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Scrivici |Portaerei
- Cooperazione tra Marina e Aeronautica -
Il concetto dell'Italia come grande portaerei (Signal).
Le portaerei
La mancanza di navi portaerei è passata alla storia come uno dei grandi errori strategici che avrebbero vanificato l'efficacia combattiva dell'Italia in Mediterraneo. In realtà ebbe molto più peso la mancanza di una Aviazione che dipendesse dalla Marina, e più in generale la scarsa integrazione fra Regia Aeronautica e Regia Marina.
Estratto dal 2° numero del gennaio 1942 della rivista Signal, in lingua italiana
Portaerei e coordinamento aeronavale
Se anche si fosse creduto nelle portaerei, non sarebbe stato possibile costruirne più di due e avrebbero avuto seri problemi ad operare, sicuramente prese di mira dalle forze britanniche. Ben presto sarebbero andate perdute e comunque i pochi aerei imbarcati non avrebbero certo cambiato la situazione degli scontri aeronavali. Prima ancora si sarebbe posto il problema di chi avrebbe comandato quegli aerei. L'Aeronautica, forza d'avanguardia portatrice di entusiasmanti primati, benemerita del regime fascista, aveva ottenuto che ogni aereo dipendesse da lei. La Marina, conservatrice e orgogliosa, preferì dunque la costruzione di navi da battaglia invece di portaerei e Mussolini accettò questa scelta degli esperti, dichiarando la sua incompetenza. In sostanza Aeronautica e Marina furono ugualmente responsabili nel tenere separati i loro mondi, fatto che non creò problemi in periodo di pace. Ma il conflitto presentò in modo brutale la necessità di coordinarsi, mettendo in difficoltà sia i comandi supremi che i semplici combattenti, ignoranti delle reciproche esigenze. L'aumentata velocità ed efficacia degli aerei era difficile da contenere con le armi contraeree navali e una copertura aerea di caccia diveniva indispensabile. Ma anche per attaccare le navi nemiche con bombardieri e aerosiluranti bisognava accompagnarli con una caccia che li proteggesse. Anche i ricognitori del nemico andavano abbattuti con il pronto uso di aerei da caccia, per evitare che svelassero i movimenti della flotta. Ma i caccia avevano una ridotta autonomia, oltretutto tenendo conto del carburante da consumare in combattimento, pertanto la complessa copertura aerea alle navi era difficile da garantire all'istante della richiesta, in modo prolungato, a distanza dal territorio nazionale. Inoltre la Marina decideva rotte e spostamenti secondo lo svolgersi degli eventi e mancavano strumenti di comunicazione diretta tra navi e aerei, al riparo da intercettazioni. L'Ammiraglio al comando della flotta dipendeva dal comando di Supermarina, che a sua volta si rivolgeva a Superaereo, e questi impartiva gli ordini alle sue squasdriglie di velivoli. I passaggi decisionali e la sottovalutazione di alcuni messaggi da parte degli intermediari portavano a ritardi o pericolose omissioni. Questi problemi erano noti e si fecero molti sforzi per superarli.
Di fronte a gravi insuccessi navali era ovvio che la Marina cercasse giustificazioni e non risparmiasse critiche all'Aviazione. La reciproca competizione e incomprensione esistente prima della guerra non venne quindi facilmente superata in seguito. I casi di "fuoco amico", come ad esempio l'abbattimento di Italo Balbo, eroe dell'Aeronautica, da parte della Marina, o il bombardamento delle navi italiane per errore, accadevano in tutte le nazioni ma in Italia furono elemento ulteriore di sfiducia. Solo una Aviazione Navale, dove i piloti avessero mille occasioni di parlare con i marinai e capirsi, dove i comandanti delle navi avrebbero conosciuto l'uso degli aerei di cui erano responsabili, avrebbe superato il problema. Nel corso della guerra Marina e Aeronautica impararono comunque a conoscersi e rispettarsi, migliorando la cooperazione. Non mancano negli archivi della Regia Marina verbali di comandanti che parlano di "perfetta" scorta della Regia Aeronautica ai convogli, lungo tutto il tragitto. Ma avvenne sempre troppo tardi, quando ormai il conflitto era già deciso.
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