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Scrivici |Combattimenti in mare
- La dinamica degli scontri navali -
Il numero di matricola su un maglione della Regia Marina
Quanto esposto non pretende di rappresentare la storia ufficiale, ma solo
il punto di vista degli autori. E' soggettivo e può
contenere errori o imprecisioni, per cui si suggerisce di non usarlo per
ricerche e di rivolgersi a testi storici più qualificati.
Alcuni sono indicati in Bibliografia.
Come si combatteva in mare?
Tra i due conflitti mondiali una flotta doveva avere tutta la gamma di navi da guerra, dal piccolo cacciatorpediniere alla grande corazzata.
Le piccole unità avevano ovviamente un valore circoscritto, che permetteva di arrischiarle in tanti compiti di supporto, di scorta, che non avrebbero giustificato l'uso di navi maggiori. Ma le piccole unità avevano anche caratteristiche come la manovrabilità, adatte a fronteggiare sommergibili o motosiluranti. I loro piccoli cannoni erano destinati a colpi diretti a bersagli ravvicinati. Si difendevano con la mobilità, non con la corazzatura.
Incrociatori e corazzate, le navi da battaglia, erano invece destinate al combattimento a distanza (dai quindici, venti ai trenta chilometri) grazie alla portata superiore dei loro grossi cannoni, dai venti ai quaranta centimetri di diametro. La gittata creava una gerarchia, perché permetteva di colpire il nemico senza essere alla portata dei suoi cannoni. Era classico il caso degli incrociatori che inseguivano i cacciatorpediniere e poi fuggivano di fronte alla corazzata.
Le navi da battaglia portavano tante batterie di cannoni affiancati, in quanto era difficile colpire il bersaglio e, per aumentare la probabilità, la salva di colpi doveva coprire completamente un'area non troppo vasta. L'osservazione delle colonne d'acqua dei colpi mancati era determinante e tramite le centrali di tiro, si rifacevano velocemente i calcoli. Ogni nave da battaglia aveva un torrione nel quale stavano gli osservatori del tiro. Non c'era ancora il computer e vi erano strumenti di calcolo meccanico. L'ideale era azzeccare colpi con colonne d'acqua sui due lati del nemico, fatto che permetteva una più rapida centratura dell'obiettivo.
Si tenga conto che le navi in combattimento viaggiavano a tutta forza, sui cinquanta chilometri all'ora, e che il mare non è una superficie stabile. In quei momenti tonnellate di nafta venivano divorate dalle macchine, si bruciava in un giorno l'autonomia di una settimana di navigazione. Ovviamente la corazzata pesava di più, non solo per i cannoni più grossi e per un ponte che li reggesse, ma anche per una struttura e corazza che sopportasse i colpi delle navi inferiori, ed almeno non venisse distrutta da un colpo fortunato di una nave pari misura. Vigeva la regola empirica e approssimata che la corazzatura dovesse avere lo stesso spessore del calibro dei cannoni.
Le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto nel 1940 (7 anni di guerra).
Corazzate e sommergibili
Una corazzata da oltre quarantamila tonnellate, come la Vittorio Veneto, con cannoni da 381 (quasi quaranta centimetri), aveva una corazzatura massima orizzontale (data dal ponte principale, assieme agli altri sottostanti) di venti centimetri, mentre quella verticale arrivava a 35 centimetri (alla linea di galleggiamento). Una salva poteva essere di nove proiettili da circa novecento chili ciascuno. Le foto mostrano circa cinquanta metri di fiammata e fumo dai cannoni, ad ogni colpo. Se i proiettili viaggiavano a un chilometro al secondo, bisognava aspettare mezzo minuto col fiato sospeso prima di vederne l'effetto. Il nemico faceva certo altrettanto, e si sapeva che la morte poteva arrivare dal cielo.
Il fascino delle battaglie navali venne però sminuito dalle insidie dei sommergibili e degli aerei. L'arma più efficace era il siluro, estremamente potente e preciso. Due quintali e mezzo di tritolo nel posto giusto mettevano in crisi anche una corazzata. Anche le mine e le bombe d'aereo erano pericolose, ma non sempre così precise e letali. Siluri e bombe potevano avere lo scoppio ritardato, per fare danno dopo essere entrati. Ma il siluro colpiva la nave "sotto", dove era più delicata, dove entrava l'acqua.
I sommergibili avevano già vissuto una grande stagione nella prima guerra mondiale, dove avevano dimostrato la loro efficacia in assenza di contromisure adatte. Inizialmente i sommergibili vennero usati spesso in superficie dove erano più veloci, con il motore diesel, e dove potevano usare il cannone contro i mercantili. I movimenti in immersione, con i motori elettrici, mossi da batterie, dovevano essere brevi e riservati a momenti pericolosi, per un agguato o una fuga. Il perfezionamento delle contromisure del nemico li costrinse ad operare sempre più frequentemente in immersione, dove la lentezza, la scarsa autonomia e la possibilità di individuazione con strumenti di rilevazione sonora, li metteva in difficoltà. In molti casi vennero sorpresi e affondati da aerei durante le necessarie navigazioni in emersione. Sul finire della guerra i tedeschi avevano progettato e realizzato sommergibili capaci di lunghe navigazioni in immersione e velocità subacquee così elevate da poter sfuggire alla caccia.
Ma il siluro poteva arrivare anche dal cielo, sganciato da un aerosilurante. In questo caso l'attacco avveniva allo scoperto, e l'attaccante contava sulla velocità di avvicinamento e fuga per sottrarsi alla reazione contraerea della nave. Se l'attacco era combinato e da più parti, la nave era fatalmente esposta.
Bombe e siluri dal cielo rendevano utile portare l'arma aerea dovunque, con navi apposite chiamate portaerei. Potevano far decollare anche i caccia, per contrastare bombardieri e siluranti nemici. La portaerei iniziò così a far parte del necessario corredo di una formazione navale. Rispetto ad un aeroporto fisso, il nemico non ne conosceva l'esistenza e la posizione. Si poteva fare ricognizione quando serviva e colpire se era possibile. Il tutto senza preavviso, in tempi brevissimi, utilizzando qualsiasi aereo, anche i caccia perché non c'erano problemi di autonomia. Certo, una volta scoperta, la portaerei era un ghiotto bersaglio in più, ma il suo uso risultava più redditizio di una corazzata, comunque esposta.
La seconda guerra mondiale cambiò dunque molte convinzioni e portò ad una brutta fine colossi come la Bismarck, la Barham, la Roma, la Yamato, per citare quattro corazzate dove morì il grosso dell'equipaggio (che era di circa duemila persone per ogni nave).
Comunque le attività aeronavali si svolgevano prevalentemente intorno al traffico mercantile, vero obiettivo da colpire, spesso organizzato in convogli di più navi per minimizzare l'impiego di unità da combattimento rispetto alle unità da proteggere. Fecero eccezione alcuni convogli strategici, inglesi o italiani, nel Mediterraneo che furono ben scortati nel tentativo di farli arrivare a destinazione.
Per l'aggressione di convogli ben difesi, i sommergibili tentavano l'attacco con più unità, di notte, da più parti, per superare la cintura di unità antisommergibile (era la tecnica detta "a branco di lupi"). Ciò avveniva negli spazi oceanici, ma in Mediterraneo (spazi ristretti e forte sorveglianza) era preferibile l'agguato in immersione.
Esempio di attacco aereo italiano ad una unità inglese che si difende con fuoco contraereo e cortina nebbiogena (7 anni di guerra).
Attacchi aerei
Anche gli aerei dovevano adottare tattiche adeguate per non farsi abbattere, magari combinando bombardieri e aerosiluranti, per dividere la potenza di fuoco delle navi e confondere il nemico. I piloti, pur di arrivare a tiro dei mercantili, erano disposti a passare attraverso la contraerea concentrata delle navi di scorta, e queste ultime erano disposte ad esporsi, pur sapendo che i siluri erano fatali anche per loro. E’ paradossale, ma una nave da guerra, concentrato di lavoro e di tecnologia, piena di uomini nel fiore degli anni e ben addestrati, alla fine valeva meno di una vecchia carretta carica di rifornimenti. La guerra comporta spesso un completo rovesciamento di valori: si deve sprecare quello che vale davvero, e diviene prezioso quello che prima non lo era.
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