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Scrivici |Gli anni Trenta - il decennio
- Crisi economica, tensioni interne, aggressività. -
Eleganza e lusso negli anni trenta a bordo del transatlantico italiano Rex (Navi e Marinai - Rizzoli 1979)
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Alcuni cenni sul periodo
Gli anni Trenta furono un decennio importante che si aprì con una crisi economica di grande portata, capace di coinvolgere tutte le principali nazioni, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Russia e Giappone. Le grandi potenze dell’epoca entrarono nel decennio, colpite dalla crisi con effetti differenti, attraversando problemi sociali, politici e di alleanze, che le avrebbero portate al finale, dove si sarebbero trovate in una guerra mondiale ancora più letale della precedente. La depressione economica del 1929 in America , inizialmente negata dal al suo apparire, si concretizzò nella rovina di investitori grandi e piccoli, e in una crescita vertiginosa della disoccupazione e della miseria in un paese che aveva sempre creduto nel progresso e nel miglioramento dello stile di vita. Non si investiva più, le attività commerciali e produttive si riducevano, si perdeva il posto. Altri, presi dal panico, correvano tutti insieme in banca a chiedere il denaro versato, che ovviamente non c’era. Si andava alla ricerca di colpevoli, interni o esterni. Effetti evidenti che si sarebbero riproposti in altre nazioni industriali, a meno di provvedimenti adeguati. L’incapacità del presidente Hoover di affrontare la situazione, con disordini e perdita di popolarità, spianò la strada a Roosevelt, capace di trasmettere ottimismo e dinamismo, con una maggiore comunicativa, anche se non fu scelto dagli elettori per proposte che non poteva avere. Il suo pragmatismo e la disponibilità alla sperimentazione lo portarono dopo qualche anno alla formulazione del “New Deal”, ovvero iniziative economiche e sociali che rilanciavano la spesa e la speranza nel futuro, concentrandosi sui problemi interni, con una tendenza all’isolamento rispetto al mondo esterno. Nel frattempo la depressione colpiva le altre nazioni, con analoga perdita di posti di lavoro e conflittualità sociale a cui era difficile rispondere. La convertibilità della moneta su base aurea era difesa a priori da tutti per orgoglio nazionale, e senza una svalutazione si andava per tentativi con azioni tardive, contraddittorie e inefficaci. Mentre il capitalismo era in grave crisi e il socialismo si affermava, le nuove dittature italiana e tedesca sembravano avere maggiore capacità di superamento della crisi. In Italia Mussolini andava consolidando il suo potere, con imprese di prestigio e interventi interni, tra cui il sostegno pubblico delle imprese, mentre Hitler imitava quel progetto di stato totalitario, incarnando per le masse tedesche la via d’uscita da una situazione insostenibile: debiti di guerra che non si potevano pagare, disoccupazione e miseria, limitazioni territoriali. Hitler andava al potere, e in pochi anni gran parte dei disoccupati aveva trovato lavoro, anche grazie al riarmo che trainava l’economia. Il Giappone era colpito dalla caduta del commercio e degli scambi, con i militari che acquistavano potere, e ricattavano il potere politico, in quanto le loro volontà espansionistiche in Cina e Manciuria erano indispensabili al prestigio nazionale e al tempo stesso portavano fuori dalla depressione. La Francia in declino risentiva più lentamente della depressione non per una migliore situazione ma per la debole vitalità della sua economia. La scarsità della forza lavoro per le gravi perdite della Grande Guerra rendeva meno drammatica la disoccupazione, mentre la mancanza di classi giovani da reclutare orientava verso una difesa passiva a est, come la linea Maginot. Ma “chi sceglie di stare dietro le fortificazioni, ha già scelto di perdere” (Napoleone). L’Inghilterra, toccata dalla disoccupazione, aveva la decisa volontà di rifiutare un’altra guerra e questo condizionava il suo atteggiamento, contrario al riarmo e pacifista a oltranza. Con Chamberlain sarebbe andata alla ricerca di un accordo che comunque salvaguardasse l’onore. La Russia di Stalin mascherava verso l’esterno i suoi problemi, mentre si attaccavano i contadini proprietari di terra, inconciliabili con il modello industriale e collettivistico che si riteneva necessario per costruire una grande potenza. In seguito si attaccò il dissenso, con le epurazioni e i Gulag. Tutto ciò avrebbe portato innumerevoli vittime nel decennio, ma in occidente si guardava positivamente al modello socialista, senza voler vedere le ombre di quel sistema. La Germania si accingeva a perseguitare milioni di persone, in questo caso di etnia diversa, avendo Hitler indicato nella razza il più sicuro elemento di identificazione nazionale, con l’obiettivo di creare uno stato più forte (prerequisito per divenire una potenza mondiale). Le grandi opere e la guerra in Etiopia di Mussolini, e il riarmo della Germania in crescita attenuavano la crisi economica con gli investimenti militari e pubblici.
Disegno della propaganda nazista che simboleggia la Germania degli anni trenta, oscurata dalle nubi di Francia e Inghilterra con le loro ricchezze (Signal 1941)
La drammatica guerra civile di Spagna del 1936, apparentemente locale, era in realtà internazionale, proponendo già la presenza (o l’assenza) delle grandi potenze, in una verifica politica e militare, di consenso e di tattiche, che anticipavano il futuro conflitto. Con il loro atteggiamento aggressivo, Italia, Germania, e Giappone, arrivate tardi ad assicurarsi terre e risorse extra nazionali, impegnati alla ricerca del loro “spazio vitale”, suggerivano la direzione del riarmo che diveniva quasi un obbligo anche per le democrazie, che avrebbero voluto evitarlo ma la relativa spesa pubblica poteva portare ripresa e occupazione. A trattati di limitazione degli armamenti, con negoziati di quote e regole, si affiancavano investimenti militari, ricerca, infrastrutture e mezzi civili che avrebbero potuto essere riconvertiti all’uso bellico. Alla fine sembrava più conveniente riarmarsi che tornare nella depressione. Ma l’isolazionismo americano e il pacifismo inglese a qualsiasi condizione, avevano già dato sicurezza ai dittatori ormai convinti di avere mano libera. Era comunque un periodo di decisioni importanti e talvolta impopolari, che richiedevano leader forti anche nelle democrazie. La tensione e i nazionalismi creavano un’atmosfera angosciosa, che sembrava promettere guerra in modo inevitabile, per cui dopo l’infiammarsi delle piazze nasceva un desiderio di evasione collettiva, di mascheramento della verità, con la confusione continua tra aspettative e realtà. La Germania cominciò a prendere l’iniziativa mentre una parte del mondo rifiutava di farsi trascinare nell’abisso. Era giunto il 1939. Hitler trattava e subito dopo invadeva, senza esitazioni e senza timori. Con sorpresa di tutti, Germania nazista e Unione Sovietica fecero un patto di non aggressione e questo non fu un contributo alla pace. Cominciava il più esteso e sanguinoso confronto militare di tutti i tempi.
Chamberlain, Primo Ministro britannico, nel 1938 mostra il pezzo di carta (davvero niente più di questo) contenente l'accordo con Hitler a Monaco che avrebbe dovuto garantire la pace (Storia della II G.M. , Rizzoli-Purnell).
Commenti
Il pacifismo invece di evitare la guerra, di fatto la incoraggiò. Purtroppo volere una cosa non significava ottenerla, perché il pubblico rifiuto dell’uso della forza propria indeboliva ogni tentativo di pressione (non si poteva trattare da deboli). D’altra parte non sappiamo se avrebbe avuto successo il tentativo di porre subito dei freni energici all’aggressività. Anche l’isolazionismo fallì, perché non conveniva stare a guardare, in quanto intervenire dopo sarebbe costato molto di più. Le dittature mostrarono la loro pericolosità, per l’eccessiva forza decisionale non frenata dalla volontà collettiva. D’altra parte chi guidava le democrazie doveva avere più lucidità e senso di responsabilità dei media, degli utopisti, e delle masse emotive. Ma come abbiamo visto, ognuno aveva i suoi problemi interni. Il tornare a una guerra mondiale era il frutto diretto di una precedente guerra conclusa male, con l’errore principale di una pace punitiva inflitta alla Germania: al termine di una guerra si potevano punire i governi sconfitti, ma non le masse, e non in modo permanente perché l’effetto era controproducente. Un insegnamento storico che avrebbe guidato in futuro il modo di gestire i dopoguerra. La grande crisi indebolì le democrazie occidentali e la fiducia in sé stesse, dando il colpo di grazia al vecchio ordine liberale, minato dalla Grande Guerra e dai concetti rivoluzionari. La situazione economica colpiva la gente e creava difficoltà a chi doveva guidarla col consenso, che non era invece necessario ai totalitarismi: questi si affermavano con l’evidenza di alcuni fatti, valorizzati da un uso nuovo dell’informazione, mentre altri aspetti negativi di questi regimi venivano nascosti. La convinzione che la forza fosse vincente spingeva a conseguire in modo violento lo spazio altrimenti negato e motivava l’aggressività come prassi politica internazionale. Tempi e modi dell’incendio che si sviluppava superavano le forze delle nazioni, tanto che quasi nessuno era in realtà preparato alla guerra, nonostante fosse stata annunciata e temuta più di ogni altra. Vi era chi credeva all’occasione da non perdere e chi sperava per il meglio, pur temendo il peggio.
Quanto scritto è solo un punto di vista, una sintesi inadeguata, che vorrebbe stimolare l’approfondimento. Per una visione complessiva del decennio, affrontato sia per tematiche nazionali che per confronto cronologico, si potrebbe suggerire: Gli anni Trenta – Il decennio che sconvolse il mondo – Piers Brendon – Carocci Editore (2000, 2005).
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