematici, oltre che per la lotta sul territorio. Mentre le prime incursioni avevano avuto un obiettivo dimostrativo, per incrinare la fiducia (molti si ricordano il cosiddetto “Pippo”, aereo isolato che colpiva a caso, tenendo tutti in ansia), le successive colpivano massicciamente le concentrazioni urbane e sembravano avere l’obiettivo di creare il panico e stimolare la ribellione popolare contro la guerra e il governo. I bombardamenti delle città vennero condannati per la loro crudeltà, anche se la popolazione italiana li sopportò con rassegnazione e non mantenne rancore verso gli angloamericani a guerra finita. Come racconta McGovern, gli aviatori americani criticavano gli inglesi per la “area bombing” a tappeto, indiscriminata, notturna, e questi consideravano folli le azioni diurne degli americani, con la pretesa chirurgica dei puntamenti da alta quota. Il limitato o inaffidabile esito contro precisi obiettivi industriali avrebbe spinto sempre più a cercare almeno il sistematico e sicuro risultato dello sconvolgimento generale di ogni attività del paese nemico. Negli ultimi tempi si scese di quota e i cacciabombardieri mitragliavano di tutto, anche veicoli passeggeri e passanti isolati. Chi bombardava viveva talvolta il conflitto morale di colpire un bersaglio inerme, ma molti non ritenevano le masse avversarie così “innocenti” come oggi le definiamo. Dopotutto i dittatori erano arrivati al potere col consenso proprio di quelle masse, che avevano l’implicita responsabilità di liberarsene. Finché non lo facevano, si riteneva necessario che pagassero il prezzo del proseguimento bellico. Ci si aspettava dunque un contributo demolitorio dalla sofferenza dei civili, messaggio esplicito fin nei volantini che cadevano dal cielo. Ragionamento duro e ricattatorio ma comprensibile in chi mandava i suoi giovani a morire all’estero: ogni giorno vi erano nuovi caduti, anche per il liberatori. L’attacco aereo d’altra parte aveva un costo inferiore alle battaglie terrestri in termini di vite umane per chi lo praticava, ed era dunque inevitabile che vi si ricorresse per contenere le perdite o per facilitare le offensive. Chi gestiva la guerra doveva renderne conto in patria ad ogni famiglia in lutto. Nella realtà europea il dominio dell’aria fu determinante, ma solo la sanguinosa avanzata sul territorio decretò la fine vera e propria dei combattimenti.
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